Artemisia Gentileschi: uno spettacolo di grande impatto

Secondo il regista Peter Brook il teatro si può fare semplicemente con la parola, ed è questo il caso dello spettacolo teatrale “Artemisia Gentileschi – L’incontro” scritto e diretto da Lino Marazzo, che ieri sera è andato in scena alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti di Trieste.

Giuditta che decapita OlofernePochi gli elementi scenici: una sedia, una panca, un tavolo, uno sgabello e un enorme dipinto di sfondo, dove vi sono raffigurate due donne che cercano di uccidere un uomo; si tratta di “Giuditta che decapita Oloferne”: uno degli episodi dell’Antico Testamento, dipinto da Artemisia Gentileschi – pittrice italiana del Seicento.

Va sottolineato che Roland Barthes si è soffermato sull’analisi di questo quadro, poiché esso possiede qualcosa di innovativo: “Aver messo nel quadro due donne, e non solo una, mentre nella versione biblica, la serva aspetta fuori; due donne associate nello stesso lavoro, le braccia frapposte, che riuniscono i loro sforzi muscolari sullo stesso oggetto: vincere una massa enorme, il cui peso supera le forze di una sola donna.

Lo spettacolo inizia nel buio, o quasi: Fulvio Falzarano – che interpreta Orazio, il padre di Artemisia – entra in scena restando in penombra; gli spettatori riescono a intravedere, a malapena, il suo volto e il quadro – entrambi illuminati dalla candela retta dall’attore. Fuori piove, dentro il colore sembra essere stato assorbito dall’oscurità, che pian piano svanisce, facendo scorgere una luce fioca che illumina la scena.
Dopo l’arrivo dell’uomo – che scruta la stanza buia – giunge Artemisia Gentileschi, interpretata da Silvia Siravo: sua figlia, una pittrice come lui. La vista di quest’uomo, in un angolo della stanza, la spaventa, ma poi, pian piano, i due iniziano a dialogare.

I due attori si destreggiano egregiamente in dialoghi movimentati, di grande impatto, che fanno emergere la storia di Fulvio Falzarano e Silvia SiravoArtemisia: che perse la madre da piccola e fu cresciuta dal padre pittore, dal quale apprese le tecniche pittoriche e la passione per l’arte. Da giovane fu violentata da un amico di suo padre; successivamente ci fu un processo.
Artemisia e Orazio, in questo spettacolo, si incontrano dopo tanto tempo – non si vedevano da cinque anni – anche se il padre, nel frattempo, è stato informato di ciò che era accaduto alla figlia. Lei non riesce a dimenticare il passato; un passato crudo, terrificante, che non l’abbandona. Il padre, giunto a Firenze, dove la figlia vi si era trasferita, andando via da Roma, cerca di riportarla con sé. Qui emergono le attenzioni da parte del padre verso la figlia che, come ad un tempo, si fanno sentire e prendono forma.

La recitazione dai toni contrastanti e forti è perfettamente in armonia con la luce calda che illumina solo parte della scena e i corpi degli attori, creando così un tableau vivant molto suggestivo che si lega perfettamente con il quadro di sfondo dall’aspetto caravaggesco; i due protagonisti sembrano perciò usciti dal dipinto prendendo vita.
Da questo spettacolo si evince chiaramente la forte personalità della donna – elemento quasi sempre sopito nell’Italia d’allora – che emerge anche nei suoi lavori. Il tema affrontato in scena, per certi aspetti, è molto attuale: la violenza sulle donne. Questa pièce teatrale vuole essere un grido di condanna contro ogni forma di ingiustizia e maltrattamento nei confronti delle donne.

Lo spettacolo andrà in scena il 9, il 10 e l’11 aprile per le scuole, mentre il 12 per il pubblico.

Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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