Grande successo dello spettacolo teatrale “Io sono Malala” – tratto dall’omonima autobiografia di Malala Yousafzai – con gli alunni della scuola Media Bergamas di Trieste, diretti dal regista Julian Sgherla, in quella che è la storia di Malala, una ragazzina che ha rischiato più volte la vita pur di portare avanti il suo ideale.
L’adattamento teatrale del prof. Damiano Cannalire unisce in sé delle tematiche attuali, viste con gli occhi di una giovane ragazza, restando così fresche, spontanee e dirette, per un risultato di grande impatto.
Lo spettacolo “Io sono Malala” ha debuttato per la prima volta il 22 maggio, presso il Teatro Basaglia di Trieste – nel Parco di San Giovanni – all’interno della rassegna per le scuole “Teatrando: dal rione alla città…all’Europa!”, che quest’anno è giunta alla sesta edizione.
Questa rassegna è stata organizzata dall’istituto Comprensivo S. Giovanni con la collaborazione di alcuni Istituti Comprensivi: “Altipiano”, “Deledda”, “S.Giacomo”, “Duino-Aurisina” e “Bergamas”.
“Teatrando” nasce dal desiderio di creare una rete di scambi e confronti tra le attività teatrali realizzate dalle scuole della Provincia di Trieste e non solo. Tale rassegna, ogni anno, vede coinvolti ragazzi, insegnanti, genitori, dirigenti scolastici e esperti del settore teatrale. L’obiettivo è quello di sottolineare la valenza educativa e formativa che può avere il teatro nella scuola.
Dopo aver partecipato a questa importante rassegna scolastica, il Gruppo Teatrale della scuola Bergamas ha proseguito la sua piccola tournée giungendo, il 1 di giugno, alla Biblioteca Comunale Quarantotti Gambini di Trieste, sempre con la passione, l’emozione e la professionalità del giorno del debutto.
Grazie al prof. Damiano Cannalire, i ragazzi hanno potuto inoltrarsi in una dimensione letteraria e teatrale colta, approfondendo le varie tematiche trattate dal Premio Nobel per la pace 2014, Malala Yousafzai, che ha lottato – e continua a farlo tuttora – per la libertà e per l’istruzione delle donne.
Punto cardine di questa pièce è una frase semplice, ma di grande impatto: “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”; frase che si ripete più volte durante lo spettacolo, tra una scena e l’altra, fissandosi nella mente del pubblico e soprattutto dei più giovani.
Oltre alla parte dedicata alla recitazione, v’è anche una rivolta alla danza dei paesi orientali, che vede come danzatrici tre ragazze: Katarina Ivkovic, Alice Di Pinto e Marina Putignano, quest’ultima – che è anche la voce fuori campo dello spettacolo – riesce a conquistare il pubblico con la sua professionalità, ma in particolar modo con la leggerezza e la passione che è capace di sprigionare durante la sua esibizione, con movimenti leggiadri e ben equilibrati.
Tra gli interpreti non va scordata nemmeno Gaia Guarino, nel ruolo di Malala, che merita un plauso per aver condotto la pièce egregiamente, senza mai cadere in una recitazione prettamente scolastica. Ciò che sorprende è la partecipazione, in veste di attore, del prof. Damiano Cannalire – interpreta il padre di Malala – il quale riesce a creare un legame tra i vari attori, unendoli in un clima di tensione – per il tema trattato – ma nel contempo di grande sintonia e armonia, creando così un prodotto finale efficace e di grande impatto culturale.
Una pièce che spinge alla riflessione e alla comprensione dei privilegi che noi occidentali abbiamo; privilegi fondamentali per i quali Malala, ragazza pakistana, trasferitasi in Inghilterra, dopo l’attentato subito, continua a lottare.
centoPaorole Magazine ha avuto il piacere di intervistare il prof. Damiano Cannalire.
Come mai ha scelto uno spettacolo teatrale ispirato all’Autobiografia di Malala?
