Questa lettera di Cesare Pavese è indirizzata a Giuditta Ciliberti Tallone, musicista. E’ l’approccio di Pavese alla musica classica attraverso una dichiarazione d’amore che si rivelerà nuovamente vana. Il pessimismo e il pensiero costante della morte rivelano ancora il tormento di Pavese, il quale cerca attraverso la letteratura, la poesia e, come dichiara in questa lettera, anche attraverso la musica, di esorcizzare i suoi fantasmi ritrovandosi infine nella più cupa disperazione.
Torino, 3 ottobre 1929
Ieri, con tanta gente attorno, si è dovuto rimandare ancora una volta una conversazione un po’ più geniale. Ma il pomeriggio non è andato perduto ugualmente: io le mandai quei fogli, Lei mi rispose con Debussy. Non per il confronto, ma per quello che ciascuno di noi immaginò dentro di sé.
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Poi Lei mi ha parlato, confusamente, tra il chiacchierio di tutti. Compresi appena le parole, ricordo soltanto il loro suono, la loto intenzione.
Era intorno a quei miei fogli. Io vorrei che Lei mi ripetesse quelle frasi, e rimpiango solo di non sapere scrivere nel suo linguaggio, la musica.
Ma qualcosa comincio davvero a comprendere. Durante l’Appassionata mi sentito a tratti intorno il fragore di un mondo che si sconvolge e brucia. Nella Nona, un’ascesa vertiginosa come di stella in stella e, su tutto, un’armonia così remota ed alta che pare eludere anche il suo creatore.
Ma tutto questo, a tratti, a lampi, annaspando in una specie di sordità mentale esasperante.
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Ho compreso dunque qualcosa? Sono certo che se potessi ascoltare Lei di più e parlarle più a lungo e leggere i miei poeti, come Lei mi suona i suoi musici, noi scopriremo insieme meraviglie. Ma la vita è pesante, è triste e Lei è lontana, e anche se mi fosse vicina, io sarei ancor più chiuso e triste. Sono come un pianoforte – stonato – che più si ascolta da vicino e peggio è.
Poi, questo è un periodo in cui sto facendo il novelliere spiritoso e la vacuità delle cose che stavo scrivendo l’ho compresa soltanto oggi, ascoltando Beethoven.
Chissà se saprò salvarmi. Pensi: da giugno non ho più messo giù un verso e comincio a convincermi che le mie speranze di poeta siano state un vicolo cieco.
Ora aspetto la morte.
L’altro giorno un mio passato compagno s’è sparato nel cuore e “boccheggiava in una pozza di sangue”. Ebbene, così finiremo tutti.
Sono allegro, no?
Cesare Pavese
Tratto da Vita attraverso le lettere di Cesare Pavese – edizione Einaudi, 1966.
Francesca Schillaci © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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