Roberto Freno, nato a Lodi nel 1953, è un architetto, fotografo e pittore. Ha lavorato per riviste importanti come “Gran Bazaar”, “Casa Vogue”; e dal 1986 – dopo essersi trasferito a Bergamo – si è dedicato alla pittura.
I suoi lavori sono una sintesi dell’arte Pop e di quella rinascimentale. Nei suoi dipinti troviamo un richiamo all’epoca d’oro del cinema, e alla musica degli anni ’60. Come nasce l’idea di realizzare queste opere? Come le descriverebbe? E che tecniche utilizza?
Più che sintesi parlerei di comunione, compenetrazione, osmosi in continuo divenire.
La formazione di architetto mi ha portato ad amare e riconoscermi in uno dei momenti più alti di civiltà quale quello rappresentato dal nostro Rinascimento. Non solo sotto il profilo artistico, ma anche nei valori sociali e culturali, in senso lato, di cui l’Umanesimo si è fatto portatore. La centralità riconosciuta all’uomo dal Rinascimento è la base del mio fare, una matrice originaria a cui sempre riferirmi. Le vette raggiunte da Leon Battista Alberti, Brunelleschi, Michelangelo, Leonardo, Raffaello penso e credo siano inarrivabili, costruite a loro volta dall’insegnamento della classicità. “Chi ci libererà dai Greci e dai Romani?” scriveva J.M. Clèment.
I miei lavori agli inizi degli anni ’90 raccontano esplicitamente l’Umanesimo rinascimentale con la presenza simbolica nelle mie piazze del tempietto dallo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello e da S. Pietro in Montorio di Bramante. Già allora apparivano però, sui muri delle mie città disegnate, gli elementi della contemporaneità, attraverso i manifesti dei film di Fellini, Antonioni, Billy Wilder e dei concerti e copertine dei dischi dei Beatles, icone di una pop art sublimata da Peter Blake con la copertina del leggendario “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”.
Ho sempre cercato e coltivato l’interdisciplinarità: professionalmente nell’architettura, nella pittura e nella fotografia e come passione, fin dall’adolescenza, nel cinema e nella musica. In tal senso il mio lavoro, come in una sorta di Weltanschauung filosofica, è
rinascimentale. Solo apparentemente poco importante è l’aspetto della committenza. Gli artisti rinascimentali così come i pop artisti moderni, si sono messi al servizio della convivenza civile e della società, rappresentandola nei simboli delle rispettive epoche; in quel tempo era una sorta di negazione dell’espressionismo di là da venire, dove la dimensione dell’io si rivelava attraverso la filosofia, sopratutto neoplatonica, oggi sono la rappresentazione delle icone popolari, massmediatiche, trasmesse principalmente dal cinema e dalla musica. Giulio II e i de’ Medici erano i committenti di Michelangelo e Leonardo; Gianni Versace, Mick Jagger, imprenditori e professionisti sono stati e sono i committenti di Andy Warhol e David Hockney.
In tal senso anche molte mie opere sono commissionate: mi vengono richiesti lavori sui grandi personaggi del cinema, della musica, della letteratura, ma anche ritratti di persone e famiglie della società civile. Questa cosa mi piace molto perché mi permette di tenere viva, attualizzare e rinnovare la tradizione della ritrattistica, raccontando la contemporaneità nei suoi vari aspetti, anche socio-culturali.
Per quanto concerne la mia parallela ricerca autonoma, gli anni ’60/’70 – gli anni della mia adolescenza e giovinezza – sono spesso rappresentati nei miei quadri attraverso artisti, autori, musicisti. Mettere sul piatto per la prima volta il vinile del “White Album” o vedere, per la prima volta, “Jules e Jim” appena uscito nelle sale, mi ha dato emozioni ancora non sopite. Tutto stava cambiando, anche nella società civile. Vivere – da giovane – quegli anni densi di novità, cambiamenti epocali, concentrazione di talenti, progresso e sviluppo sociale, è stato molto importante. Attraverso la mia poetica rivivo quelle emozioni e cerco di suscitarle e trasmetterle a coloro che guardano i miei quadri.
Rispondo infine alla parte della sua domanda riguardante l’aspetto della tecnica utilizzata. Dal punto di vista tecnico, quasi tutti i miei lavori sono realizzati ad olio su tavola; osservo e scelgo con cura il verso e la grandezza delle venature del legno secondo il quadro che intendo realizzare, come se il legno contenesse e rivelasse già gli elementi dell’opera che dipingerò. Anche questo è una sorta di retaggio, un insegnamento e una comunione col Rinascimento: Michelangelo osservava con cura i blocchi di marmo da scegliere, sino a vederne già l’opera contenuta, come se dovesse essere solo rivelata; la sua scultura era “a levare”, in un concetto tipico della filosofia neoplatonica. “La Gioconda” di Leonardo, forse l’opera universalmente più nota, è dipinta su una tavoletta di legno.
Ci sono degli artisti che sono stati importanti nella sua formazione e che sono stati per lei una fonte di ispirazione?