Era da tre anni che mi occupavo della condizione delle donne nella cultura islamica, nelle scuole coraniche, nelle madrase per ragazze. Mi affascinava presentare la figura di una piccola donna, forte dell’amore per suo padre Ziauddin, che combatte l’oscurantismo dei Talebani, per urlare al cielo il diritto all’istruzione delle donne. Credo che il ruolo delle donne nel Terzo Millennio sia fondamentale per una società più giusta, più civile e più democratica. L’istruzione e la cultura devono poter essere il motore trainante per una trasformazione reale di questo mondo impoverito dalla globalizzazione dei capitali. La storia di Malala è lirica, suggestiva, struggente nella sua battaglia quotidiana; ancor più stimolante sono le prospettive per la difesa dell’istruzione delle donne in Kenya e in Siria, attraverso il “Malala Fund”, un’organizzazione di beneficenza voluta fortemente da colei che lo scorso anno ha ricevuto il premio Nobel per la pace.
Com’è stato il lavoro di adattamento del testo?
Difficile lettura che doveva tener conto delle due culture di riferimento: Urdu e Pashto. Pur appartenendo alla cultura Pashtun, Malala decise di scrivere un diario per la BBC in lingua Urdu. La giornalista Christine Lamb ha tradotto il tutto in inglese. Il testo in italiano risente di tutti questi passaggi, complicati dal fatto che sulla spiritualità buddista della valle dello Swat del II° sec d.C. si innesta l’arrivo nel XI secolo dell’Islam.
La trasposizione del testo scritto in copione teatrale doveva cogliere tutte queste sfumature come per esempio quel nome di “Dio”, capace di risvegliare l’orgoglio di un popolo guerriero. Mi sono avvalso, pure, della consulenza di un’esperta di sociologia dei Paesi islamici: Piera Cavenaghi, che ci ha messo a disposizione degli abiti originali, usati dagli attori in scena.
Quale messaggio è arrivato al pubblico?
Alcuni genitori dei nostri attori mi hanno riferito di aver pianto dopo lo sparo del IV atto, a ricordo dell’attentato del 9 ottobre del 2012. Credo che il coraggio di questa ragazza pakistana – premiata con il conferimento del premio Nobel per la pace nel 2014 – sia stato compreso. La necessità di combattere le battaglie civili dell’istruzione delle donne, della dignità delle donne in una società patriarcale, tribale è stata compresa da un pubblico attento. La stessa Malala dice “Se un giovane uomo, di 28 anni, può distruggere e rovinare tutto (riferendosi al capo dei Talebani in Pakistan) perché una sola ragazza non può cambiare le cose!!!! “.
Come hanno accolto i ragazzi questo progetto? E com’è stato lavorare con loro ?
Siamo partiti in 60 ragazzi del gruppo “teatrale Bergamas”, dopo il lavoro di casting, per individuare gli ambiti sceneggiatura/scenografia/costumi/luci e suoni, è stato fatto un lavoro di lettura del testo per immergersi nell’atmosfera islamica pakistana. Si è discusso sulla lirica pashto, con la semplificazione dei distici: i brevi versi poetici che aprivano ognuno dei cinque atti previsti. Il ritornello “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna” è diventato il nostro slogan, il collante di tutto il team teatrale.
Alle difficoltà del testo, i ragazzi hanno reagito con entusiasmo nelle ricerche delle musiche dello spettacolo, orientate sulla ritmicità Bollywood, preferita alla musicalità più impegnativa dei Sufi. Lavorare con gli adolescenti è un lavoro faticoso proprio per l’esuberanza adolescenziale, il contenimento dell’aspetto ludico, la necessità della disciplina teatrale. Ho rivisto le foto di gruppo di fine spettacolo: le fatiche di tanti mesi di prove sono state premiate dai volti sorridenti dei ragazzi sul palcoscenico.
Ringrazio il prof. Damiano Cannalire per la sua disponibilità.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata.
Foto: Nadia Pastorcich