Illegio

Il ruolo-chiave della donna nel contesto biblico: visitando la mostra di Illegio 2015

“Or, il Signore Iddio fece cadere un sonno profondo su Adamo, che si addormentò. E mentre dormiva, Dio prese una costola da lui e al posto di essa formò di nuovo la carne. E il Signore Iddio della costola tolta ad Adamo formò la donna, poi la condusse da Adamo. Allora Adamo esclamò: ‘Questa sì, è osso delle mie ossa, e carne della mia carne! Questa sarà chiamata donna, perché è stata tratta dall’uomo’ “ è così che la creazione di Eva (“che suscita la vita”, “madre dell’umanità”) viene narrata nell’ambito della Genesi, il primo libro della Sacra Bibbia.

Lanfranco - Giuda e Tamar (1620-30)Proprio alle donne, protagoniste assolute della storia ed eroine – almeno dal punto di vista morale – mai seconde agli uomini, è dedicata la nuova mostra allestita dal Comitato di San Floriano presso la Casa delle Esposizioni di Illegio (UD) in Carnia. L’ultima creatura: l’idea divina del femminile, presenta un percorso “plasmato” partendo dalla concezione di una vera e propria “idea della donna” nel suo ruolo di aiuto divino affiancato all’uomo, naturalmente incline all’amore verso il prossimo. In tal senso, l’Antico Testamento è ricco di prefigurazioni della Vergine Maria: elemento chiave, somma di tutti i valori femminili che avevano già animato i secoli precedenti. D’altra parte, è proprio nel contesto di un dipinto del pittore Giovanni Lanfranco esposto in mostra che la protagonista (Tamar) viene “profeticamente” rappresentata con le vesti tinte di alcuni tra i colori tipici delle rappresentazioni mariane: il blu rappresenta la creatura che liberandosi dai legami terreni raggiunge la soglia del divino, mentre il rosso è associato alla divinità amorevole che dal cielo scende sulla terra.

Hayez - Rebecca al pozzo (1848)Ogni sala dell’esposizione è corredata da una stampa a tema biblico, riportata in dimensioni superiori al vero nell’ambito dei pannelli rossi che decorano le pareti: le opere esposte sono circa quaranta, scelte tra i maggiori capolavori relativi all’argomento indagato. La mostra si apre con un primo ambiente, già ricco di opere d’arte realizzate da alcuni tra gli autori più noti delle rispettive epoche. Nella sala d’apertura è stato trattato un soggetto generico solo in apparenza, dotato in realtà di un profondo significato quale degno inizio per l’esposizione dedicata al ruolo biblico della donna: viene infatti affrontata la tematica delle mogli dei patriarchi, storie che ci dimostrano quanta verità ci sia dietro al detto “Dotata animi mulier virum regit”. Tra le opere più celebri osservabili in questo contesto si può sicuramente ricordare la “Rebecca al pozzo” di Francesco Hayez (1848), notevole dipinto che si colloca nella lunga serie delle immagini femminili realizzate dal pittore in particolare tra gli anni Quaranta e Cinquanta del XIX secolo (dove l’attenzione viene concentrata sulla resa della forma, a discapito di ogni significato storico e letterario). Accompagnano il capolavoro dell’artista veneziano diverse altre tele, tra cui figurano due opere del Solimena (1710). “Circa tre mesi dopo vennero a dire a Giuda: ‘Tamar, tua nuora, ha fornicato, non solo, ma è incinta della sua fornicazione’. E Giuda rispose: ‘Conducetela fuori e sia bruciata’. Mentre era condotta fuori, essa mandò a dire al suocero: ‘Io porto il figlio di quel tale a cui appartengono questi oggetti’. E soggiunse: ‘Osserva bene di chi è questo sigillo, questo cordone e questo bastone’. Giuda la riconobbe e disse: ‘Ella è più giusta di me, perché io non l’ho data a Sela mio figlio’. Poi egli non ebbe più rapporti con lei” (libro della Genesi, 38). Sono queste le osservazioni che concludono l’episodio biblico in cui viene descritta la vicenda di Tamar, saggia e dignitosa dimostrazione dell’astuzia al femminile, finalizzata alla protezione della propria dignità. Oltre alla tela del Lanfranco già citata (Roma, Galleria Nazionale di arte antica in Palazzo Corsini), nella sala si può anche osservare un dipinto attribuito a Jacopo Bassano (Firenze, Galleria degli Uffizi).

