Dennis Fantina dopo aver vinto la prima edizione del programma televisivo “Saranno Famosi” di Maria de Filippi – ora conosciuto con il nome di “Amici” – e il contratto di un anno con le reti Mediaset, Dennis, nell’estate del 2002, partecipa al Tim Tour, e successivamente viene scelto per una campagna pubblicitaria della Tim. In questo periodo inizia a registrare il suo primo album da solista “Dennis” (2002), prodotto dalla grande Caterina Caselli, e sostenuto da artisti importanti come Zarrillo, Elisa, Mango che scrivono i testi e le musiche dei suoi brani.Nel 2003, fa una tournée estiva di gran successo, per poi debuttare, in autunno, come protagonista nel musical “Grease” allestito dalla rinomata “Compagnia della Rancia”. Nel 2004 fa una lunga tournée con il team di Radio Italia in veste di presentatore del programma “Insieme a Dennis”. In questo stesso anno, entra a far parte della squadra Nazionale Cantanti con la quale partecipa alle Partite del Cuore. Nel 2005, si presenta alle selezioni del Festival di Sanremo con il suo brano “Non basti tu”, ma non passa il turno – anche se la canzone ottiene ottimi riscontri. Durante l’estate esce il suo secondo album “Io credo in te”, di cui l’omonimo singolo vende 40mila copie, ottenendo così il disco d’oro. Dennis torna in televisione nel 2006 partecipando al programma di Rai Uno, “Notti sul ghiaccio”, condotto da Milly Carlucci, arrivando secondo. Nel 2007 esce il suo terzo album “Buone Sensazioni”; mentre dal 2009 al 2010 è in tour in giro per l’Italia. Il 2013 è l’anno del suo nuovo singolo “Intensamente”, e il tormentone dell’estate “La Zumbada” arriva nel 2014.
Quando ti sei avvicinato al canto?
Da piccolissimo. Ho cominciato a cantare a un anno e mezzo; si può dire che canto da sempre. Prima andavo ai Karaoke solo per divertimento; poi una sera, grazie a Gianfry, c’è stata la possibilità di fare una serata vera e propria. Gianfry si sbagliò e prese due serate per lo stesso giorno: non riusciva a portare a termine una delle due e quindi aveva chiesto a me e a Michelangelo Bortuna se potevamo condurre il Karaoke. Da lì, abbiamo deciso di provare e buttarci, prima come presentatori, perché era un periodo veramente buono per quel tipo d’intrattenimento. Quando, invece, ha cominciato ad essere meno seguito, abbiamo pensato che, avendo ormai comprato tutto il materiale e sapendo cantare, potevamo presentarci per alcune serate di piano bar, aggiungendoci anche imitazioni, giochi. Da lì è partito tutto.
Hai fatto qualche scuola di canto?
No, l’unica parte “scolastica” è stata all’interno della scuola di “Saranno Famosi”, dove avevamo degli insegnanti di canto, ballo, dizione, recitazione, musica. Lì ci sono state le prime basi, poi attraverso Luca Pitteri ho potuto migliorare un po’. In realtà, se studiassi, forse migliorerei ancora: lo studio è fondamentale. Con il pretesto che Madre Natura mi ha dato la possibilità di saper cantare già di mio, forse mi sono impegnato un po’ troppo poco; devo ammetterlo.
Quando hai partecipato a “Saranno Famosi”, oltre al canto, cos’altro hai studiato?
In quella edizione, ho studiato un po’ di tutto: canto, recitazione, ballo; ci facevano delle vere e proprie lezioni, che venivano trasmesse in televisione. Poi con il tempo le cose sono cambiate e hanno deciso di mostrare ai telespettatori soltanto il prodotto finito: i telespettatori non sono interessati a vedere una persona che studia: è noioso. A loro interessa vedere il risultato.
