Durante la 73esima Mostra del Cinema di Venezia, è stato presentato martedì 6 settembre, alle 21.30, nella sezione “eventi speciali” delle Giornate degli Autori-Venice Days, il nuovo docu-film di Mauro Caputo, “Il profumo del tempo delle favole”. A fare gli onori di casa è stato il Delegato Generale, Giorgio Gosetti.
“Questo film richiede un tempo diverso, un ascolto diverso, una visione un po’ diversa” – ha affermato Gosetti. Inoltre è difficile da etichettare, così come lo è il libro dal quale è tratto. Proprio per questo motivo è stato inserito negli “eventi speciali”.
“Il film nasce da un libro che Pressburger ha scritto vent’anni fa, come impressione sul tema della fede e quindi è importante che venga spiegato bene da dove nasce questo discorso” – ha spiegato il regista Mauro Caputo, lasciando la parola all’autore.
Il libro “Sulla Fede”, pubblicato nel 2004 da Einaudi, è stato scritto qualche anno prima da Pressburger, in Ungheria, quando stava lavorando all’Istituto Italiano di Cultura di Budapest, dove si è trattenuto per quattro anni.
In quel periodo “non riuscivo a dormire – ha ricordato Giorgio Pressburger – mi svegliavo alle 5-6 del mattino, e in quelle albe mi mettevo al computer per continuare questo libretto, di sole 93 pagine. È una piccola, un po’ sofferta riflessione sul tema della fede, ma non solo fede come religione, come vedere Dio, come credere che Dio esista, ma fede in generale, in qualunque cosa: fede nella bontà della letteratura, della pittura, o della musica, o della giustizia sociale, nella parità dei diritti tra gli uomini”.
Il libro, dopo averlo finito, è stato riposto nel cassetto e tenuto lì per vari anni, fino a quando, un giorno, l’editrice Elisabetta Sgarbi ha contattato Pressburger chiedendogli un libro da pubblicare per la Bompiani. “Allora io scrivevo per Einaudi e ho telefonato alla casa editrice dicendo che la Sgarbi mi aveva chiesto un libro, l’aveva letto e voleva pubblicarlo. Mi hanno risposto che non se ne parlava neanche, che dovevano pubblicarlo loro”. Infatti così è stato.
La collaborazione con Caputo risale, invece, a qualche anno fa: il primo lavoro a quattro mani è stato il documentario “Messaggio per il secolo” che narra la vita di Pressburger, ma in particolar modo il suo lavoro di regista.
Da quel film ne è poi nato un altro, tratto dal libro “L’orologio di Monaco”, il quale racconta l’ossessione di un personaggio, nel rintracciare le sue origini, per poi arrivare all’ultimo lavoro “Il profumo del tempo delle favole”. In questo film, come in quello precedente, Pressburger partecipa come attore di se stesso; oltre a ciò compaiono anche alcune immagini di repertorio dell’Istituto Luce-Cinecittà.
“Il testo è diviso in una serie di capitoli – ha detto Pier Mario Vescovo, docente della Cà Foscari – che nel film vengono riassorbiti in una serie di scansioni, che intrecciano tre età della vita: una è quella di un Pressburger presente, che appare, le altre sono rappresentate da due controfigure che guardano e non parlano, che sono un bambino che osserva e un uomo giovane che scrive”.
La tematica trattata sia nel libro che nel film fa affiorare degli interrogativi, delle riflessioni, a chiunque vi si abbandoni. Come ha sottolineato Cesare De Michelis – presidente di Marsilio Editori e amico da tanti anni di Pressburger – “Credere, non credere, essere buoni, essere cattivi, sperare, non sperare. Sono domande che tutti noi ci siamo posti spesso nella vita, alle quali però fatichiamo a dare una sostanza verbale, perché le parole che provocano sono parole pesanti. Giorgio Pressburger, non solo lui, ma lui con particolare puntualità, è capace di attraversare questi territori così spiazzanti, inquietanti che sono l’essere e il divenire, il vivere e il morire, la gioia e la felicità, e a trovare le parole per dirli”.
Durante la serata, Roberto Cicutto – Amministratore Delegato di Istituto Luce-Cinecittà – ha riassunto in poche parole l’essenza di Pressburger, introducendo così il film: “Considero Giorgio Pressburger un uomo toccato dalla grazia; non so se la grazia sia solo un dono divino, per me la grazia è qualcuno che sa restituire agli altri il dono che ha ricevuto nel suo talento e con questi due film ha fatto esattamente questo”.
