Il fenomeno Trap: specchio della crisi della nuova generazione

L’ascesa musicale della Trap è ormai indiscutibile: osannata dai giovanissimi, meno dai più grandi, questa novità è diventata parte integrante del mosaico musicale di tutto il mondo.
Il genere nasce ad inizio anni 2000, prendendo il nome dalle ‘Trap House’ di Atlanta: case diroccate nelle quali dilaga lo spaccio e il consumo di droga.
La Trap, scostandosi col genere da cui deriva – ovvero il Rap -, non abbraccia un impegno sociale e l’agognato riscatto generale, anzi mette in risalto un tipo di vita sregolato, incorniciato da grandi ricchezze continuamente ostentate e svuotate di significato.
Una visione, quella della trap, che riflette le tinte e i colori della società contemporanea e del mondo in cui i giovani di oggi stanno vivendo.
Inutile negare che gli ultimi decenni rappresentino l’apoteosi e il punto di arrivo di un secolo tossico come il Novecento che, in contrasto con la definizione che gli viene data di secolo breve,  è in realtà denso di fatti e di difficile interpretazione.
Dalla prima guerra mondiale al fascismo, dal collasso dell’Urss alla prima guerra del Golfo, questo secolo apre il sipario al nuovo millennio con grandi punti interrogativi, portati avanti dalle generazioni passate che, con poca consapevolezza e irregimentate nel loro presente, hanno contribuito allo sgretolarsi delle certezze e delle realtà fino ad allora esistenti, inaugurando la fragilità permeata che contraddistingue i primi decenni del nuovo millennio. 
Negli anni 2000 cambiano le regole e, insieme ad esse, scompaiono molti dei pilastri sui quali ci si basava tempo addietro: un nuovo inizio in salita, con molte aspettative e poche sicurezze.
I ragazzi di quest’epoca respirano, da quando sono nati, l’aria di incertezza, di cambiamento e di instabilità; un periodo non delineabile, accompagnato quindi da una musica quasi indefinibile.
Basi elettroniche e distorte, vita da strada, autotune palesato per mascherare la voce e ritmiche sconclusionate condiscono questo genere donando allo stesso un’aura soffusa e distorta, in grado di attirare i pionieri del nuovo millennio.
La Trap può essere vista come un anti-grido: artisti che eseguono brani vuoti, senza chiedere o voler trasmettere nulla, ma creando allo stesso tempo un boato da far impallidire urla strazianti. Questa musica rappresenta il lamento di una generazione che, senza rendersene conto, sta creando una sfera d’influenza disarmante tra i giovani.
Sembra quasi un rimando al celebre romanzo di Orwell, 1984, con l’eccezione che non esiste un singolo ‘Big Brother’, ma un agglomerato di persone che, con poca cognizione di causa, crea nuove leggi e un nuovo linguaggio, come il newspeak di
Orwell, limitando a poche parole contornate dal silenzio il dizionario dei più giovani.
Questo genere musicale non va quindi interpretato in base alla qualità del prodotto, ma come specchio di una adolescenza fumosa, con idoli ancora più sfocati e prospettive ancora meno incisive.
La Trap può essere vista sia come il solito genere di passaggio, quella parentesi alternativa che incuriosisce la fase puberale di tutte le generazioni, sia come una comfort zone nei quali i giovani si cullano, spaventati senza sapere ancora bene il perché, da un futuro dubbioso con il quale non si vogliono ancora scontrare.

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