IllegioLa seconda sezione della mostra, che parte dalla terza sala ed è dedicata alle “Salvatrici d’Israele” (così come viene ribadito nel comunicato stampa relativo all’esposizione), illustra per prima la storia di Giuditta: biblica eroina che salvò il suo popolo seducendo e poi decapitando il generale Oloferne. “Fermatasi presso il divano di lui, disse in cuor suo: ‘Signore, Dio d’ogni potenza, guarda propizio in quest’ora all’opera delle mie mani per l’esaltazione di Gerusalemme. È venuto il momento di pensare alla tua eredità e di far riuscire il mio piano per la rovina dei nemici che sono insorti contro di noi’. Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: ‘Dammi forza, signore Dio d’Israele, in questo momento’. E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa” (Giuditta 13, 4-8). Questo ambiente permette al pubblico di osservare vari capolavori, tra cui spiccano due notevoli tele realizzate da Giovanni Battista Piazzetta dedicate al fondamentale episodio biblico descritto poc’anzi: la prima conservata presso la Galleria Nazionale del romano Palazzo Corsini (1715-1720) e la seconda appartenente alle collezioni della veneziana Scuola Grande dei Carmini (1748). La versione più antica è caratterizzata da un sapiente utilizzo del chiaroscuro, accompagnato dal ricorso ad una dilatazione ambientale, dove luce e ombra giocano un ruolo attivo. Quella più recente contrappone invece lo sguardo turbato di Giuditta all’espressione tetramente soddisfatta della vecchia ancella mentre la grande eroina sta compiendo l’atto decisivo della vicenda di cui è protagonista. La sala comprende anche una preziosa tela del Rubens (commissione Medici). Anche la quarta stanza della mostra (“La Forza e la Grazia”) è dedicata alla vicenda di Giuditta: vi troneggia la star dell’esposizione 2015, scrutata ogni giorno da decine di visitatori, la tela raffigurante “Giuditta e Oloferne” del Caravaggio (Roma, Palazzo Barberini 1598-99). L’opera mostra la sequenza principale relativa alla storia dell’eroina, il momento in cui viene inflitto un primo colpo mortale al collo del generale. Se un telo rosso funge da sipario teatrale alla scena, ciò che colpisce maggiormente l’osservatore è l’espressione terrorizzata di Oloferne, contrapposta al grottesco volto senile dell’ancella e allo sguardo intenso della protagonista.

Tra le tante, questo dipinto ha ispirato la versione dello stesso soggetto realizzata nel 1612-13 da Artemisia Gentileschi. Quest’altro capolavoro non fa parte del “corpus” espositivo: vi figura però una tela realizzata dal padre della pittrice, Orazio (“Giuditta e l’ancella fuggono con la testa di Oloferne”, 1611-12, Pinacoteca Vaticana). La terza sezione della mostra è dedicata alle storie di Giuditta, Dalila e Giaele: comprende le sale quinta, sesta e settima. Nel primo tra questi ambienti si può osservare, oltre ad un prezioso capolavoro del Pinturicchio (“Giuditta”, 1470-1513), anche un curioso pannello appartenente ad uno dei cassoni che un tempo venivano utilizzati per contenere la dote. La particolarità non sta nell’oggetto in se (in realtà mobile d’uso comune, decorato con rappresentazioni sia mitologiche che religiose) quanto nella sua destinazione: non si tratta di un cassone destinato ad una sposa, ma in questo caso ad una monaca. Splendido esemplare, realizzato da un pittore appartenente alla cerchia del senese Giovanni di Paolo (1398-1482), presenta delle scene relative alla vita di tre eroine bibliche: Giuditta, Dalila ed Ester. Il suo messaggio, ricco di straordinaria raffinatezza dottrinale, allude al vero significato della vita clericale: una giovane che prende i Voti deve prima di ogni altra cosa essere coraggiosa, fiera e salda nella fede in Cristo suo Sposo. [vai alla seconda parte dell’articolo]

Nadia Danelon © centoParole Magazine – riproduzione riservata [prima parte]

[Un’inguaribile modernista: rubrica d’arte moderna a cura di Nadia Danelon]

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