Formiche dappertutto, un tratto deciso, scenette divertenti, stiamo parlando delle Formiche di Fabio Vettori, disegnatore italiano nato a Trento.
Quando sono nate le sue formiche?
Le formiche sono nate nei primi anni Settanta, esattamene nel 1972, al primo anno all’istituto superiore. Mi piaceva disegnare e per caso le formiche mi sono scappate dentro i disegni che facevo; prima disegnavo omini, soldatini, navi, aeroplani…insomma tutto quello che capitava, poi sono arrivate le formiche, e tutti hanno iniziato a chiedermele; così mi sono convertito a fare questi disegni.
E come mai proprio le formiche?
Per questo: perché sono capitate dentro ai miei disegni, ad animare un po’ i grandi paesaggi. A tutti sembrava una cosa strana e allora mi chiedevano di disegnarle; io spiegavo loro che ero capace di fare anche altro, però nessuno mi credeva. Allora mi sono convertito a questo genere di disegno. Io avrei voluto fare la scuola d’arte, ma mi hanno orientato verso la scuola per geometri; lì ho conosciuto la rapidograph – una penna fine che tutt’ora uso – la quale mi permetteva di ottenere un segno grafico incredibile. Facevo lo schizzo prima a matita, e poi cancellavo la matita, una volta eseguito il disegno con la rapidograph. Restava un segno incredibile! Per me, la scoperta di questa penna, mi ha portato ad un cambiamento: prima facevo i disegni o a matita o con dei pennarelli, ma i pennarelli si consumavano, si ingrossavano, non andavano bene, invece, con la rapidograph ho scoperto un nuovo tratto davvero incredibile!
Il colore, nei suoi disegni, è arrivato subito o con il tempo?
All’inizio facevo delle colorazioni con le matite colorate, ma poi ho lasciato un po’ perdere il colore e sono andato avanti con il bianco e nero. Nel ’85-’86 il papà pittore di un mio amico mi ha regalato una scatola di acquerelli, e mi ha detto: “Il tuo, mi sembra il genere giusto, per gli acquerelli; potrebbe andare.” Lui mi ha insegnato qualche trucco e da allora li ho sempre apprezzati e non ho mai smesso di utilizzarli, sono sempre sul mio tavolo. Sono fantastici!
Disegna su carta?
Sì, io faccio due tipi di disegni: uno è quello classico, dove prendo la carta e ci disegno sopra a matita, poi ripasso con la rapidograph e infine coloro con gli acquerelli; l’altro lo faccio sempre usando un tratto nero, ma poi viene importato nel computer e colorato con i vari programmi.
Quanto incide il computer sul disegno finale?
Per un verso molto: dà una certa colorazione di grande effetto, soprattutto per fare i biglietti di auguri, per fare il merchandising, è ottimo. È importante usarlo, però resta ancor più importante il tratto, quello che si dà a mano.
Con il passare degli anni, le sue formiche sono rimaste uguali o sono cambiate?
Sono cambiate: prima le facevo grandi, poi piccole, poi ritornavano grandi, poi di nuovo piccole. Chiaramente, adesso, sono formiche dinamiche al massimo, mentre una volta erano un po’ più rigide. Negli anni si cambia, anche perché le esperienze sono diverse, più se ne fanno – lo vedo anche adesso – più si migliora nel disegno.
Da dove prende le sue ispirazioni?
Tutto quello che si vede in giro, lo si prende e lo si butta dentro al disegno. A me piace di tutto: dai disegnatori ai pittori, tutto ciò che c’è. Non ho un modello unico.
Secondo lei, che potenzialità ha il disegno in generale?
Il disegno ha sempre avuto una sua storia, una sua evoluzione, e ho visto che viene apprezzato sempre di più. Secondo me, ci sarà sempre più da fare.
Pensa che il computer non riuscirà mai a sostituire il disegno tradizionale?
Vedo che adesso tanta gente lavora con il computer. Io sono un po’ pigro: faccio fatica ad imparare, per cui non ho ancora adottato completamente questa nuova formula (sorride). Ci sono tanti disegnatori che sono “digitali”; ho notato che i programmi per i disegni vengono usati parecchio: fanno degli effetti veramente speciali. Per cui non mi azzarderei a dir di no, perché il computer è veramente micidiale, su queste cose.