I miei fari, i miei riferimenti assoluti li ho trovati nel genio di Michelangelo, scultore, pittore, architetto, poeta e di Leonardo, ingegnere, scienziato, pittore, anatomista e musicista. Venendo ai giorni nostri, fondamentale è stato il rapporto di collaborazione professionale e l’amicizia con Aldo Rossi. Fonte di ispirazione continua sono Federico Fellini e Michelangelo Antonioni.
Anche dalla molta musica che ascolto ho tratto e traggo ispirazione, a cominciare da maestri del Jazz come Miles Davis, John Coltrane e Charlie Mingus. Devo poi citare gli eroi della mia generazione: Beatles, Rolling Stones e Bob Dylan. Amo di Paolo Conte i testi, la scelta colta e sapiente delle parole, le dolci melodie. Ed infine, ma solo in ordine di esposizione: J.S. Bach e Chopin.
Per quanto concerne la pittura moderna e contemporanea, gran parte della mia poetica si è formata grazie a Casorati, Sironi, Giorgio Morandi, Angelo Morbelli, David Hockney e Peter Blake.
Lei è un po’ lombardo, un po’ veneto, con una punta triestina. Che legame ha con la città di Trieste?
Sì, la mia vita è trascorsa tra Val Camonica, Lago d’Iseo, Venezia e Milano; oggi vivo e lavoro a Bergamo. Ho sempre sentito però molto forti le mie origini triestine da parte della famiglia paterna. Trieste è una città che amo sotto molti profili, culturali e umani. Innanzitutto per la sua architettura non solo da grande città, ma da vera e propria capitale; era infatti – come è noto – il porto di Vienna, unico sbocco dell’Impero, sull’Adriatico. Trieste è stata quindi l’ambasciatrice, il messaggero e il fulcro della Mitteleuropa nel Mediterraneo; fatto questo di straordinaria importanza nella cultura italiana, che ha prodotto – tra gli altri – un aspetto che mi piace molto: il suo cosmopolitismo.
E poi come non citare Svevo, Joyce e Saba; e ancora Nereo Rocco, che mi ha fatto amare il calcio. Infine i suoi pittori, tra cui cito mio nonno Virgilio Freno – purtroppo non l’ho mai conosciuto. E’ morto a soli trentasette anni, quando stava raggiungendo la sua maturità artistica e sviluppando una sua poetica originale. Dopo le opere legate a Cesare Tallone e Segantini, aveva cominciato ad elaborare, vivendo in Val Seriana e a Bormio in Valtellina, una sua pittura peculiare: una sorta di “cubismo della montagna, con le cristallizzazioni prismatiche dei suoi monti”, come la definisce Silvio Benco. Una sua opera è appunto al Museo Revoltella, altre alla Galleria d’Arte Moderna di Roma e al Castello Sforzesco a Milano; molti suoi quadri fanno parte di collezioni private in Valtellina, Milano e Bergamo.
Ha qualche progetto per il futuro?
Nell’immediato futuro si concretizzerà, in una mostra, un progetto a cui ho lavorato in questi mesi: “I Luoghi del Cinema – 8 registi, 10 opere“. Dal 18 Settembre, nello spazio di una sala cinematografica a Bergamo, esporrò una serie di pastelli su carta e oli su legno, tratti da opere cinematografiche, con particolare attenzione alle Location, ai luoghi simbolo e alle architetture. Sono – tra gli altri – rappresentati, per esempio: il parco londinese dove David Hemmings fotografa casualmente l’omicidio in “Blow Up”; la casa in “Mon Oncle”, magistrale parodia dell’architettura moderna; la Fontana di Trevi, dove Anita Ekberg danza ne “La dolce vita”; gli edifici londinesi in cui si trova la libreria di Hugh Grant in “Notting Hill”; la mitica via delle Madonne, dove Mastroianni e Salvatori fanno il sopralluogo per il colpo ne “I soliti ignoti”. La mostra resterà aperta sino a fine Ottobre.
Ringrazio Roberto Freno per la sua disponibilità.
Nadia Pastorcich © centoParole Magazine – riproduzione riservata
Ecco un altro artista che ha un aggancio famigliare, da parte paterna, con Trieste, città che ama e ammira. Roberto Freno, architetto e non solo, ma anche fotografo e pittore. Come ogni artista anche Freno si rifà, nelle sue opere, a precedenti correnti e periodi storici, traendo da essi ispirazione e spunti, non solo di stile, ma anche di interpretazione. Come gli artisti di un tempo, Freno ci racconta il suo
presente ed è un racconto poliedrico ed interessante, che si giova di varie fonti ispirative, non solo di pittura, ma anche di musica classica e del jazz, oltre che del pop e pure della poesia. Questo per dire che l’arte non ha limiti, non ha confini, ed oltre l’occhio anche l’udito, nella melodia e nel ritmo, come anche la poesia, hanno in essa la loro parte. In lui l’ammirazione per Michelangelo, Raffaello, Leonardo e per altri nobili esponenti che hanno saputo donarci, grazie al loro genio, preziose opere. Genio che va preso e coltivato, arricchito continuamente, proprio come il nostro simpatico architetto sa ed ha saputo fare finora.