Il Carnevale al ‘Caffè San Marco’. Da poco conclusosi. Esattamente cent’anni fa, nell’Europa del 1914, la prospettiva di un cambiamento drammatico, profondo e ineluttabile nelle abitudini di vita di ogni giorno era impensabile. I pensieri di ciascuno erano molto più vicini a casa che rivolti al resto del mondo.
Che cos’era, allora, il Carnevale? Che cos’era stato prima?
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Centinaia e centinaia di anni fa, i seguaci della religione Cristiana Cattolica, a Roma, diedero vita alla tradizione di una grande festa notturna: una festa in costume proprio alla vigilia della Quaresima. Ai Cattolici veniva chiesto di osservare strettamente un precetto: niente carne durante la Quaresima. Chiamarono quindi la loro festa ‘Carnevale’: ‘via la carne‘, ‘niente carne‘. Le tradizioni di questa festa erano, come nel caso di altre ricorrenze, molto più antiche, mistiche e circondate di significati simbolici; per i Romani, che l’avevano mutuata dai Greci, la festa era ‘Lupercalia’ (alcuni credono sia più giusto accostarla a ‘Saturnalia’), un circo festoso in onore di Luperco, dio pastorale associato al Fauno (il greco Pan) , ai Satiri e ai loro sacerdoti, che si muovevano tra le genti nudi, coperti da pelli di capra (da qui il mascherarsi).
Una sorta di festa della guarigione, della fertilità e della felicità, nel corso della quale gli spiriti del male se ne andavano via, forse assieme all’inverno che lasciava ormai pian piano il posto alla primavera; una festa che lasciava gli uomini e le donne liberi di gioire della vita. Anche i primi Cristiani, in fondo, preferirono mutuare questa festa dai Romani anziché abolirla. Lasciarono che essa restasse un ‘tempo dei piaceri’ in cui i pagani Bacco e Venere erano i benvenuti, che precedeva il ‘tempo del pentimento’ e dei giorni di penitenza – perché ‘Carnis Levamen‘, in Latino, voleva anche dire ‘sollievo della carne’ – e quindi, ‘piacere’. Assieme al Cristianesimo però pian piano anche il Carnevale divenne qualcosa di diverso da ciò che era stato in origine. Il misticismo, in particolare nel corso del Medioevo e dopo, venne via via dimenticato, portato via da altro, e rimase nient’altro che un’occasione per divertirsi e festeggiare, travestiti, in compagnia. Mangiano, bevendo e godendo del ‘martedì Grasso’.
Con il passare del tempo, il trascorrere dei secoli, le feste di Carnevale italiane divennero molto famose, e furono esportate in Francia, in Spagna, in Portogallo: i gentiluomini, nel corso del Carnevale, erano usi scender da cavallo e passeggiare per la campagna, tra le genti, facendo loro omaggio di dolcetti preparati apposta dai servi, o donando monete ai popolani.
E da lì, con i viaggi di conquista, il Carnevale arrivò in tutto il mondo.
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La ‘Belle Epoque‘. Immaginavano forse, i parigini, di star vivendo in quel Carnevale del 1914 gli ultimi giorni di un’era, gli ultimi momenti di quell’ ‘epoca magnifica’ – della ‘Belle Epoque‘? Ne dubitiamo. Sicuramente a passar loro per la testa e a contrassegnare quei giorni turbolenti non era l’espressione ‘Belle Epoque‘ (che poi in francese suona più o meno come: ‘i bei tempi passati’ – molto meno romanzesca); essa venne coniata molto dopo, dopo la Grande Guerra, quando chi aveva vissuto quel tempo di spensieratezza iniziò a guardare indietro e a ricordare.
Ma, per tornare al punto, alla vita durante il Carnevale 1914 di Parigi, quindi: ebbene, nell’immaginario di tutti la ‘Belle Epoque‘ era bella. Molto bella. Nel 1914, a Parigi, si passeggiava fra ampie piazze, giardini rigogliosi e splendidi marmi e monumenti; i pantaloni rossi dei soldati, eleganti e impettiti nelle loro divise, spiccavano stupendamente, e sembrava strano, a chi arrivava dagli Stati Uniti con le navi della ‘White Star’ o della ‘Cunard’, come questi giovani uomini sfoggiassero insoliti e neri mustacchi, e come le donne fumassero liberamente dai lunghi bocchini, piroettando sui loro tacchi alti e offrendo ai passanti la vista delle loro gonne splendenti e dei loro migliori gioielli. I poliziotti portavano ancora la spada al fianco, e gli ufficiali sedevano al fianco delle loro dame nei caffè all’aperto sulla Senna.
Anche se nelle periferie di Parigi si moriva di fame, lo spirito della modernità era ovunque, era ciò che animava ogni cosa. Era l’ ‘Era delle Macchine‘: Louis Bleriot aveva da pochi anni attraversato la Manica sul suo monoplano di legno, il cinema dei Lumiere si poteva ormai ammirare dappertutto, anche all’aperto, e dalla Torre Eiffel, costruita trentacinque anni prima come simbolo di ciò che di più bello sarebbe venuto, un pennone, recentemente aggiunto all’opera in ferro, diffondeva onde radio nell’etere. Nell’arte, Pablo Picasso vedeva e dipingeva visi contemporaneamente da punti diversi, vedendo un mondo astratto. Lo spazio, il tempo e l’energia: tutto sembrava diverso, in quelle serate di Carnevale.