Erano giusti. Sicuramente l’insegnante di dizione era severa, più che altro per il fatto che sbagliavamo spesso. Quasi tutti. Chi è triestino, ad esempio, ha le vocali tutte aperte; ogni dialetto ha le sue caratteristiche, e chi lo parla spesso fa più fatica ad imparare bene. L’unico fortunato è chi parla il fiorentino: la lingua italiana arriva da Firenze. Loro devono soltanto imparare a eliminare le “c” aspirate, per il resto la loro dizione è perfetta.
Mi ricordo che dovevamo leggere una storia con la giusta pronuncia delle vocali e io avrò ripetuto non so quante volte… la prima frase: non riuscivo ad andare oltre. Molto difficile. Con il tempo, studiando e parlando sempre in italiano, si migliora.
Che emozione hai provato quando hai vinto la prima edizione di “Saranno Famosi”?
Le emozioni sono state più di una: felicità, perché avevo vinto un programma, e … la sensazione è stata di essermi liberato da una condizione di stress: nell’ultimo periodo la sfida era continua e ogni settimana dovevo studiare per quella successiva. Bisognava preparare sei brani, sei balli e un pezzo recitato in una settimana, e per la finale nove brani, nove balli e tre pezzi … recitati sempre in una settimana. Per me, che non ho una memoria di ferro, è stato molto stressante. Quindi, ripeto, al primo momento è stata più una liberazione, poi sono entrate in gioco talmente tante cose, che non mi sono reso conto di ciò che era realmente accaduto. Mi hanno subito avvisato che il giorno dopo alle dieci avevo la conferenza stampa e tenendo conto che tra i festeggiamenti e le chiacchiere avevamo fatto le due di notte, il tempo per riposarmi e per riflettere non c’è stato. Dopo la conferenza stampa mi hanno portato al “Maurizio Costanzo Show”, dove ho incontrato tantissime persone. Insomma, sono accadute mille cose in poco tempo. Naturalmente ero contentissimo, anche se non sono riuscito ad assaporare, a fondo, l’emozione della vittoria.
Hai incontrato qualche personaggio importante quando eri a “Saranno Famosi”?
Quando ero lì ho conosciuto Michele Zarillo, Gino Paoli; in quel periodo ho anche incontrato tanti altri artisti italiani, specialmente maschi: facevo parte della Nazionale Italiana Cantanti, di conseguenza, durante le partite, stavo insieme a loro. Con Mango ho avuto la possibilità di lavorarci, con Zarillo pure; Elisa ha scritto un pezzo per me. Inoltre, ho lavorato con due dei più grandi arrangiatori italiani: Celso Valli e Fio Zanotti – che sono stati gli arrangiatori e i produttori di Mina, Celentano, Pooh, Ramazzotti, Pausini. Insomma, la crème de la crème! A “Striscia la Notizia” ho incontrato le veline di allora. Quando ho fatto “Notte di Natale” a Napoli ho conosciuto Lionel Richie, e poi anche Demis Roussos. Veramente tanti cantanti!
La tua voce, dai primi esordi ad oggi, pensi sia cambiata?
Sì, la mia voce è cambiata molto: è sicuramente un po’ più profonda. Grazie a quel poco di studio che ho potuto fare, ho preso qualche nota in tonalità: riesco ad andare un pochino più in alto. Però, il fatto di saper cantare in tonalità alta non vuol dire necessariamente saper cantare: è dovuto alla conformazione fisica che uno ha; e se, invece, canti in tonalità bassa, non per questo non sai cantare. Ad esempio, Mario Biondi canta bene, ma canta basso; Mengoni, invece, canta alto. Quindi l’uno non potrà mai cantare le canzoni dell’altro.
La tua musica è pop. Ti è mai capitato di provare a cimentarti anche in qualche altro genere?
