Giuliana. Sei una cantante! Raccontami di te.
Siii… ma canto poco, sai, adesso. Ho cantato sempre … anche quando ero piccola piccola. Cantavo dappertutto, da qualunque parte ci fosse un microfono. Poi è arrivato il ‘Karaoke’, lo spettacolo con Fiorello … quella volta non avevo partecipato alla gara ufficiale, però c’era stata, come evento collaterale, la gara dello sponsor, e in premio c’era un ‘karaoke’, l’ “aggeggio” vero e proprio: una musicassetta da una parte, l’altra a fianco, ascoltavi la base musicale e cantavi registrando la tua voce attraverso il microfonino. Bellissimo. È stato il mio primo microfonino: finalmente potevo provare a casa!
Di che cantante eri innamorata?
Di nessuno! E di tutti. In tutte le mie passioni non sono mai stata ‘fan’ di qualcuno, o di qualcosa, e solo di quello. Come tutti gli adolescenti, ho avuto anch’io i miei miti: i ‘Duran Duran’, gli ‘Spandau Ballet’ … ma non sono mai stata una di quelle ragazze, di quelle persone che vedono e ascoltano una cosa sola fino alla mania e al riconoscimento. Né di una cantante donna, né di gruppi musicali. Mi piace ascoltare e guardare a trecentosessanta gradi, tutto attorno a me, a partire dai più classici cantautori italiani – Gino Paoli, Ornella Vanoni, Patty Pravo – fino ai più recenti e nello stesso tempo ascolto anche Alice Cooper e i ‘Rolling Stones’. O i gruppi e i cantanti piu’ giovani. Generi completamente diversi … sono ‘onnivora’. Onnivora di tutto. Anche dei film; mi può piacere un film romantico così come un thriller, una commedia o un film d’avventura.
Non so se sia un difetto il fatto di non avere un … centro di gravità; non so se sia un difetto il non avere una passione per un genere preciso, o se sia piuttosto un vantaggio e un pregio. Dopo tanti anni di musica, ci sono comunque delle volte in cui mi chiedo: ‘Ma adesso che cosa mi piace’?
Mi piace sempre cercare qualcosa di nuovo, qualcosa da scoprire.
Quindi i tuoi ‘anni d’oro musicali’ sono stati quelli fra il 1990 e il 2000. Cantavi in un gruppo.
Si … ho iniziato a cantare, come solista, negli ultimi anni del liceo; poi c’è stata una festa di classe e da lì è partito tutto il resto. Un mio compagno di classe si è ricordato della mia voce, e mi ha portato nel suo gruppo: quelle canzoni alle feste di fine anno, sai, l’ultimo anno di scuola. Poi c’è stato un concorso canoro al teatro Miela, e ho cantato da sola con una base … ho conosciuto tanti cantanti, molti sono nel panorama musicale ancora adesso. Ho iniziato a cantare con il gruppo quando avevo vent’anni, quindi direi di si … non ho una data precisa in mente. Vent’anni fa, dai. Wow!
Fotografa o fotoamatrice?
Fotoamatrice. Si.
Secondo te, qual è la differenza?
Ma – perché, semplicemente, trovo giusto dire che fotografo è chi vive di quel lavoro e solamente di quello. A tutti gli effetti. Tutto il resto, compreso chi non fa solo fotografia ma altre cose e ha un lavoro diverso come occupazione principale, credo costituisca un … mondo di fotoamatori. Al di là delle capacità individuali e dell’ ‘essere bravo’.
Ci sono fotoamatori bravissimi; lo fanno nel tempo libero, per passione, o come seconda attività. Io trovo comunque corretto chiamare ‘fotografo’ chi ha deciso di dedicare la sua vita solo a quello, ed è riuscito a farlo.
‘Fotografo’ (professionista) equivale a ‘migliore’?
No. Non vuol dire questo. Essere ‘migliori’ – ‘bravi’ – è un’altra cosa. Lo decide chi vede le tue foto, non lo decidi tu.