Milano. Zang Tumb Tumb. Parigi. Era la Parigi sull’orlo della guerra. Una Parigi che, a quella guerra, non poteva credere.
“Nessuno degnò calcolare il sole e il suo
straziante dolore umano in quella eterna
lagrimosa gioconda aurora d’artiglierie”
(Filippo Tommaso Marinetti, ‘senza titolo’)
straziante dolore umano in quella eterna
lagrimosa gioconda aurora d’artiglierie”
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Il 1914 fu l’anno che cambiò ogni cosa: drammaticamente, tumultuosamente. Fu l’anno nel quale iniziò un conflitto che si portò via trentasette milioni di vite. Fu l’anno che segnò la vita delle nazioni, che fece scomparire e nascere nazioni stesse, che lasciò il germe della Seconda Guerra mondiale e che alla fine diede forma al nostro nuovo mondo contemporaneo – al mondo in cui viviamo oggi. Eppure, nessuno, quando iniziò quell’anno 1914, avrebbe potuto immaginarlo. In fondo, guerre e tragedie c’erano già state – anzi, non avevano mai smesso di esserci. Perché mai quest’anno 1914 avrebbe dovuto essere diverso? Il cricket, a casa, continuava; i balli e le regate fra i rampolli delle migliori dinastie anche.
Il 28 giugno 1914 l’Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia vengono assassinati a Sarajevo. Il 4 agosto la Germania invade il Belgio; la Gran Bretagna dichiara guerra.
Nei caffè, non si balla e non si suona più; ci sono solo la musica dei cannoni, il sordo boato delle bombe, e la danza per la vita e per la morte nella trappola delle trincee e nel fango.
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La Parigi, la Vienna, e la Trieste di fine ‘Belle Epoque’ sono quelle che il Caffè San Marco di via Cesare Battisti ha ricreato il primo di marzo 2014 scorso; nell’atmosfera magica – allo stesso tempo curiosa, rilassata, riflessiva e, quando la festa inizia, spumeggiante – dei suoi tavolini in marmo, del legno scuro del bancone, delle pareti dalle colonne dorate. Pareti e specchiere dalle quali i volti dei nudi d’epoca dipinti guardano chi siede, calmo, a leggere, gustando un caffè o un aperitivo.
Aperto proprio in quell’anno 1914, il Caffè in stile viennese ‘San Marco’ di Trieste fu da subito un luogo di ritrovo popolare: per chi desiderava la tranquillità di uno spazio ampio, per chi sognava l’Italia e voleva scappare, o combattere contro l’Austria (in quegli anni – può sembrar banale ricordarlo – Trieste era una città dell’Impero), per gli studenti del vicino Istituto Tecnico o per chi semplicemente voleva trascorrere qualche ora in un ambiente elegante. La Prima Guerra Mondiale e gli Austriaci non lasciarono, al Caffè San Marco, un buon ricordo: lo distrussero quasi completamente. Ricostruito, divenne poi negli anni Venti il caffè dove incontrare Svevo, Saba e gli intellettuali; dopo il 1943 e poi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e durante l’occupazione Alleata seguì alterne vicende, di successo e meno; in particolare negli anni a cavallo del 2000 – essendo situato in una via divenuta ormai di grande traffico automobilistico, importante ma molto meno ‘centrale’ nella vita sociale della città e nel flusso turistico.
Ora il ‘San Marco’ risorge e ritorna a essere quel luogo d’incontro di giovani e meno giovani e di fervore culturale che era sempre stato. Il ‘Carnevale 1914’ ha visto una stupenda serata in maschera con un numerosissimo pubblico, tra musica (con le stupende voci delle ‘Babettes’ – le cantanti Eleonora Lana, Chiara Gelmini e Anna de Giovanni accompagnate per la serata da Tiziano Bole alla chitarra, Andrea Zullian al contrabbasso, Riccardo Morpurgo al pianoforte e Igor Checchini alla batteria).
Ringraziamo il ‘Caffè San Marco’, in particolare Eugenia Fenzi e Alexandros Delithanassis e tutto lo staff – nonché tutti i suoi ospiti per essersi prestati a ricreare, con i loro costumi e la loro attiva partecipazione, il ‘Carnevale Belle Epoque’ e la stupenda opportunità fotografica della serata. Le foto pubblicate in questo articolo sono di centoParole Magazine (Serena Bobbo, Giuseppe Galati Garitta e Roberto Srelz), di Enrico Sommer e di Alberto Bastia (Circolo Fotografico Fincantieri-Wärtsilä). Le macchine fotografiche d’epoca sono state esposte al ‘San Marco’ grazie alla collaborazione di Marcus Gabriel (‘Doctor Photo’, Trieste).
Roberto Srelz © centoParole Magazine, riproduzione riservata
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