Volendo riesco a cambiare un po’: con più prove, sicuramente, posso provare a fare Rock pesante. Per esempio, nel CD di Maxino “Ciano Mitraglia e il civapcicio del destino” io canto un pezzo completamente Metal, ma non ho una voce Metal; questo vuol dire che con tante prove si può riuscire a fare un po’ di tutto. È chiaro che io non potrò mai cantare un pezzo Rock come gli AC/DC; ci posso provare, ma non sarà mai uguale. Volendo potrei provare a fare anche un po’ di Swing, però credo che uno, per fare determinate cose, ci debba nascere. Chi canta Swing canta Swing, chi canta Jazz canta Jazz. Dallo Swing puoi cantare Pop, ma avrai sempre un’influenza Swing o Jazz. Io sono più un cantante Pop che Swing o Rock. Volendo posso farlo, ma forse rende meno. Chi lo sa, non ci ho mai provato…prima o poi, magari, ci provo.
Per la maggior parte, sono un po’ ‘vecchio’ di ascolto: mi piace molto la musica che va dagli anni Cinquanta agli anni Novanta; quella dal Duemila in poi non mi convince, sia commercialmente che a livello Pop, forse perché sono sempre stato abituato ad ascoltare vecchia musica e quindi la sento più mia. Quando viaggio in macchina ascolto tantissimo la radio: mi tiene compagnia e sento le musiche di oggi – ma non tutto quello che viene proposto mi piace. Però la musica è soggettiva: ci sono persone che, ai miei tempi, ascoltavano i Prodigy e io no, ma non è che loro non siano bravi, è che non sono il mio genere.
Ti piace lavorare nella tua città?
Lavorare a Trieste, quando capita, mi piace molto, ma non è facile. Essendo io un ‘personaggio’ che ha potuto girare un po’ l’Italia, ma che vive a Trieste, la gente è abituata a vedermi; sono uno di loro: se c’è uno spettacolo la sera, le persone pensano: “Vabbé, l’ho visto oggi al supermercato, perché devo andarlo a sentire dal vivo?”. Quindi diventa difficoltoso trovare opportunità, anche per una questione di prezzo. Quando faccio le serate qui a Trieste, devo sempre scendere a qualche compromesso, e se decido di farlo, lo faccio perché mi piace lavorare nella mia città: né economicamente né personalmente mi conviene, altrove avrei più pubblico. Poi ci sono concerti come quello che abbiamo fatto a Muggia, la scorsa estate, dove la piazza era pienissima, tutto esaurito; questo mi ha fatto molto piacere. Va anche detto che concerti qua a Trieste non ne faccio da anni: l’ultimo risale al 2006, al Teatro Romano. Mi capita, invece, spesso di fare serate nei locali, magari cantando insieme a qualche band: i “Magazzino Commerciale”, i “Bandomat”, i “S.I.P.”, che trovo straordinari, perché fanno la musica che piace a me. Ma sono occasioni meno eclatanti, anche se le band sono eccezionali.
Secondo te, i gusti musicali del pubblico si possono influenzare?
I gusti del pubblico cambiano se glieli fai cambiare; questo può valere per qualsiasi cosa, anche per gli Smartphone: se non hai un cellulare di ultima generazione, sei tagliato fuori dal mondo, ma in realtà non è una vera esigenza: l’esigenza è andare a fare la spesa, mangiare. Per quanto riguarda il cibo, se vai in un supermercato e non trovi il pane fresco, ma solo quello surgelato da mettere in forno, oggi non lo compri, domani non lo compri, ma dopodomani ti serve proprio il pane e lo prendi – anche se inizialmente volevi quello fresco. E la stessa cosa vale per la musica: non c’è un’esigenza nella musica: lei va avanti, cambia un po’ lo stile, tutti cominciano a seguirlo e quello stile ti viene, pian piano, imposto e di conseguenza lo ascolti. Ovviamente il pubblico ha la possibilità di scegliere, ma in parte siamo influenzati da quello che ci propongono.
I tuoi figli ti seguono in quello che fai? Cantano anche loro?
Sì, anche loro cantano, da sempre: adorano la musica. Mio figlio che ha dieci anni – il più grande – sa solo da poco tempo che io avevo fatto televisione e l’ha saputo attraverso i compagni di scuola.
