Aylin Alp Istanbul

Alla ricerca delle proprie origini: torno in Turchia

Intervista ad Aylin Alp, giovane triestina di origine turca, che racconta la sua vita ad Istanbul, dove ha scelto di tornare per scoprire e approfondire le origini della sua terra, tra cultura, vita e persone, seguendo un progetto di assistenza sociale attraverso l’associazione del Servizio Volontario Europeo.

Aylin, so da sempre che per metà sei originaria della Turchia da parte di padre, mentre tua madre è di origine  slovena, ma tu sei nata e cresciuta a Trieste. Nel corso della tua vita, sei mai stata in Turchia? Che tipo di insegnamento hai ricevuto in casa per quanto riguarda la cultura turca?

Alp IstanbulSi, credo una decina di volte almeno.

Sono stata ad Istanbul con la mia famiglia. Era la città natale di mio padre, ma io non parlavo il turco perché in casa non ce l’hanno mai insegnato, né a me né a mio fratello. Credo per una questione di praticità, visto che viviamo in Italia e io dovevo in ogni caso parlare la lingua del luogo. Per l’educazione, beh, credo nulla di troppo calcato rispetto ad altre famiglie, se non che la carne di maiale non c’era mai sulla nostra tavola, e per uscire la sera mio papà era un po’ più severo.

Come ti sei avvicinata concretamente alla possibilità di andare a passare un periodo della tua vita ad Istanbul? Che cosa ti ha portato a questo?

Dopo essere stata in Turchia con la mia famiglia, sono tornata poi da sola, ma come turista, e c’era sempre qualcosa che mi richiamava da dentro, ogni volta che mettevo piede in quel posto, una sorta di urgenza, un bisogno di capire, scoprire, andare più a fondo. Non ho mai provato un distacco o un rifiuto, pur non essendo nata là e non avendo mai parlato turco in casa. Sentivo che volevo scavare e capire da sola quali fossero veramente le mie origini, conoscerle e giudicarle dal mio personale punto di vista, cercando in questo modo di spogliarmi di ogni opinione e pregiudizio dati dal parlare comune, dall’informazione manipolata o letta male e dall’altissima censura presente in Turchia. Inoltre mi interessava moltissimo conoscere e capire anche la cultura curda e capirne le dinamiche, oltre a quella turca.

Così mi sono iscritta alla facoltà di Interculturalità a Lettere e Filosofia, principalmente perché era l’unico posto in cui si studiava la lingua turca, oltre al fatto che mi interessavano e mi interessano ancora tematiche di impronta sociale e storico – culturale. In questo modo ho avuto la possibilità di studiare e parlare il turco per cinque anni, poi ho continuato a studiarlo da sola e quando mi sono laureata ho fatto domanda per lo SVE (Servizio Volontario Europeo) in modo da seguire un progetto di assistenza sociale per le donne e i bambini ad Istanbul.

L’associazione turca si chiama Mavi Kalem, che in turco significa “Penna blu”.

Quanto tempo sei rimasta ad Istanbul?

Dieci mesi. Sono partita a settembre del 2012 e sono rientrata – a malincuore – a giugno di quest’anno.

Alp IstanbulTi va di parlarmi un po’ di più dell’associazione Mavi Kalem? Quali erano le attività principali che svolgevate con le donne e i bambini? Immagino tu sia venuto a contatto con situazioni di diverso genere…

Si, infatti. Beh, come ti ho detto, l’associazione si occupava di dare un’assistenza alle donne e ai bambini. Gli uomini non erano contemplati in questo progetto e c’è un perché. La Turchia in generale presenta una cultura piuttosto omocentrica, che allo stesso tempo non mi sento di definire maschilista, perché così non è esatto. Diciamo che esistono dei luogo e delle circostanze in cui soltanto gli uomini possono accedere. Le donne e i bambini sono totalmente esclusi. Parlo soprattutto di certi caffè in cui gli uomini si ritrovano per bere e discutere, o luoghi del thè dedicati solo agli uomini che entrano per bere il thè e passare il tempo a giocare a carte. Da questo non è corretto dedurre che le donne vengono maltrattate, in senso generale. Sicuramente ci sono delle situazioni spiacevoli, così come ne troviamo in Italia o in altri paesi.

Con l’associazione facevamo dei lavori di impronta psicologica,  che andavano in profondità su tematiche emotivamente complicate. Per esempio in un’attività teatrale cercavamo di estrapolare determinati stati d’animo o problematiche nascoste attraverso lo studio del linguaggio del corpo, soprattutto a livello facciale. Con questo metodo sono venute fuori parecchie cose interessanti, ma frustranti allo stesso tempo. A seguire l’iniziativa, venivano cinque donne, tutte diversissime tra loro a livello caratteriale e comportamentale. C’era quella più timida e remissiva, l’altra più sicura e tenace, che però nascondeva al marito dei corsi presso l’associazione, perché lui non voleva. E così via … inoltre fornivamo un aiuto anche per il vestiario e per i bambini organizzavamo dei lavori di doposcuola (musica, teatro, sport ecc.) insieme a tutti gli altri volontari.