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Da quanto tempo fai fotografia?
Cinque anni. Prima scattavo solo foto ricordo con la compattina. Ogni tanto.
Poco e tanto tempo, allo stesso tempo.
Si, poco e tanto. Mi sembra tantissimo. Sarà perché mi rendo conto di essere cambiata tanto, in questi anni: ho cambiato vita, gusti, e ho cambiato modo di fare. Non credo di poter dire con facilità ‘bene’, ‘male’, ‘giusto’, ‘sbagliato’ … o ‘bello’. È un percorso. Più immagini, più guardi, più foto fai … piu’ cambi.
All’inizio cosa fotografavi?
Ho cominciato a fotografare per me stessa, senza scopo. Poi, dopo qualche tempo, mi sono scoperta a pensare a come quei primi momenti, passati a fotografare tutto, abbiano cambiato le mie giornate e la mia vita. E non è una cosa da poco per me … non te lo dico così per dire.
Ho pensato tanto a quei primi giorni, a questa sensazione che siano stati importanti. Se c’è un cambiamento, va vissuto. Altrimenti che cambiamento sarebbe. Non fai più le stesse cose, non vedi più le stesse persone; va bene – ti fa male – ma vuol dire che farai altro. Che cambierai. Ti reinventerai.
Con la fotografia, nella fotografia, ho scoperto un modo per star bene da sola. Nei tuoi momenti liberi, quando sei solo, puoi aver voglia di qualsiasi cosa: di passeggiare, di scalare una parete di roccia, oppure semplicemente di guardarti un fim stando sul divano. Come faccio io – sono una pigrona, sai.
È stata personale la ragione per cui mi sono trovata da sola, in quel periodo, come capita a tanti … però ho scoperto quello che ero. Chi ero. Il fatto di uscire di casa senza meta, l’andare semplicemente in giro a fotografare: passavano le ore, le pile della fotocamera si scaricavano, e se non fosse stato per quello avrei avuto voglia di rimanere ancora in giro. Passavo molto tempo sola con me stessa, con la fotocamera, e non avevo bisogno di nient’altro. Niente telefoni, niente fretta, niente cose da fare e nessuno. Era come avere un libro in mano: puoi passare giornate intere sola con il tuo libro, la storia che leggi ti riempie l’esistenza; e così era con le mie fotografie. Ero serena, e stavo bene. Avevo trovato un mio modo per vivere le giornate senza che ci fosse qualcun altro; un modo per far mie le giornate.
Le tue prime foto ti piacciono ancora?
Più foto guardi, più diventi esigente, e più scarti. Delle mie foto vecchie – su Facebook ho degli album di foto scattate all’inizio, con la mia compatta, andavo in giro con la mia Vespa e fotografavo qualsiasi cosa – adesso scarterei … tanto. Non ti dico tutto, non sarebbe vero; ma tanto tanto.
Autodidatta in tutto: nel canto, nel Makeup, nella fotografia …
Si. Direi di si. Internet è uno strumento grandioso: se desideri imparare delle cose, puoi iniziare a farlo già da subito, da sola, leggendo, informandoti – poi, se vorrai, ti perfezionerai in altro modo, ma non sei costretta a iniziare da subito con una scuola o con un corso a pagamento. È straordinario. Ho trascorso ore e ore di fronte al computer a guardare tutorial di Makeup, ma non mi pesava, era qualcosa che desideravo fare. La stessa cosa è accaduta quando ho ricevuto la mia macchina Reflex in regalo: non avevo fatto ancora nessun corso, ma volevo imparare ad usarla, e ho iniziato a leggere tutte le cose che trovavo; diaframmi, tempi, messa a fuoco, profondità di campo …
Sei una ‘nativa digitale’.
Si, non conosco le macchine fotografiche tradizionali. Non ho mai fotografato su pellicola o diapositiva. Non avevo il tempo; il tempo lo trovi quando inizi a fare le cose per te. Quando sei concentrato su altro, sugli altri, non ti dedichi fino in fondo a te stesso.
