Il teatro diurno, nell’architettura borghese ottocentesca

L’Ottocento rappresenta un’epoca di trasformazioni sociali e rinnovamento culturale che scardinano completamente le certezze di una società dominata dall’aristocrazia settecentesca, strenuamente ancorata alle sue tradizioni, e che introducono un inesauribile dinamismo culturale, rispecchiato dalle nuove forme architettoniche che iniziano a diffondersi capillarmente, prima fra tutte, quella del teatro borghese.

Teatro diurno Cavalletto - spaccato

Proposta di Teatro diurno, esercitazione nel corso del professor Antonio Noale all’interno della facoltà di filosofia e matematica, con indirizzo per ingegneri-architetti, Antonio Cavalletto, Padova, 1836

Per comprendere pienamente il senso dello sviluppo di nuove tipologie all’interno della nuova città ottocentesca è necessario inquadrare quest’ultima nel contesto della politica europea che si avvicenda all’inizio del secolo. Sotto la dominazione napoleonica i teatri erano concepiti come la celebrazione del potere politico in quanto simboli del potere imperiale e luoghi di ritrovo dell’alta società, di cui un esempio lampante è il teatro veneziano La Fenice. Le tendenze nate in epoca napoleonica per la modernizzazione della città diventano le caratteristiche comuni per le città occupate dai francesi: il riordino della viabilità e la dotazione di nuove strutture (macelli, carceri, ospedali, giardini pubblici, università) diventano i temi di principale dibattito tra gli addetti ai lavori di tutti i maggiori centri urbani d’Italia. Successivamente, seguendo la via aperta dai francesi, l’amministrazione asburgica prosegue gli interventi per la dotazione di attrezzature per la città nonché per la creazione di infrastrutture che colleghino facilmente il nord dell’Italia con l’Austria; tali interventi favoriscono lo sviluppo economico dei piccoli centri di provincia che si trovano lungo gli assi di comunicazione, provocando la creazione di moltissime strutture urbane, fra le quali spiccano i numerosissimi teatri pubblici, detti «teatri di società o sociali».
La città ottocentesca manifesta la dirompente necessità di assimilare forme nuove, legate al nuovo pubblico borghese, che presenta gusti molto diversi dalla nobiltà del secolo precedente: è in questo contesto che iniziano a diffondersi nuovi temi progettuali o vecchi temi rinnovati nel linguaggio, quali caffè, salotti, giardini pubblici e teatri borghesi. Proprio a proposito di questi ultimi è importante sottolineare come il teatro diventa «punto di irradiazione delle nuove idee e principale punto di riferimento delle attività sociali e culturali della comunità cittadina». La società borghese diventa punto di riferimento delle nuove forme teatrali non solo in quanto maggiore fruitrice di queste strutture, ma anche perché ne è il maggior finanziatore: i numerosi episodi di mecenatismo borghese, interessato a realizzare strutture che garantiscono un certo ritorno economico, giustificano la proliferazione di nuove forme teatrali, caratterizzate da un linguaggio meno magniloquente, spesso legato al carattere dilettantistico delle compagnie che vi si esibiscono, in cui le esigenze funzionali ed economiche sono privilegiate rispetto a quelle prettamente formali. Vediamo così la nascita dei teatri all’aperto e delle arene che spesso sono strutture provvisorie e realizzate in economia ma che offrono una flessibilità e un’adattabilità organizzativa assolutamente impareggiabili.

arena del sole

                                                         Arena del Sole, Carlo Aspari, Bologna, 1810

Il tema del teatro diurno nasce quindi in concomitanza con la diffusione della borghesia nella città ottocentesca, pur affondando le sue radici in una tradizione molto vasta di esibizioni all’aperto che va dagli spettacoli messi in scena durante le celebrazioni religiose dell’antica Grecia, agli spettacoli nelle arene romane, agli spettacoli allestiti nelle piazze medievali, senza dimenticare le strutture del teatro elisabettiano. Un importante precedente per il teatro diurno com’è oggi inteso è rappresentato dai wauxhall settecenteschi; si trattava di luoghi adibiti alla rappresentazione di spettacoli all’aperto diffusi in molte capitali europee e che prendevano il nome dai Vauxhall Gardens londinesi nati nella seconda metà del XVII secolo ed esportati a Parigi già nel 1769 nel Colisée sugli Champs-Elysée ad opera di Louis Denis Le Camus. Il Colisée nasce come struttura stabile destinata ad ospitare feste pubbliche e tale da consentire una razionalizzazione dei costi, intento che costituisce un punto di rottura con la tradizione precedente di feste sfarzose ed estremamente dispendiose organizzate a corte: si tratta quindi di un tentativo di convogliare diverse classi sociali in un unico spazio di rappresentazione, all’interno di un quadro di ottimizzazione della spesa pubblica. La stessa struttura del wauxhall, costruita sullo stampo degli antichi anfiteatri e circondata da una «galleria-promenoir», in cui gli spazi sono studiati in modo da garantire l’unione e la comunicazione tra gli individui, suggerisce la diffusione degli ideali che si diffonderanno grazie alla rivoluzione francese di libertà dell’individuo e di fusione di classi diverse. Alla fine del Settecento il wauxhall, nato come luogo di aggregazione e svago per il popolo, rappresenta l’espressione del gusto e degli interessi della classe borghese; lo stesso significato che assumerà il teatro diurno nel secolo successivo.

