Dopo il successo della prima parte dello spettacolo “A Sarajevo il 28 giugno” – allestimento a cura di Giulia Corrocher – si conclude questa sera al Museo della Guerra e per la Pace “Diego de Henriquez” la seconda parte della pièce teatrale, tratta dall’omonimo libro di Gilberto Forti e da un’idea dello scrittore e giornalista Paolo Rumiz.
In questa seconda parte troviamo altre testimonianze che partono dall’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, per poi spaziare nei ricordi dei singoli personaggi interpretati da un altrettanto brillante cast: Ariella Reggio, Paolo Fagiolo, Adriano Giraldi e Riccardo Maranzana.
Nelle sale del suggestivo museo, fra vecchi ricordi e oggetti bellici, “A Sarajevo il 28 giugno” prende vita dai racconti coinvolgenti ripetuti ciclicamente dai quattro attori, che il pubblico, diviso in più gruppi, può seguire spostandosi da una sala all’altra.
Ad intramezzare i monologhi sono le soavi e melodiche musiche di Johann Strauß figlio e Franz Schubert, eseguite impeccabilmente dal Quartetto d’archi Iris (Laura Furlan, Emanuela Colagrossi al violino, Maria Lucia Dorfmann alla viola e Cecilia Barucca Sebastiani al violoncello).
Padre Kowalski (Riccardo Maranzana), seduto ad una scrivania, espone ciò che è accaduto il giorno dell’attentato; giorno che secondo lui doveva essere di festa, di pace e tolleranza religiosa e civile, ma che purtroppo si è dimostrato l’opposto: dopo un primo attentato alla banca austriaca, ce n’è subito un altro che colpisce l’Arciduca Francesco Ferdinando e la sua consorte, uccidendoli entrambi.
Grazie ad una dialettica incalzante e ad un movimento gestuale coinvolgente, Maranzana crea un’atmosfera dai toni energici, ma nel contempo riflessivi, che si manifestano inequivocabilmente nell’esposizione dei fatti da lui narrati.
Nella penombra, illuminata solamente da una luce fioca, seduta comodamente su un’antica poltrona, la duchessa Polyxena Singer (Ariella Reggio), trasferitasi negli Stati Uniti dopo aver sposato un ebreo americano, si lascia trasportare dai ricordi della sua giovinezza; inizia così a raccontare di quella volta che, a 19 anni, durante una festa, ebbe l’occasione di ballare con il futuro erede al trono Francesco Ferdinando.
Ariella Reggio, in una mise dai colori pastello, con il suo frizzante sguardo e la sua briosa presenza scenica, trasforma un semplice racconto in un qualcosa di accattivante, dal sapore mondano.
L’affascinante Botanico Bach (Adriano Giraldi), assunto presso la residenza dell’Arciduca, racconta dell’enorme passione che Francesco Ferdinando aveva per i fiori e in particolar modo per le rose, tanto da non permettere a nessuno di entrare nel suo giardino. Ma, con grande sorpresa, poco tempo prima di morire, l’Arciduca aveva fatto aprire il giardino alla popolazione, che era rimasta entusiasta della bellezza di tale luogo. La voce calda, sicura e intrigante di Giraldi conferisce al monologo maggior enfasi, che va a sommarsi al sinuoso movimento di mani dell’attore, con il quale accompagna delicatamente al petto una rosa gialla.
In base a degli allegati, a ricostruire gli ultimi giorni dell’Arciduca è l’Archivista Dunkelblatt, interpretato da Paolo Fagiolo, il quale, con una posata lettura interpretativa, racconta la vita di Francesco Ferdinando dal giorno in cui si è sposato con Sofia fino a poco prima della sua morte. Tra i documenti emergono lettere e telegrammi che l’Arciduca ha scritto ai suoi cari.
Questo spettacolo rientra nella rassegna “Teatro al Museo” realizzata in collaborazione con il Comune di Trieste e il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia; inoltre è inserito nell’ambito delle manifestazioni estive della città di Trieste.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Foto di Nadia Pastorcich al Museo de Henriquez