La mia prima piccola compattina l’ho sfruttata al massimo, ho fatto con lei tutto quello che poteva. Poi, quando ho avuto in mano la Reflex per la prima volta, mi sono imposta di non usarla più, assolutamente mai, come una compatta. La funzione ‘A’ – il rettangolino verde: ‘Sono una macchina intelligente e faccio tutto da sola!’ – non mi piaceva più e non doveva più esistere nel mio modo di pensare e di guardare oltre il mirino. Volevo capire la foto, farla io, senza automatismi.
Un giorno sono uscita a passeggio – ricordo che ero nelle campagne, vicino a Udine, a Manzano credo – era autunno, una stagione che mi piace tanto, con le vigne, i colori che cambiano; ho fatto una foto in modalità automatica, ho guardato i tempi e il diaframma che la macchina aveva impostato da sola, poi ho messo in manuale e ho rifatto quella stessa foto. E da quel momento in poi non ho usato l’automatico mai più. E lo faccio anche quando sono di fretta, anche quando forse non dovrei: quando sono in teatro, o mentre sono a un matrimonio o a un evento. Sempre. Così, tante volte sbaglio, ma sono un po’ … tradizionalista: non avendo mai scattato in pellicola, mi piace pensare che usando solo la modalità manuale sono veramente io a creare la foto, e non la mia fotocamera. Anche se so che dovrei sfruttare di più le possibilità che la tecnologia ci mette a disposizione.
Se hai un pennello più buono, perché non usarlo.
Si. Almeno gli automatismi sulle priorità – tempi, diaframmi – e qualche funzione di controllo esposizione e messa a fuoco in più. Dovrei iniziare a usarle queste cose. Però fotografare è molto personale, è molto individuale, e sono contenta così, delle cose che faccio e anche del come.
E non hai mai voluto scattare su pellicola, ‘tornare un po’ indietro’? Non ti è mai venuta voglia?
No, ma per un motivo solo: il tempo. Sempre quello. Non ho molto tempo, non posso dedicare alla fotografia tutto il tempo che vorrei e usare la pellicola adesso mi sarebbe impossibile. Ho così tante foto digitali da sistemare; le ho guardate solo per un minuto e poi sono rimaste la’, e non ho il tempo … non riuscirei.
E le salvi almeno due o tre volte su dischi diversi queste foto?
Sii. Ho comprato un disco nuovo. Ma devo prenderne almeno ancora uno, perché sono terrorizzata dall’idea di poterle perdere. E poi, sai, come ti dicevo in tanti momenti mi vedo iperattiva, mi vedono così, ma io sono una donna tranquilla; d’inverno, fuori dall’ufficio, quando fa freddo, mi viene voglia di … andare in letargo, di sedermi sul divano di casa mia e basta. In certi momenti scatto e non vedo l’ora di vedere la foto, la preparo subito, magari la faccio stampare; altre volte … le mie foto rimangono lì sul disco, in attesa della ‘stagione calda’. A meno che non siano per qualcuno; allora ci tengo a dargliele presto.
Stampi?
Dopo la prima volta … non ho smesso più. È così bello far stampare le foto e poi guardarle, soprattutto quelle nei formati più grandi. È stupendo. Cerco di farlo ogni volta che posso. Vedere le proprie foto stampate in grande formato è completamente diverso dal guardarle su uno schermo; è una forte emozione, è impagabile.
Colore o bianco e nero?
Penso che il bianco e nero, nella foto, ti faccia focalizzare di più sulla situazione. Mi capita, alle volte, di ‘vedere’ già in bianco e nero; ti parlo di ambienti e di situazioni a forte contrasto: l’ombra e la luce. Le cerco, ho già in testa la foto che voglio fare e so dove sarà l’ombra in quella scena. Quando cerco ombra e luce, per me l’ombra è nera e la luce è bianca. In alcune foto il colore quasi disturba; un colore acceso sullo sfondo può distrarre l’occhio dal soggetto principale della foto, e se non è quello che vuoi allora da quella foto è meglio togliere i colori.