wauxhall

                                               Wauxhall Bois de Boulogne, Victor Louis, Parigi, 1769
Si possono individuare altri esempi di teatri all’aperto che fungevano da teatri per rappresentazioni diurne anche in epoche successive: il Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, costruito a partire dal 1753 su progetto originario di Francesco Maria Preti, che rappresenta in qualche modo un palese archetipo per il teatro diurno ottocentesco. In epoca posteriore troviamo l’arena del Sole, costruita nel 1810 a Bologna dall’architetto milanese Carlo Aspari, nelle cui intenzioni le struttura doveva costituire un luogo d’incontro e di svago per le classi meno abbienti e, al contempo, un elemento di riqualificazione della zona degradata circostante l’allora piazza delle Armi (attuale piazza VIII agosto). Vicenda ben più complicata fu quella che interessò la trasformazione a teatro diurno del Salone dei Giardini pubblici di Porta Orientale a Milano, realizzato tra il 1783 e il 1790 da Giuseppe Piermarini; tale riadeguamento fu commissionato dal podestà di Milano, in qualità di presidente della Commissione di Pubblico ornato, a Paolo Landriani nel 1825. L’architetto milanese, pur preoccupandosi di progettare un edificio che soddisfacesse tutte le esigenze di cui una struttura adibita a rappresentazioni diurne necessita e pur presentando numerosi progetti e varianti, non fu in grado di soddisfare le continue richieste della Commissione; all’ennesima richiesta di redigere un nuovo progetto, nel 1835 Landriani rifiutò l’incarico e diede alle stampe, nell’anno successivo, una pubblicazione polemica intitolata Del Teatro Diurno e della sua costruzione con l’intento di tramandare la sua esperienza progettuale su questa tipologia.
Sempre grazie a Landriani veniamo a conoscenza di un altro progetto non realizzato per teatro diurno che doveva essere realizzato a Verona in piazza Bra, su disegno di Gaetano Pinali. Tale progetto, risalente al 1822, doveva avere il doppio ruolo di mercato delle biade e di teatro diurno, racchiudendo in un’unica struttura entrambe le funzioni.

teatro diurno verona

                       Teatro Diurno, progetto di Gaetano Pinali, incisione di Francesco Ronzani, Verona, 1822

È proprio la sua connotazione di forma semplificata di teatro a determinare la struttura del teatro diurno: il fatto che spesso queste architetture fossero inserite all’interno di giardini determina l’ininfluenza di alcuni elementi formali essenziali del teatro borghese del XIX secolo, quali foyer, scaloni d’ingresso, salottini privati, caffetterie. Grazie a questi elementi che determinano l’indole borghese del teatro moderno, è facile supporre che, mancando nel teatro diurno, questi avesse come destinatario un pubblico più variegato, non strettamente riservato ai ceti sociali più facoltosi. Nella stessa composizione architettonica del teatro ottocentesco, infatti, è possibile individuare una potente discriminazione sociale poiché, pur essendo le varie classi compresenti, esse non si mescolano mai; lo scheletro della struttura teatrale, che coniuga il linguaggio dei palchetti ben distinti dalla platea, viene quindi a rispecchiare una diversificazione sociale: le zone di migliore fruizione sono infatti destinate alle classi più ricche, quelle peggiori a quelle meno abbienti

teatro diurno jappelli.                           Progetto per il Teatro diurno in Prato della Valle, Giuseppe Jappelli, Padova, 1931

Sostanzialmente il teatro ottocentesco è un «luogo a forte connotazione sociale» e di conseguenza «l’edificio teatrale è gerarchicamente strutturato per ricordarci appunto la ‘compresenza’ (ma non l’‘incontro’, l’interscambio) di classi diverse”: i riti si celebrano e si consumano tra pari, in un universo chiuso ed autoreferenziale». Diversamente nel teatro diurno non troviamo una distinzione così marcata delle aree destinate a determinate classi sociali: tuttavia, pur mancando i palchetti che definiscono l’esclusività di alcune aree del teatro, persiste la presenza di logge aperte, probabilmente destinate ad ospitare personaggi illustri o cariche politiche. Bisogna nondimeno ricordare che la committenza di queste strutture è pur sempre la società borghese che, pur distinguendosi nettamente dalle convenzioni dell’aristocrazia del secolo precedente, non si è mai affrancata dal desiderio di distinzione dai ceti popolari, mantenendo quindi, dove le è possibile, un discrimen ben evidente.

Anche Trieste ha ospitato il suo teatro diurno: il Teatro Minerva, eretto nel 1817 dall’impresario Adolfo Bassi, si trovava in via del Coroneo, laddove oggi si trova il palazzo del Goethe Instituit. Si trattava di una struttura estiva aperta da maggio ad ottobre, in cui lavorava la compagnia comica Andolfati. Costituita da sei gradinate lignee a cielo aperto, godeva di un tale successo che ospitava sempre più persone di quanti potesse contenerne, fino ad arrivare a 2400 spettatori in una rappresentazione del 1818. L’anno successivo ebbe persino l’onore di essere visitato dall’Arciduca Ferdinando d’Austria.

teatro minerva trieste

teatro durno minerva

                                                                     Anfiteatro Minerva, Trieste, 1905

Da queste testimonianze possiamo intuire la valenza urbana e sociale che il teatro diurno assume all’interno del discorso più ampio di modernizzazione della città ottocentesca, iniziato con l’avvento dell’impero napoleonico e che non cesserà mai di rappresentare un punto fermo nell’attività di tutti i più importanti progettisti delle grandi città italiane.

 

Giulia De Luca ©centoParole Magazine – riproduzione riservata. 

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