Il disegno tradizionale e quello con il computer fanno parte di due mondi diversi?
Sì e no. È chiaro che bisogna sempre disegnare, è una questione di muovere le mani in un certo modo, coordinandole con la testa. Cambia il mezzo, il computer è più pratico, viviamo in un’era digitale, però non bisogna smettere di disegnare a mano. Alcuni miei disegni li scannerizzo e poi li coloro; lì c’è la facilità di colorare, di avere subito degli effetti, è immediato. Ripeto, io sono molto pigro su queste cose, però vedo che si possono ottenere degli effetti eccellenti.
Un tipo di colorazione è stato condizionato anche da questo mondo digitale. Se noi abbiamo iniziato a fare una colorazione al computer e la continuiamo a fare – con l’aiuto anche di altre persone – è perché si sono scoperte varie formule che erano impensabili da ottenere con i colori normali.
Nel 1982 ha fatto la sua prima mostra personale. Che cosa si ricorda di quel giorno?
Quel giorno mi resterà sempre dentro: la prima volta che ti presenti al pubblico è sempre una cosa indimenticabile. Per me è stata una giornata molto bella; è arrivata tantissima gente, che nemmeno immaginavo. Chiaramente avevo invitato gli amici e i parenti, che vengono sempre e sono preziosissimi, ma non mi aspettavo di trovare così tanta gente che non conoscevo ad apprezzare i miei lavori. È stata una soddisfazione incredibile!
Ha avuto da subito un riscontro positivo?
Certamente. Da subito sono stato fortunato, in quanto ho avuto anche un riscontro economico; ho sempre avuto delle richieste. Se sono andato avanti è anche perché a diversa gente piaceva il mio genere. Poi è stata anche la mia abilità: quella di trovare una commercializzazione un po’ diversa dal solito.
Dopo i suoi esordi, le formiche si sono diffuse un po’ dappertutto. Ricordo che quando andavo alle elementari, all’inizio degli anni 2000, nelle cartolerie vendevano le penne, i calendari, tutto con le formiche. Successivamente lei ha aperto un negozio monomarca…
Sì. La mia commercializzazione ha avuto vari periodi; ci sono stati dei momenti nei quali le formiche si sono diffuse tantissimo. Successivamente ho aperto un negozio – era una mostra estiva che poi si è trasformata in negozio – a Moena in Val di Fassa, dove si può trovare la mia storia, tutti i miei disegni, i prodotti, tutto con le formiche. Spesso anch’io sono presente nel negozio per personalizzare qualche acquisto.
Che cos’è l’Art Factory?
Art Factory è un’azienda che abbiamo formato alcuni anni fa, dove c’è anche mio figlio Alessandro, che mi dà una mano a commercializzare il tutto; perché una cosa è disegnare e un’altra è far dei prodotti da vendere. Lui mi sta aiutando già da alcuni anni; assieme cerchiamo di trovare la giusta commercializzazione di questi prodotti.
Nel 2011 è stato realizzato un cartone animato con le sue formiche. Mi racconta di questa avventura?
L’avventura del cartone animato inizia nei primi anni del Duemila e si conclude tre-quattro anni fa. La Rai ha prodotto 53 episodi di 3 minuti l’uno; attualmente, queste puntate, sono nel frigorifero della Rai – non so perché non le mandino in onda.
Comunque è stata un’avventura incredibile: l’animazione mi ha sempre affascinato, mi piace molto. Ho conosciuto un regista, il quale mi ha invitato da lui a Roma, per provare a fare queste animazioni.
Non è stata neanche una questione di tecnica di disegni, ma un questione di relazioni, il fatto di trovare qualcuno che li facesse, perché dietro a un cartone c’è un incredibile numero di persone che ci lavora: il cartone con le formiche è stato preso in mano da registi, autori, scrittori, storyboardisti, designer. Io ho fatto veramente pochissimo, oltre che prestare il mio genere.
È stata anche un’esperienza incredibile poter seguire e vedere come da un segno grafico tutto è diventato molto dinamico, un vero e proprio cartone. Ci sono anche un paio di episodi davvero carini con le formiche a Trieste.
Bellissimo!
Negli episodi ci sono varie gag e alla fine si vedono le formiche a Venezia, a Trieste, sulle Dolomiti, o a New York, a Parigi, o in Cina, di qua e di là. Sono un po’ come i miei grandi disegni, dove le formiche sono nelle piazze più incredibili.