Però questo tipo di fotografia, se prima mi piaceva anche senza un soggetto umano, adesso non riesco più ad accettarla. Se è priva di vita non mi emoziona. Una foto senza soggetto umano mi può piacere ancora, ma sicuramente meno di quella che avrà vita in essa; prima, nei vicoli di Genova in cui vedo ombre e luci, avrei scattato la foto comunque, anche senza nessuno – adesso mi trovo ad aspettare il soggetto, l’uomo o la donna che passeranno. Aspettare è giusto; la luce è quella che vuoi tu, la scena ti piace, però è un po’ vuota – sai che prima o poi passerà qualcuno e quella foto sarà completa, e allora aspetti. Sei tu a creare la foto.
Robert Doisneau.
Saper catturare al volo un momento, un attimo, è importante, ma non vuol dire che una foto scattata d’istinto, un’istantanea, sia più o meno bella di una foto costruita. Se hai avuto l’idea, e hai creato tu la foto, è bella lo stesso. Ciò che conta è l’idea. Non ho un fotografo preferito, ma una citazione preferita si, quella ce l’ho: ‘Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere.’ È quella che sento più vicina al mio modo di essere. Ed è sua, di Doisneau.
E che tipo di fotografia ti piace di più? La ‘Street Photography’?
No, no; fa parte del genere di foto che mi piacciono di più perché ha comunque un soggetto, racconta una storia, ma la foto di strada non è strettamente la mia preferita. Il ritratto ambientato, credo – penso sia il genere che mi piace di più. Oppure le foto in cui sono io a creare tutto – foto inventate. Che sia una foto di un corpo, o il ritratto di un viso, o un vicolo in luce e ombra – ciò che conta è l’idea, è quello che c’è dentro. Quello che senti.
Mi piace la foto che trasmette qualcosa, al di la’ di qualsiasi genere o tipo. Meno hai dentro, meno trasmetti nella tua foto … pensieri, idee, creatività, cose che hai affrontato nella tua vita. Il tuo modo di vedere la vita. Queste cose che hai vissuto, e che hai, ti definiscono come persona, e si vedono anche nelle foto che fai e che farai. Se canto una canzone che mi emoziona, si vede, e lo sento, lo sente chi mi ascolta e io comunico; se non avessi quell’emozione dentro, non potrei comunicarla allo stesso modo. Così, nelle foto, credo di sentire quello stesso tipo di emozione, quello stesso tipo di comunicazione. La cerco. Ho scoperto di essere attratta dalle vetrine, dai riflessi delle persone che si specchiano in esse mentre nel frattempo oltre la vetrina, all’interno del negozio, succede qualcosa, o viceversa. Il ‘dentro-fuori’ la vetrina; ‘dentro-fuori’ se stessi. Cerco di fare quella foto in cui mi piacerebbe vedere me stessa ritratta.
Quelle che mi interessano meno, adesso, sono le foto naturalistiche. O i paesaggi. Sono belli, ma io faccio altre cose.
La tua foto di Parigi l’ha presa il sindaco di Trieste, Roberto Cosolini?
Si! Per beneficenza, durante una bella serata. Sono così contenta di aver scattato quella foto e sono felicissima che sia piaciuta a lui e a tanti. Di foto della Torre Eiffel ne trovi … non ti dico quante! Io volevo fotografarla a modo mio. C’era un pezzo di vetro, vicino al monumento della Pace, e se ti mettevi dietro ti dava quell’effetto come di vetro rotto … ho fotografato da dietro quel vetro ed è venuta così. Non c’è nessun effetto aggiunto in post produzione. Così è venuta proprio come la volevo, con uno stile mio; la mia Parigi.