“Il profumo del tempo delle favole” è prodotto dalla Vox Produzioni in associazione con l‘Istituto Luce-Cinecittà; mentre i produttori esecutivi sono Federica Crevatin e Omar Soffici.
Dopo soli pochi giorni, l’appello lanciato dalle pagine del Corriere della Sera ha ottenuto una risposta molto importante: l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani metterà a disposizione la sua sede a Roma, per un evento di grande spessore, in occasione del quale ci sarà un dibattito con le massime autorità religiose e la proiezione del film.
“Tenterò di mettere da parte ogni finzione e di essere il più sincero possibile”. Sfondo nero. Voce di Pressburger. Dal buio, le luci del Politeama Rossetti. Una platea gremita. Applausi. Pressburger resta solo. È pensieroso. Si alza e abbandona il teatro. La sua voce ci parla dello spettacolo che ha visto quella sera: si tratta de “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij. Un romanzo, questo, che gli fa venire in mente la Bibbia: come ricorda Pressburger “Ciò che lo differenzia dagli altri libri, è che il vero protagonista della vicenda è un essere chiamato Dio”.
Il docu-film girato tra Trieste e Muggia, nei primi fotogrammi, ci fa scorgere un dettaglio della Fontana dei quattro continenti, il rosone del Duomo di Muggia, stradine nascoste, il tutto avvolto da un’atmosfera cupa, tetra, data dal colore quasi desaturato delle immagini (fotografia di Daniele Trani), la cui importanza viene rafforzata dal commento musicale (di Alfredo Lacosegliaz), dai toni misteriosi. Pressburger vaga per la città deserta, in un clima freddo. La sua voce ci parla di Dio.
Dall’esterno, si passa poi all’interno: lo scrittore ungherese fissa un scarafaggio, intimorito, tremolante, nella vasca da bagno: “Ho scelto Kafka per il mio errare, pur essendo più simile a Dostoevskij”. La paura dell’insetto è la stessa che prova l’essere umano, davanti all’ineluttabile destino.
“La paura è uno dei motori della vita. Senza la paura sarebbe impossibile valutare il pericolo, affrontarlo o evitarlo”. Nel docu-film si vede un primo piano di Pressburger-bambino intento a guardare, con sguardo impaurito, lo speis (ripostiglio), immaginando che da quella porta possano uscire gli spiriti. Qui nasce la paura. Qui nasce la fede.
“Avere fede significa credere in quell’essere supremo, non avere dubbi sulla sua esistenza, agire in ogni istante della vita in nome suo”.
Se prima le immagini sono caratterizzate da tonalità fredde, che evidenziano il tempo che passa, la vecchiaia che avanza, la malinconia e la nostalgia, quando ci vene mostrato il bambino (interpretato da Antonio Cacace), la tavolozza cromatica cambia: i colori sono caldi, avvolgenti, familiari, ingialliti dal tempo; mentre, nel momento in cui vediamo un giovane Pressburger (Daniele Tenze) intento a scrivere o seduto in mezzo al verde e alle pietre del Carso, con la mente affollata da pensieri e riflessioni, i colori si fanno più vivi, contrastati, forti, ad indicare la forza, la vitalità dell’essere giovani.
Tre fasi della vita rese perfettamente sullo schermo, che a volte si fa buio, nero, come i ricordi del passato, che sembrano svanire nel nulla, come il mistero della vita a cui non riusciamo trovare risposta, lasciando spazio solo alla voce di Pressburger che rompe il silenzio, facendosi riflessione.
Viene affrontata anche la morte, che non è poi così diversa dal sonno: l’uomo va sempre, quando si addormenta, nell’aldilà, per poi restarvici per sempre. La crudezza della vita è presente anche nei ricordi di Pressburger-bambino nel vedere la propria madre tentare il suicidio per più volte. “Ricordo il suo profumo: il profumo del tempo delle favole”.
Nella quiete del tramonto Giorgio Pressburger vede se stesso da piccolo, mentre gioca in riva al mare. Le due figure si incrociano. Il passato e il presente si incontrano. La storia termina, ma il mistero resta.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.
Foto di Nadia Pastorcich dal Lido di Venezia