Anna. Un racconto di Franco Bulli.

Ora sono abbastanza distante per sorridere senza tremare, al ricordo di te.
E per raccontare.
Allora, rammenti, scrivevo.

Incontrata per caso. Inventata una serata a casa mia. Raccolti quattro amici in dieci minuti.

Mentre parlo con gli altri sto pensando a te, le parole che dico sono per te, è come se non ci fosse nessun altro ad ascoltarmi. Però ti sento molto estranea, mi sembra di essere out, tagliato fuori in pieno, escluso dalla tua vita. E maledico lo sci, maledico la neve.
Non ti vedo quasi più, ogni idillio mentale, ogni speranza di storia che inizi sta svanendo. Sto cedendo alla ragione e mi fa male.
21 gennaio
E oggi sei di nuovo lontana. Quante volte ho già scritto questa frase?
Pensare a te mi fa sempre male, mi fa sentire un naufrago che sta lentamente lasciando andare alla deriva l’unica barca che vede attorno, spinta da un vento caldo e odioso.
Anna ti amo.
Cos’altro ha importanza? Forse non volevo proprio questo? Amare?
Il 25 gennaio Anita mi portò un ritaglio di giornale. La modella secondo lei ti assomigliava in qualcosa. Non sbagliava del tutto, c’era nel volto della ragazza un’espressione che faceva venire in mente la tua dolcezza. Incollato sull’agenda. Un’immagine sacra.
Le ho telefonato. Molto distesa, molto tranquilla, sembrava sinceramente contenta di sentirmi. Ci vedremo domani sera al cinema. Non so più cosa dirle. Sarebbe giusto le dicessi che lei è la mia vita. Ma il coraggio è morto.
26 gennaio.
 
Film in inglese. Zero. Ti ho aspettata molto, in un crescendo di tensione e preoccupazione, ma non sei proprio venuta.
Non era mai successo, che non fossi stata di parola. Qualcosa deve pur esserti capitato, non è da te tirare questi bidoni.
Già perdonata.
Ma sono sempre più vuoto. Ogni volta mi fa meno male, e sono certo che ormai non avrò più la sensazione di morire quando ti vedrò.
Pia illusione. Ma davvero in quel momento quasi speravo di smettere di soffrire. Di scivolare piano nell’atarassia. Di abbandonarmi al sonno delle emozioni. 27 gennaio.
Ti ho vista, per un istante, passando furtivo come un ladro, e se non altro so che non ti è successo niente. Ne avevo bisogno.
Ma allora perché non mi chiami? Stasera vorrei tanto uscire con te, come una volta … vorrei provare a me stesso che sono ancora capace di parlare a una donna. Anche se la donna sei tu, incredibilmente realista e positiva.
Cosa potrebbe dirti un sognatore?
Cosa potrebbe darti un sognatore?
28 gennaio. Mi sentivo come il sacco su cui i pugili si allenano. Prendevo colpi sordi che mi squassavano e mi sbattevano via. Ma tornavo avanti. A guardia bassa. Per averne ancora.
Mi telefoni. Ti scusi per non essere venuta mercoledì. Dovresti partire domani mattina, forse stasera. Dici che vuoi andare in montagna anche se non c’è neve. E va bene. Ci vedremo la prossima settimana.
Ti incontro poi, scendendo apposta verso città a piedi, mentre torni a casa da lezione. Sei con un tipo mai visto, credo studi con te ma potrebbe essere lui, non so. Chiunque sia non me lo presenti. Mostri una gran fretta di andartene. Provo a chiederti di uscire stasera, nel caso restassi in città, e per la prima volta ti vedo imbarazzata. Mi biascichi una scusa (un’amica a cena) e ci salutiamo.
Ho una voglia pazza di spaccare qualcosa.
Ancora oggi, tanti anni dopo, mi chiedo quando ci ripenso perché mi hai sempre taciuto di Luca. Volevi evitarmi un dolore? Ti facevo pena? Oppure avevo un piccolo posto nel tuo cuore? Speravi forse che io finalmente mi decidessi, troppo legata al tuo ruolo di donna per prendere un’iniziativa o addirittura bloccata dalla mia stessa insicurezza?
Non so nemmeno se vorrei saperlo mai.

(da un racconto di Franco Bulli)

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