Credo che nel momento in cui ti trovi a fare un lavoro fotografico commissionato o un servizio per una persona sia diverso – non puoi scegliere tutto tu, e quindi parti da indicazioni di base che devi rispettare. Non hai scelto tu il soggetto e probabilmente non scegli neanche il luogo. Però penso sia importante cercare di metterci comunque della creatività e farlo nel modo migliore; il ‘come farlo’ sta poi nella tua fantasia.
Usi molto poco la tecnica fotografica, quindi; il tuo è quasi esclusivamente un lavoro di … mente e anima?
Si. È un lavoro mentale. E c’è dentro l’anima. Non è necessario che la foto sia perfetta. Può essere anche mossa, o sfuocata – deve essere però come vuoi tu. Con il fazzoletto per dare alla foto la striscia di rosso, a Istanbul, magari, proprio dove la volevo io, o qualsiasi cosa, ma deve avere il posto giusto nella foto che sento di voler fare: ‘A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?’
Eugene Smith.
Curiosità ed emozioni. Non fotografia prettamente tecnica o scolastica; non vita senza emozioni.
Giuliana, mettere un titolo a una foto è importante?
No. La foto deve raccontare, non è necessario che ci sia un titolo. Qualche volta metto un titolo a una mia foto perché mi piace la poesia, ma non credo sia necessario. Ecco, anche metterci un titolo mi diventa sempre più difficile … così come trovare una canzone che mi piace. Sono sempre più esigente.
Nelle tue foto c’è poca post produzione.
Molto poca … quella che si riuscirebbe a fare in camera oscura su una foto a pellicola, più o meno, credo. Una post produzione che serve a dare una migliore definizione delle ombre, ad accentuare i chiaroscuri. Che poi è come lavorare sul viso quando fai Makeup, è molto simile: il trucco è chiaroscuro, è uno scolpire. Lavorare con il bianco e nero è come scolpire un’immagine. Sulle foto stampate per la mia mostra ho lavorato di più, perché c’erano delle esigenze grafiche e non è per niente un lavoro facile: ho chiesto consiglio, e ci ho messo molto più tempo di quello che ci metterebbe un professionista dell’immagine, probabilmente. Sicuramente. Sai, non volevo modificarle, ma solo dare a tutte uno stile che ricordasse quello di un quadro.
È vero; trucco e chiaroscuro. Trucco di scena. Tu sei stata anche modella, in molte foto, anche per fotografi noti.
Si, si. All’inizio sono sempre imbarazzatissima! Non sono poi così spigliata come può sembrare. Le prime – tante! – foto scattate quando sono la modella non sono mai quelle buone. Dopo un po’, ti sciogli e vai. Mi piace. Un po’ di vanità ce l’abbiamo tutti dentro, noi donne un po’ di più, e non nascondo a nessuno il fatto che mi faccia piacere, ora che ho quarant’anni, pensare che un giorno avrò ancora delle foto belle di me da riguardare. Così come mi fa piacere l’idea che gli altri trovino un bel ricordo di sé nelle foto che ho scattato io. ‘Modella’ o ‘Modello per un giorno’. Perché no. Mi piace.
Cosa consiglieresti a chi si avvicina alla fotografia?
Di guardare più foto che può. Sicuramente. Di uscire e scattare. Anche in modalità automatica le prime volte – è più facile – però cercando sempre di capire che cosa ha fatto la fotocamera e perché, e riproducendolo poi manualmente. Devi riuscire a capire completamente lo strumento che hai fra le mani, come se fosse uno strumento musicale, e poi devi sfruttarlo a modo tuo e fargli fare quello che vuoi tu.
Guarda l’arte, la composizione artistica, e ti farai un’idea di quello che ti piace; a un certo punto dentro di te sentirai qualcosa che ti dice: ‘Questa sono io. Questo sono io’. Prima che arrivi quel momento devi aver … vissuto tanto. Hai bisogno del tuo bagaglio di esperienze.
