“Ciascuno dei due istanti dell’anno in cui il Sole, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, incontra l’equatore celeste; i giorni in cui tale fenomeno avviene sono caratterizzati dall’eguaglianza del giorno e della notte per tutti i luoghi della Terra.”
Equinox è l’incontro del Sole con l’equatore celeste, è il torso al centro del quadro. Equinox è il pittore che lo rappresenta attraverso forme e colori, Equinox è il pezzo musicale di John Coltrane, sassofonista per eccellenza che da sempre accompagna il linguaggio artistico e musicale di Paolo Cervi Kervischer, brano scelto non a caso nella rappresentazione della sua opera.
Equinox dunque non si riduce a singolo significato, ma assume una personificazione attraverso lo studio dell’opera: al centro un torso, ai lati figure geometriche, in basso una cascata che ricorda uno scroscio d’acqua, in alto tre parole: Fox P2, Equinox, Wallace.
Inevitabile notare la sensazione quasi palpabile della caduta, in una forma di arranco dove il busto non viene rappresentato in una forma eretta, bensì curvata, cascante in avanti, in un tentativo di riuscita dove il corpo, però, non riesce ad avanzare.
È l’uomo spezzato in due: né braccia né gambe danno una forma completa alla figura umana, perché umanità non c’è. La centralità che l’artista evidentemente vuole trasmettere ponendo un busto scomposto al centro dell’opera, dimostra attraverso gli altri elementi circostanti come la caducità sia parte integrante oltre che dell’opera, anche dell’uomo stesso.
Per chi conosce la filosofia della pittura di Kervischer, non potrà non notare la presenza inevitabile del triangolo giallo incastrato dentro un riquadro rosso; ancora una volta il dio precario affianca l’uomo, o meglio dire l’umanità in tutta la decadenza, assistendo quasi come spettatore scontato di un processo vitale.
Ma è esattamente qua che Kervischer cambia forma al linguaggio da sempre conosciuto della sua arte: non ci sarà più una caduta fine a se stessa in cui la precarietà si erge a divinità insuperabile di fronte alla condizione umana, ma un cambio totale di prospettiva. Il busto che sembra ricordare la caducità del corpo, insieme alla vita stessa portata giù dal colare dell’acqua, in realtà non sarà altro che l’entrata in una nuova dimensione dove forme e colori si manifesteranno a inno di una condizione rinnovata: il torso non gode della completa centralità dell’opera, poiché ne divide lo spazio con il cubo, ed è quindi semplice percepire un bisogno di solidificazione attraverso il gioco di tridimensionalità proposto dall’artista. Da qua il nome dell’opera, Equinox, scandisce una presenza concreta in una riuscita simbolica, in cui esiste un movimento della stasi dato dalla solidità del busto in accoppiamento al movimento sinuoso creato dall’opera di Coltrane. È un tormento ritmico che viene ripetuto fino a concretizzarsi in una forma interpretativa attraverso dei giochi modali. Viene messa in luce, quindi, una sofferenza che riguarda solo gli esseri umani e non il cosmo in generale: la dimensione umana non è più quindi il fare per l’altro, ma essere l’altro. Poiché noi siamo e rappresentiamo un tutt’uno, non dobbiamo fare PER, ma essere insieme in una partecipazione attiva in cui ci viene chiesto di essere contemporaneamente creatori e osservatori. Di conseguenza, perdendo noi il concetto di individuo, finalmente possiamo diventarlo.
(foto: Roberto Srelz)
Ad accostare la realizzazione di tale concetto, nuovo nell’opera dell’artista, Kervischer decide di introdurre Wallace come presenza aleatoria, ma allo stesso tempo incombente per sottolineare una rimessa in gioco della visione darwiniana. La scelta di Wallace serve all’artista per dar voce ad una dimensione non materialistica, una sorta di personaggio chiave che nutre un percorso per arrivare ad una nuova consapevolezza tramutata in una strana formula scientifica, FOXP2, un gene che da studi di laboratorio, sembra essere presente solo negli esseri umani e che sarebbe responsabile della capacità del linguaggio. E quindi: cos’è il linguaggio? Da dove arriva questo gene? Come si è formato? Kervischer vuole mettere in gioco tutto dentro un’altra dimensione che obbliga la coscienza dell’uomo a spostarsi dentro un campo in cui l’umano stesso risulta essere manipolato, poiché non c’è niente oggi che possa giustificare, ormai, la naturale successione della vita. Persa questa dimensione dell’umano considerata da sempre come centralità secondo le tesi darwiniane, si entra nella fatidica dimensione di cui noi non sappiamo nulla se non che è già tutto perfetto dall’origine. “La vita nasce nell’origine – dice Paolo Cervi Kervischer – e ci sono stati diversi interventi che hanno dato inizia (origine) alla vita umana. Mica solo un tipo. Solo che noi non lo vogliamo accettare. È come se, da Darwin in poi, fossimo stati deviati e con la scusa dell’evoluzione abbiamo bloccato la fonte dell’origine da cui si poteva attingere. Le tribù se ne fregano dell’evoluzione!”
L’opera dell’artista rivela una totale e netta messa in discussione del concetto di evoluzione.
E allora dove sta l’uomo, in tutto questo? Sta nell’emanazione della volontà che ha costruito la perfezione geometrica? La risposta la troviamo implicita alla fine del quadro, così come la fine di un racconto, la conclusione di un concetto, la sintesi di un’idea: a livello atomico e subatomico tutto è in equilibrio ed è geometria, secondo l’artista. E allora chi è che tiene in piedi tutto questo?
L’opera si conclude innescando nello spettatore questa domanda.
Equinox, la nuova creazione di Paolo Cervi Kervischer è in mostra alla Lux Gallery dal 20 ottobre 2016 al 20 novembre 2016. Mostra presentata e allestita precedentemente in Svizzera.
Francesca Schillaci © centoParole Magazine – riproduzione riservata