Dove hai vissuto ad Istanbul?

Vivevo in uno dei quartieri più belli, tra l’altro patrimonio dell’UNESCO: si chiama Fener – Balat. In realtà erano due quartieri diversi ma adiacenti. Fener era il quartiere in cui lavoravo ed era ortodosso, mentre a Balat ci vivevo ed era un quartiere ebreo.

Sono dei luoghi completamente a sé stanti, ma ora sono abitati da gente dell’est anatolico, come zingari, curdi, gente povera, di famiglie molto umili e gente emigrata a causa dei conflitti curdo – turchi e che arrivava nella grande città in cerca di fortuna. Io stavo in un appartamento con una coppia di ragazzi arabi. Con lei ho stretto un rapporto meraviglioso, una complicità intensissima. Eravamo come due sorelle.

Istanbul è conosciuta per essere una città cosmopolita, ma tu hai avuto la possibilità di vivere a stretto contatto sia con la gente del posto, quindi turchi, sia conoscere la cultura curda, ma anche conoscere  realtà differenti, presenti però nella stessa città. Che cosa ne hai ricavato, a livello di esperienza? C’è qualcosa che ti è rimasto maggiormente impresso e che ti va di raccontare?

Alp IstanbulSicuramente mi sento di dire che dal mio vissuto personale e dalle mie esperienze passate la cultura turca esiste poco, oramai.  La Turchia presenta tantissime varietà di cultura, soprattutto Istanbul, appunto.

Credo che la vera cultura turca sia l’est. Lì le tradizioni dei paesi, delle culture microcosmiche sono ancora presenti, con ogni lato negativo e positivo. Ed è per l’est che ho capito di avere un reale interesse. Mi affascina la terra e la gente che ci vive, come i curdi per esempio, che sono stati considerati una minoranza etnica e hanno vissuto delle stragi da parte dei turchi nel tentativo di sradicare la loro lingua, che non ha nulla a che vedere con la lingua turca, e le loro tradizioni.  Credo che il mio bisogno di capire una cultura emarginata come quella dell’est, nasca dal fatto che nella mia esperienza precedente in Italia, ho maturato un totale rifiuto per ogni tipo di discriminazione razziale e ho scelto, per questo, di lavorare nell’ambito sociale per la salvaguardia delle minoranze etniche.

Per quanto riguarda l’approccio alle altre culture ad Istanbul, non ho avuto nessun problema. Oltre a vivere con i due ragazzi arabi, frequentavo a volte una casa di artisti locali e con loro son uscita da Istanbul e ho visto dei posti diversi, anche quelli a sé stanti. Poi ho aiutato una ragazza turca che lavorava il cuoio; andavo nel suo atelier e insieme lavoravamo, raccontandoci entrambe la propria vita. In lei per esempio ho notato la diversità del vestiario: io la definirei una ‘fricchettona turca’, nel senso che portava i veli e i classici vestiti turchi, ma tutti rivisitati secondo il proprio gusto. Le ho chiesto da che cosa derivasse la scelta del vestiario (veli, copertura del viso chi più chi meno, ecc.) e lei mi ha risposto: “ l’interpretazione deriva dal Corano” e ha tagliato corto così.

Ognuno la interpeti come vuole. (Ride)

Adesso che sei tornata, cosa pensi e cosa ricordi con più intensità?

Alp IstanbulTutto … e non mi sento completamente a posto con me stessa e neanche con quella terra. Mi sembra di averla solo assaporata, ma non ancora del tutto capita e vissuta come vorrei.

Sento il bisogno di tornare là, ogni giorno. Mentre cammino per strada continuo ad ascoltare musica turca e ogni volta che vedo degli occhi scuri e dei tratti che richiamano la Turchia, mi emoziono … a modo mio so di essere parte di quella terra e di averne capito l’essenza, ma nonostante questo continuo a sentirmi un outsider ovunque. Nessuno riconosceva in me né tratti turchi né italiani, perché sono bionda con gli occhi chiari. E come succedeva là, succede anche qua. Provo un senso di sradicamento costante, ma credo che non sia la cosa determinante che ho capito da questa esperienza, bensì che bisogna avere consapevolezza di sé stessi e non accontentarsi mai delle parole dette o sentite, ma andare a fondo e capire le sfumature di ogni cultura. In questo modo ho voluto sbattere la faccia contro la difficoltà curda, per esempio, e superare delle opinioni date da fonti esterne che non mi stavano più bene.

Francesca Schillaci

 

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