E poi … devi alzarti presto al mattino, devi muoverti in tempo. Per scoprire che gli stessi luoghi, in due momenti diversi della giornata, possono essere completamente diversi.
Ho ripreso a girare in cerca di luoghi e ho avuto l’idea di queste foto con Daniela – te le mostro. Ho visto quest’angolo del Porto Vecchio di Trieste: gli archi, la pietra bianca. Ho sentito la foto dentro, subito.
Ritrarre un soggetto con abiti di scena è molto diverso dal farlo posare normalmente, vestito come si veste ogni giorno: l’effetto è molto più d’impatto. Mi sono ricordata dell’abito da sposa rosso, e ho pensato che avremmo potuto usarlo come abito di scena, mantenendo il colpo di colore sullo sfondo bianco. Daniela ha studiato danza e ha modi molto eleganti di posare. La cosa più bella di quella giornata è che abbiamo fatto tutto da sole: l’ho truccata mentre eravamo sedute in auto, si è vestita, siamo uscite e ho scattato. Certo, se hai un team, a lavorare con te, è un’altra cosa; ti aiuta, hai qualcuno che ti tiene più in alto il riflettore e che ti regola la luce dei flash. Come abbiamo fatto per le foto ambientate ispirate a Jack Vettriano. Al contempo quando sei da sola con l’uomo o la donna che saranno il soggetto della tua foto c’è più intimità, vivi i momenti diversamente; sono più sentiti. In questo, l’essere anche la truccatrice della mia modella mi aiuta: mentre stai truccando qualcuno, e hai le mani sul suo viso, l’intimità si crea con naturalezza e molto presto.
Questa serie di foto voglio continuarla. Nella vita di ogni giorno non indossi gli abiti che vedi sulle riviste, non li hai nel tuo armadio … però puoi reinventare un abito che hai, creare qualcosa. Magari con l’abito che hai usato solo una volta.
Come ti è venuta l’idea di citare, nelle tue foto, l’arte di Jack Vettriano ?
Perché raccoglie un po’ tutto. Ha nelle sue opere l’atmosfera romantica in cui amo vivere; racconta, in una sola scena, una storia – c’è poesia, canta la canzone di un cantautore di una volta. L’uso dei colori caldi e delle luci. E’ un po’ retrò, così come mi sento io; sono un po’ nostalgica, mi piace circondarmi di cose antiche, non amo la modernità. C’è in Vettriano l’atmosfera di Leonard Cohen – Vettriano ha dedicato a Cohen ‘Dance me to the End of Love‘, ispirandosi alla canzone .
È quello che sento dentro di me, che voglio avere come stile. Volevo riprodurre la stessa atmosfera, ricreando nelle fotografie scene che non esistevano e che avevo visto nei quadri, scegliendo gli ambienti, le persone, gli abiti. Le pose. Le luci. Poi per le luci come ho detto prima mi hanno aiutata un poco … (sorride) … un bellissimo ricordo. Devo ringraziare tanto tutti quelli che sono venuti e hanno partecipato a questo mio progetto perché è stato fantastico, stupendo. Le foto e le poesie di Valentino Pagliei e Marco Bernobich sono state esposte al Caffè San Marco, a Trieste, in concomitanza con il ‘Trieste International Poetry Slam’.
È stato bello vederti lavorare. Gli scatti, per Vettriano, li avevi fatti in una giornata, più o meno; quanto avevi lavorato sul progetto?
Alcuni mesi; ma non posso proprio dire di aver ‘lavorato’ su questo progetto. Sono state idee, sensazioni – il fatto che Vettriano avesse nei suoi quadri proprio tutto quello che mi emozionava. È stato tutto molto veloce, quindi.
E alla fine, tutto completato
Non è ancora completato; ho ancora delle altre idee; foto da fare in esterni. La serie continuerà, e questa volta non sarà solo riproduzione dei quadri ma evoluzione. Ma: le vedrai, le foto. Più avanti.
Ci conto.
Roberto Srelz © centoParole Magazine – riproduzione riservata