Io vivo al congiuntivo

Mi rivolgo al mondo timidamente,

al congiuntivo.

 

È così che ho appreso la lingua segreta

che in ogni dove rivela risvolti,

in ogni risvolto fiorire di gigli.

 

E ho spalancato gli occhi dei piedi

sulla terra che prima soffriva

sotto i miei passi di stegosauro,

ho preferito levarmi le scarpe

per proseguire,

per carezzarla.

 

Ma, come accade tanto spesso con i doni,

presto le radici dispiegava il suo rovescio:

e sotto ogni mio passo udivo levarsi

crescendo

un vociar di proteste.

Come se luogo al mondo non fosse

dove potessi non esser di peso.

 

Ma è seduto di fronte

all’assurdità disarmante dei torti

che si schiude la via per l’Aventino:

e come oppio mi è dolce l’esilio

nella potenza infinita del sogno.

Ma si tratta di un sonno spesso

travagliato dalla sua stanchezza:

che io stia gettando alle ortiche

il mio biglietto nel mondo?

Anche decidessi di prendermi sul serio

mi ritrovo poi travolto senza tregua:

secondarie ipotetiche frananti, universi collassanti di variabili

e penso che “qui serve un perfetto management!”,

condannandomi, inesorabilmente, alla paralisi.

 

Forse,

per evitargli d’ingrassare a dismisura,

mangiandosi se stesso avidamente,

basterebbe dedicargli un’altra cura:

che lasciassimo un fiore da divorare

o una ciotola piena di formaggio.

Forse basterebbe,

nel meraviglioso rigogliare degli abissi,

non lasciarci scivolare dalle mani

il capo di quel filo che sottile

ci porta in superficie.

 

Simone Belci © centoParole Magazine – riproduzione riservata

_MG_9412-2 (1)Simone Belci inizia a scrivere a 7 anni con la macchina Triumph Tippa di sua madre. La sua prima opera è la stesura del plagio di un racconto poliziesco che aveva letto da poco, “Il commissario Dunga”, dal nome dell’orso che ne era il protagonista. All’età di dieci anni brucia tutti i suoi scritti in preda a un raptus di follia precoce. Abbandonato il radicalismo nel corso delle scuole medie, viene influenzato dalla lettura di Luis Sepulveda e cerca di reinventarsi componendo racconti di viaggio. Purtroppo essi non riscuotono un successo bastevole a permettergli di rifarsi del costo dei biglietti delle linee 37 e 48, le cui corse erano le sue principali fonti di ispirazione, e così Belci deve ritornare a scontare altri duri anni di scuola. La sua carriera da allora si è un po’ appannata, ma la consapevolezza di non essere in grado di fare un lavoro normale è ormai stata  acquisita solidamente.

 

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