Le formiche hanno compiuto quarant’anni nel 2012. Che cosa è stato fatto in quell’occasione?
Di particolare quasi niente. Per i trent’anni era stato pubblicato il libro “Un mondo di formiche”, che raccoglie un pochino la mia storia; nel 2012 lo abbiamo ampliato e inserito tutti gli ultimi lavori. Il libro è ciò che resta dei festeggiamenti.
Com’è nata la collaborazione con Spiro Dalla Porta Xydias per realizzare il libro“C’è un ponte tra Trento e Trieste?”
Spiro è un personaggio incredibile. Ho avuto la fortuna di essere introdotto nel gruppo degli scrittori di montagna (GISM), dove ho conosciuto Spiro. Andrea Bianchi – uno scrittore di Trento – aveva fatto un libro biografico su Spiro, il cui personaggio mi aveva affascinato moltissimo. Lui era rimasto piacevolmente colpito dalle mie formiche e mi aveva proposto di fare una mostra a Trieste, nella sede della XXX Ottobre, che ho fatto due-tre anni fa. Per me è stato molto bello.
Poi ho detto a Spiro: “Ma scusa, hai scritto ottomila libri, però uno un po’ carino, un po’ simpatico sui tuoi aneddoti strani, non ti andrebbe di farlo?”, lui mi ha risposto di sì; l’idea gli è piaciuta tantissimo. Ha buttato giù alcuni brevi scritti e io li ho tenuti per qualche anno; mi dicevo sempre: “Devo farlo, devo farlo, devo farlo”. Quest’anno finalmente ho trovato la formula per fare dei disegni più velocemente – per un libro che avevo fatto quattro-cinque anni fa, ci avevo impiegato venti giorni; ero veramente distrutto.
Ultimamente, invece, mi sono un po’ velocizzato; ho trovato una chiave giusta per questo tipo di libri, per illustrare scene. Il risultato è stato carino. Hai visto il libro?
Sì, sì l’ho visto, è bellissimo. E poi, secondo me, essendo illustrato può essere una cosa interessante anche per i ragazzi, perché incuriositi dai disegni, scoprono anche un personaggio importante.
Sì, sì, certo!
E com’è stato illustrare dei momenti di vita di Spiro?
È stato bello, poi quando lui parla, ti affascina sempre…A me piace tantissimo! Quando lui inizia a raccontare dice sempre delle cose preziose; al giorno d’oggi non ci sono più queste cose romantiche, lui è un uomo d’altri tempi. Avrei fatto anche molti altri disegni che illustrassero i suoi racconti, ma dovevo stringere un po’ le cose. Non gli ho fatto vedere il libro fino al giorno del convegno del GISM (tenutosi il 17 ottobre, presso la Sala Ospiti del Teatro-Centro Culturale Preseren di Bagnoli della Rosandra n.d.r.). È stata una sorpresa e penso che l’abbia apprezzata.
Trieste e Trento, quanto si assomigliano queste due città?
Care Trento e Trieste, quest’ultima…spettacolare (sorride). Di per sé penso si assomiglino pochissimo, anche se nelle persone è rimasta quest’anima, questa nostalgia asburgica. Trieste mi affascina tantissimo: io vivendo sulle montagne vedo il sole tramontare presto, è un dramma, invece a Trieste non è così, c’è un bellissimo mare, una piazza affacciata sul mare. Per me andare a Trieste è sempre affascinante. Questo posto mi piace tantissimo! Il giorno dopo il convegno, una domenica, sono stato nella parte vecchia della città e c’era pochissima gente, così ho potuto godermela appieno. Trieste mi piace tantissimo.
A Natale, come ad agosto, per noi arriva il periodo delle grandi corse. Ora stiamo pensando ai nuovi calendari, che avranno come tema l’ecologia; poi vedremo cosa arriverà, perché noi non abbiamo programmi a lunga gittata. La mia speranza è quella che il cartone animato venga trasmesso, sarebbe un peccato non sfruttare una cosa così carina, che sta lì ad aspettare.
Ringrazio Fabio Vettori per la sua disponibilità e gentilezza.
Nadia Pastorcich ©centoParole Magazine – riproduzione riservata
Invalid Displayed Gallery