Il Medioevo fu un periodo per lo più buio, per quanto riguarda la tutela: ad esempio, lo stupore che Alarico provò con le sue truppe quando entrò a Roma non salvò la città dalle devastazioni. Infatti, il V secolo d.C. fu caratterizzato dalle grandi attività di spoglio dei monumenti, e per ovviare a ciò gli ultimi imperatori romani, e successivamente i pontefici, concessero i beni superstiti ai ricchi signori, che ottennero così il compito di tutelarli. Significativa fu l’opera di Teodorico il Grande, re ostrogoto che conferì cariche, titoli e beni da tutelare ai ricchi privati, ristabilendo un ordine riguardo la tutela delle tradizioni e del gusto classici; ma il grave errore in cui cadde fu quello di concedere proprio ai ricchi signori questo arduo compito.
Significativa fu anche l’attività culturale di Aurelio Cassiodoro, prima testimonianza dei tentativi di salvare ciò che era possibile della cultura letteraria latina (monumentale opera, continuata nei secoli dai monasteri, che si diffusero in tutta Europa – contemporanea è infatti l’azione di san Benedetto e la conseguente nascita del monachesimo occidentale), culminata nella creazione a Squillace del monastero di Vivarium e favorita dal passaggio, quale supporto per la trasmissione della conoscenza, dal papiro alla pergamena (e, di conseguenza, il passaggio dal rotolo al libro): ciò è all’origine del nostro interesse per le importanti collezioni archivistiche e bibliotecarie. Le distruzioni e gli spogli continuarono anche dopo le invasioni barbariche con i conflitti civili, scoppiati tra le varie potenti fazioni distribuite sul territorio, in lotta per il potere: queste fazioni invadevano i monumenti pubblici per costruirvi castelli (è questo il cosiddetto fenomeno dell’incastellamento), comportando la perdita di importanti testimonianze dell’Antichità.
Nel 1123, il Consiglio Generale Lateranense approvò una legge con cui si stabilì il divieto di incastellamento ma, nel 1257, Brancaleone, per odio verso una fazione opposta, attuò la distruzione di molti importanti edifici di Roma, segnando così l’inizio del periodo più tragico per la città, culminato nella Cattività Avignonese (1308-1377). Quando la sede papale fu trasferita appunto ad Avignone, i nobili romani iniziarono una campagna di spoglio incontrollata degli edifici antichi (Colosseo in primis) per costruire le proprie case private.
È interessante notare che Petrarca, testimone oculare di ciò, implorò l’allora pontefice di ritornare a Roma e porre rimedio a questa scellerata opera di “rovina”. Il ritorno della sede papale nella città laziale, però, non segnò il cambiamento sperato. Si dovrà aspettare l’Umanesimo e il Rinascimento per avere le prime leggi pontificie stabili volte alla tutela. Però, bisogna anche tener conto di ciò che è avvenuto nei comuni: in essi, vennero reinterpretati i sentimenti collettivi, portando alla nascita dei presidi giuridici con lo scopo di impedire il deturpamento urbano. Comparve la figura dell’Ufficiale dell’Ornato, che aveva il compito di regolare la costruzione e la demolizione delle strutture nel sistema architettonico urbano.
L’età moderna, inaugurata appunto con l’Umanesimo e il Rinascimento, segnò una svolta importante nel sistema di protezione del patrimonio storico-artistico del territorio (anche se con scopi propri del tempo, e con periodi di ritorno al caos), legata al sempre maggiore interesse per le antichità che emergevano a Roma e in tutto il frammentato territorio della penisola con l’adozione di norme legislative, ispiratesi alle leggi dello Stato Pontificio, volte alla salvaguardia delle antichità e a impedire le esportazioni illegali delle collezioni di opere d’arte moderne, concepite in queste leggi come elementi a decoro dello Stato oltre che come proprietà delle rispettive famiglie, come testimonia la lungimirante volontà testamentaria di Anna Maria Luisa de’ Medici che, tramite il Patto di famiglia del 1737, lasciò in eredità il mastodontico patrimonio artistico di famiglia agli eredi lorenesi a condizione che ne fosse garantita la conservazione, non solo fisica ma anche geografica, nel Granducato.