La mia esperienza televisiva non è una cosa che racconto ai miei figli: non la ritengo veramente importante. Il più grande sa che vivo di canto, che vado in giro a fare serate. Credo che non mi abbia nemmeno mai visto firmare un autografo; qualche volta ho fatto una foto con qualcuno che me lo chiedeva e si è subito chiesto il perché. Spiegare tutto ciò ad un bambino diventa difficile; infondo, entrambi i miei figli sono ancora piccoli, per capire perché uno che lavora in televisione è visto come una persona importante, ovvero un VIP. E poi ora non faccio più televisione e quindi non avrebbe senso fare certi discorsi con loro. I miei figli non sono nati e cresciuti in un contesto di celebrità, come può essere quello della figlia di Ramazzotti, ad esempio. Per il più grande è normale vedermi cantare: da piccolo veniva con me e la mamma negli studi di registrazione. Ma non mi vede come un personaggio. Io non sono un VIP, sono un artista. Ognuno di noi è una persona veramente importante per qualcun altro: ognuno di noi è un VIP. La parola VIP, come viene usata a volte in Italia, è un po’ sopravvalutata. Non mi piace sentirmi dire che sono un VIP, lo sono per i miei figli, per mia madre, per mia moglie, ma non lo sono per l’Italia e tanto meno per il mondo. Io sono un artista: una persona un po’ più conosciuta. Ognuno ha il suo spazio.
Da quanto tempo conosci Maxino e Flavio Furian?
Flavio Furian lo conosco da tanto tempo: collaborava con Gianfry (Gianfranco Varin) e con lui faceva le serate; io andavo a vedere Gianfry quando esisteva ancora la “Gianfry’s Band” – quindi più di vent’anni fa. Maxino, invece, l’ho conosciuto dopo: faceva parte dei “Magazzino Commerciale” e il mio amico e socio Michelangelo Bortuna – che ora vive a Milano: ci vediamo poco – era il cantante di questo gruppo; anch’io andavo ogni tanto a cantare per questa band, e lì ho incontrato Maxino.
Poi sei stato invitato in Rai nella trasmissione de “I Bombi Inconsapevoli”…
Più di una volta sono stato loro ospite. Con Maxino sono nate delle collaborazioni per “La Zumbada” – il tormentone della scorsa estate – e poi per “Natale Sarà”; c’è stata la possibilità di essere di nuovo ospite dai Bombi – ovvero da Maddalena Lubini, Maxino e Flavio Furian – per la puntata natalizia dove c’erano molti degli artisti triestini.
Un cantante riesce ancora a trovare facilmente occasioni di lavoro?
Non tanto: c’è un po’ meno lavoro rispetto a qualche anno fa, ma continuo a fare serate, andare in giro, quando capita.
Cosa ti piacerebbe fare in futuro?
Mi piacerebbe fare il cantante, ma un po’ più “seriamente” (sorride).
Un grazie a Dennis Fantina per la sua disponibilità e gentilezza.
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Dennis Fantina, lo ricordo, eccome! Mi piaceva molto fin dai tempi di “Amici”. Mantenere il successo per un giovane, si sa, non è semplice: troppa concorrenza, troppi favoritismi, ed allora, anche se hai una bella voce, dopo le prime apparizioni sui media nazionali, ecco che devi accontentarti di spaziare sul tuo territorio, partecipando ad esibizioni in ambito locale. Così le persone vanno a poco a poco dimenticandoti, nazionalmente parlando. Del resto ben sappiamo, come già detto, come è difficile mantenere una presenza ed un nome in primo piano nazionalmente parlando. Dopo tanto tempo riscopriamo qui Dennis Fantina, che dimostra però la voglia di continuare, limitandosi, sia pure in ambito regionale, ma per forza di cose, di cui già fatto cenno. Bravo Dennis! Sono sicuro che questa tua intervista abbia fatto bene non solo a te, ma anche a tutti quelli che sempre ti hanno ricordato e ti ricordano come me con tanta simpatia e indubbio piacere.