Nicola Dreossi, a soli vent’anni, è già uno dei principali pittori emergenti sulla scena del Friuli Venezia Giulia. Con diverse esposizioni tra Gorizia e Monfalcone è riuscito a far parlare di sè per il suo stile magnetico e accattivante, caratteristica che non si limita solo all’ambito pittorico ma traspare anche dalla sua personalità. Si siede e prende posto, l’attenzione mi cade sui tatuaggi che sbucano di qualche centimetro appena fuori dalla maglietta degli Iron Maiden. Con il baffetto sbarazzino e i grandi occhi marroni diventa subito protagonista della scena. Cerco di metterlo a suo agio iniziando da quesiti un pò più generici ma non appena gli chiedo qual’è stato il suo percorso di formazione artistica sorride e scherzosamente la dipinge come una domanda scomoda.
“Finite le medie ho deciso di frequentare un un istituto tecnico suggestionato da mio padre che spingeva per qualcosa di più serio. C’è voluto poco per capire che non faceva per me dato che col disegno tecnico e tutte quelle regole da seguire mi sentivo limitato.”
Decide quindi di imboccare la strada dell’ Artistico sperando di trovare, tra quelle mura, la giusta libertà per far crescere la sensibilità pittorica che in quel periodo stava già spingendo per uscire. Il primo contatto di Nicola con la sua pittura non nasce da qualche lezione ma bensì da un incontro con la casualità:
“Ero in camera mia” dice “avevo dei tubetti di acrilico che dovevo finire. Così, ho deciso di usare il poco colore che ne rimaneva e c’ho immerso le mani. Ho cominciato a muoverle in direzione della tela, quando ho finito mi sono allontanato per guardarlo meglio ed era nato qualcosa di armonioso, al chè mi sono detto: “Perchè no?”
Con il tempo ha imparato ad affinare la tecnica, mi racconta di essere andato a documentarsi in modo più approfondito sul metodo dell’ Action Painting, quest’ultimo infatti è uno stile di pittura che si diffonde a partire dagli anni quaranta e dagli anni sessanta dove il colore viene fatto gocciolare o viene lanciato sulle tele invece di essere applicato con attenzione.
“Quando dipingo solitamente non uso il pennello ma direttamente le mani, mi sembra che così il contatto tra pittore e opera rimanga più intenso.”
Gli chiedo se in qualche modo, l’essere andato ad un liceo artistico o conoscere altri ragazzi con la stessa sua passione, possa aver influenzato il suo modo di dipingere.
Non ci pensa neanche un secondo che subito mi risponde:
“No sinceramente non penso che queste esperienze mi abbiano influenzato anche perchè ho sempre evitato di osservare opere altrui per non venirne condizionato, anche inconsciamente. Sinceramente ritengo di non assomigliare a nessuno nè di avere dei tratti distintivi per cui salti subito all’occhio che quello che si sta osservando siano mie creazioni anche se a parere di molto ho visto che non è così.”
Con il maturare della sua esperienza, anche il suo stile si è evoluto. Possiamo diversificarne infatti due periodi: quello del primo approccio che è stato appunto l’Action Painting. Un momento astratto, con figure più o meno definite, caratterizzato da ampie campiture di colori brillanti in netto contrasto con il nero.
Adesso invece predilige uno stile più maturo e ragionato, questo si concretizza in figure geometriche e forme definite che riprendendo il paesaggio urbano senza perdere però il tocco di spontaneità che si cela dietro ad ogni tela.
“Molta gente ritiene che ora i miei quadri riprendano un aspetto tribale, ma se li guardo vedo più un estetica Cyberpunk. Ad esempio nella composizione di radici, ho rappresentato il soggetto attraverso delle favelas adattate alla struttura anatomica del corpo umano.
Seguo molto questo genere, anche per quanto riguarda i film, uno degli ultimi che ho visto si chiamava “Tetsuo: The Iron Man” e parla di un auto-feticista che è solito innestare componenti metallici nel proprio corpo.”
In merito a ciò, mi viene da pensare che ognuno di noi almeno una volta nella vita sia rimasto suggestionato davanti ad un dipinto, una canzone, un libro o un film e si sia chiesto: Ma come fa?
Ecco perchè questa, è stata una delle prime domande che ho appuntato sul mio taccuino pensando all’intervista con Nicola.
“Cosa mi aiuta a dipingere? Solitamente, mi capita di ascoltare della buona musica in vinile. La lascio andare finchè non trovo la canzone giusta.
Alla fine quando osservo il mio lavoro completo, mi appunto sul retro della tela il titolo e capita che a volte andando a cercare il significato del testo trovi riscontro del significato di ciò che vedo nel quadro.”
Possiamo dire che le sue emozioni del momento e la musica che viene riprodotta in sottofondo si compenetrino a vicenda dando origine alle sue composizioni.
Gli domando se, come capita a me quando finisco di scrivere un racconto e lo prendo in mano dopo molto tempo, anche un pittore provi magari la stessa voglia di modificare le sue opere.
“Si certamente! Mi capita di voler cambiare delle cose, a volte lo faccio. Ci sono dei quadri che hanno uno spessore tale che ci avrò dipinto sopra dalle quindici alle venti cose. Sò per certo che in percentuale, quando dipingi sopra un disegno che hai fatto in precedenza, puoi stare sicuro che dovrai prendere quella tela e buttarla via.” –dice ridendo con l’aria di chi ne sa parecchio-“ più ci disegni sopra più perde, sia dal punto di vista visivo, sia da quello del significato.”
Prima di concludere l’intervista gli domando se ultimamente sta lavorando a qualcosa di nuovo, ma mi risponde abbastanza scoraggiato che ha dovuto momentaneamente dare la priorità al lavoro:
“ Per il fatto che sto cercando continuamente lavoro, ho perso un pò di vista la pittura e la voglia di dipingere.”
Gli chiedo se essere un’ emergente in una piccola provincia come quella di Gorizia, non abbia influito e insieme accentuato le difficoltà che un pittore come lui deve affrontare per farsi conoscere:
“ Da un lato sono contento di vivere in questa zona, perchè di personalità particolari c’è ne sono ancora poche e vedermi associato alla cerchia di quelli un pò diversi mi fa piacere. Dall’altro però essendo in pochi con gusti abbastanza fuori dal comune quando ci troviamo magari anche per uscire, non sappiamo dove andare. Vedo che per quanto riguarda il campo artistico, la nostra provincia è molto limitata nelle possibilità e anche nel farsi conoscere. Ho provato a mandare diversi miei lavori sia a Trieste che a Torino e Milano ma purtroppo non ho avuto riscontri positivi. Ciò che vorrei davvero è che fosse la mia città per prima ad incoraggiarmi e offrirmi le opportunità, non costringendomi a cercarle altrove.”
Parole che suonano familiari a molti, giovani e non solo, della provincia che cercano di inserirsi in questo tipo di ambienti.
“Non bisogna perdere la speranza anzi, la cosa giusta da fare è provare, provare, provare. Quando hai questo genere di cose dentro, sono emozioni che non puoi ignorare. Le cerchi, impari ad ascoltarle e finalmente quando ci riesci: Hai creato qualcosa di tuo.”
Con questo consiglio d’incoraggiamento si chiude il nostro incontro, ringrazio sinceramente Nicola per essersi prestato a quest’intervista.
Vero è la parola che userei per descriverlo ma soltanto dopo quelle di giovane talento.
Valeria Morterra @ riproduzione riservata-centoParole Magazine
foto:Sara Vivona