La prima legge venutasi a formare fu quella emessa da Martino V nel 1425 (Etsi de cunctarum), con cui il pontefice esortava i romani a rifabbricare case di grande lusso e a restaurare gli edifici in rovina, poi regolarizzò le usurpazioni passate, ripristinò gli antichi edili (nominati Maestri delle strade), obbligò il controllo dell’ornato e del decoro della città, nonché impose di demolire le fabbriche addossate agli edifici storici. La sua opera fu continuata, con sempre maggiore impegno e coscienza, dai suoi successori con un rigore non sempre costante e concreto: ad esempio, Pio II con la bolla Cum Almam Nostram Urbem vietava la demolizione o il danneggiamento di monumenti e rovine sotto la pena della scomunica e la confisca dei beni, ma non si fece problemi a spoliare il Portico di Ottavia per costruire il perduto pulpito di San Pietro. Unica eccezione, però, fu Pio V, che abrogò le precedenti costituzioni nel 1571; ma, dopo la sua morte, Gregorio XIII ripristinò le leggi precedentemente vigenti, nel 1574. Questi papi illuminati, oltre a regolare lo stato dell’ornato, iniziarono anche la tutela effettiva e “moderna” delle antichità, con pene severe per i trasgressori.
Significativa fu la nomina di Raffaello, già attivo come architetto a San Pietro, a Ispettore alle Antichità per volere di Leone X nel 1515: egli fu incaricato di analizzare il materiale lapideo classico per scegliere quello che sarebbe poi stato usato nel cantiere della nuova Basilica (cioè materiale di poco valore, con assenza o presenza di iscrizioni di scarso interesse). Egli accettò, ma tentò allo stesso tempo di dissuadere il papa da compiere un tale uso, come testimonia la Lettera redatta a quattro mani da Raffaello e Baldassar Castiglione per la tutela scientifica delle antichità riscoperte; contemporaneamente, si aggravò il fenomeno delle calcare (comportando la trasformazione di molte opere d’arte di marmo in calce per costruzioni).
Nel 1534, a Raffaello successe l’erudito Latino Giovenale Mannetti, per volere di Paolo III, come Commissario alle Antichità (quale figura di Soprintendente ante litteram). Di grande significato fu, inoltre, l’intervento di Michelangelo all’interno delle antiche Terme di Diocleziano: per i suoi committenti, i Certosini, trasformò il Tepidarium nell’attuale Santa Maria degli Angeli, poi rimaneggiata da Luigi Vanvitelli; l’artista riadattò, senza stravolgere, l’ambiente antico per il nuovo scopo, cambiandone solo la copertura. A parte questi casi eclatanti, nel corso dei secoli le leggi pontificie si susseguirono copiose, anche se risultarono essere (salvo poche eccezioni) poco più che dei perfezionamenti delle precedenti. Dopo il già citato Paolo III, meritano di essere ricordati gli interventi di Giulio III, Pio IV e Gregorio XIII, nonché le opere dei cardinali Aldobrandini, Sforza, Altieri, Spinola e Albani. Queste leggi hanno una serie di caratteri comuni: il divieto di distruggere o deteriorare i resti dell’Antichità e di procedere a scavi non autorizzati, di appropriarsi e vendere materiali ritrovati (su cui lo Stato ha il diritto di prelazione) e, inoltre, di esportare fuori Roma e dallo Stato qualunque oggetto d’arte senza licenza valida. Soprattutto il concetto di esportazione fu introdotto in questo periodo, attuando inizialmente solo una protezione generale, poi sempre più raffinata nel tempo.
Il Settecento segna il trionfo dell’Antichità, grazie anche al diffondersi del Grand Tour, fenomeno che permise ai nobili europei di conoscere il grande passato romano e quello rinascimentale-barocco della penisola; e proprio in questo secolo si formarono le leggi più significative dell’età moderna. L’Editto Spinola (1704) sancì che il patrimonio storico-artistico favorisce chi ne è usufruitore continuo; successivamente, il cardinale attuò una distinzione tra cose rare e cose prive di rarità, attivò le prime norme per prevenire l’esportazione illegale di opere (dato che esse suscitarono nei personaggi del Grand Tour non solo ammirazione e invidia, ma anche un desiderio di possesso): si colpirono perciò tutti coloro che potevano essere addetti alle operazioni di trasporto di questi, con l’adozione di pene molto severe. Si accennò anche, per la prima volta, al divieto di mercificazione di opere falsificate. Il cardinale Albani, nel 1733, confermò tali concetti, e ribadì soprattutto quello dell’utilità collettiva.
Nel 1750, papa Benedetto XIV vietò la falsificazione delle opere; nello stesso anno, il cardinale Valenti realizzò il suo Editto, in cui riprendeva i lavori precedenti, vietando gli spogli e nominando tre Assessori competenti in materia di architettura, pittura e beni archeologici: questi avevano lo scopo di aiutare il Commissario nella sua opera. In sintesi, l’età moderna fu un periodo di grande sviluppo per la tutela e la considerazione dei beni storico-artistici: di fatto, un’anticipazione dei grandi sviluppi di questo campo in età contemporanea. Ma è certo che il passaggio tra questi periodi non fu per niente tranquillo o scontato…
Marco Rago © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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