“Four Rooms”: l’esperimento cinematografico di Quentin Tarantino

Dopo il successo di “Le Iene” e di “Pulp Fiction” il giovane Quentin Tarantino si rimette in contatto con quattro registi che avevano studiato con lui alla Sundance Institute allo scopo di produrre “Five Rooms”, un esperimento cinematografico diviso in cinque episodi, ognuno di essi scritto e diretto da uno dei registi e dedicato alle vicissitudini di una stanza dell’hotel dove si svolge il film. Dopo il ritiro del regista Richard Linklater e la cancellazione del suo episodio e dopo le diverse controversie sul casting del protagonista, la parte viene data a Tim Roth e comincia la produzione di “Four Rooms”, che uscirà nelle sale nel 1995.

Il film si svolge all’hotel Mon Signor la notte dell’ultimo dell’anno, dove un caricaturale fattorino di nome Ted, interpretato da Tim Roth, deve gestire da solo i bisogni di tutti gli ospiti. All’inizio di questa grottesca commedia l’ ex fattorino lascia a Ted diversi consigli per svolgere al meglio il lavoro, nessuno dei quali sarà rispettato dal nuovo assunto.

Il primo episodio “Strano Intruglio”, scritto e diretto da Allison Anders, è chiaramente il più debole dei quattro, inserisce elementi soprannaturali ed effetti scenici non necessari per il resto del film. Una congrega di streghe si riunisce in una camera dell’hotel per effettuare un rituale con l’obiettivo di riportare in vita Diana, Dea a cui sono devote. Il rituale, per avere successo, ha bisogno del seme di un uomo, ma la strega a cui è affidato questo compito fallisce e a questo scopo la congrega circuisce lo “sfortunato” Ted. In sé questo primo episodio, oltre dialoghi deboli ed orrendi effetti scenici, potrebbe risultare leggero e divertente se non fosse per il confronto con gli altri tre, di livello nettamente superiore.

Il secondo Episodio “L’uomo sbagliato”, scritto e diretto da Alexandre Rockwell, parte con il banale equivoco della stanza sbagliata. Ted, chiamato alla reception per portare del ghiaccio ad una festa nella camera 404, sbaglia porta, ritrovandosi nel mezzo di un violento litigio di una coppia. Il marito, armato ed apparentemente alterato da droghe e alcool, ha legato e imbavagliato la moglie ad una sedia, accusandola di adulterio, e rapidamente si convince che il fattorino sia l’amante della donna. Il dialogo confusionario permette agli attori di dimostrare le loro capacità recitative, rendendo appassionante ed imprevedibile una scena caotica e dal ritmo solo teoricamente serrato.

Il terzo episodio “I Maleducati”, scritto e diretto da Robert Rodriguez, coinvolge subito lo spettatore presentando, con un rapido montaggio di primissimi piani, un passionale, elegante e pericoloso Antonio Banderas. Lui e la moglie decidono di andare a godersi l’ultimo dell’anno in città, lasciando i figli in camera a guardare la televisione. Affidano il controllo dei due bambini a Ted, comprando il suo tempo con cinquecento dollari e il suo impegno con minacce ben poco velate. Ovviamente tra piedi puzzolenti, litigi infantili, sigarette, bottiglie rotte, prostitute morte e incendi, il compito affidato a Ted si dimostrerà più difficile del previsto.
Questo episodio risplende in confronto ai due precedenti per diversi elementi: usa dialoghi credibili senza perdere l’elemento grottesco e surreale che caratterizza l’intera pellicola; l’interpretazione di Banderas colpisce lo spettatore con forza, nonostante il poco screen time a sua disposizione, anche in sua assenza le dinamiche tra i personaggi vengono chiaramente influenzate dalla sua ombra; il fratello e la sorella sono assolutamente perfetti per la parte, furbe e innocenti piccole pesti che tormentato il fattorino consapevoli del terrore che il padre suscita nel prossimo; infine, l’approfondimento del personaggio di Ted compie uno scalino importante, svelando la sua natura empia e cinica. Lo spettatore viene liberato dalla compassione che poteva provare per il protagonista durante le precedenti vicende, elemento fondamentale per comprendere gli atti di Ted nell’episodio finale.

Il quarto ed ultimo episodio “L’uomo di Hollywood”, scritto, diretto ed interpretato da Quentin Tarantino è discutibilmente l’apice di “Four Rooms”. Ted ha un ultimo compito prima di finire il suo turno di notte: portare un carrello con del ghiaccio, una matassa di spago, una ciambella, un sandwich, tre chiodi, una tavoletta di legno e una mannaia all’attico, dove soggiorna Chester Rush, una famosa Star di Hollywood interpretata dallo stesso Tarantino. L’intero ultimo episodio è portato avanti dai monologhi di Quentin, che, come suo solito, trascina lo spettatore in un clima surreale abitato da personaggi realisticamente al limite dell’egocentrismo, strabordante di riflessioni solo apparentemente confusionarie, riferimenti Pop culture e critiche alla vita di Hollywood. Ted pensa di essere solo uno spettatore di questo mondo, ma viene rapidamente spinto a diventare il cardine dell’intera situazione, una pericolosa e violenta scommessa tra due amici ubriachi. Questo episodio è un chiaro omaggio a “L’Uomo dal Sud” di Alfred Hitchcock e rappresenta la perfetta conclusione per un film che guadagna qualità e tensione ad ogni passo, senza oscillazioni.

L’intera pellicola perderebbe completamente significato senza l’ultima scena, mentre potrebbe essere altrettanto godibile con i primi tre episodi diversi da quelli proposti. Ciò non significa che siano da scartare, ognuno di essi racconta una storia personale ma anche partecipa attivamente alla visione di Tarantino. Consiglio di vedere questo film, non solo per passare un’ora e mezza in compagnia di esilaranti e grotteschi personaggi e scenari, ma anche per poter osservare, a più di vent’anni di distanza, un esperimento cinematografico di alcuni dei più originali ed affermati registi del cinema.

Pierluca Campajola

 

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