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Il prete (anzi, no, l’esorcista) dopo aver finito di pronunciare, con un crescente volume di voce, tutte le formule del Ad Sanctum Michaëlem Archangelum precatio, alzò sopra la testa di Nilde la sua preziosa croce metallica. Continuò con altre invocazioni e provocazioni al Maligno, contro ogni draco (maledícte) et omnis légio diabólica. Non potevo credere a ciò cui stavo assistendo; la stanza cominciò a farsi senza angoli e con una prospettiva insensata. Da quell’oggetto sacro cruciforme si sprigionarono fasci di luce bianca che, a singulti fluenti, allo stesso ritmo delle parole del chierico, investirono la giovane facendola ricadere violentemente all’indietro, spinta letteralmente, e con veemenza, sul letto.
La piccola Nilde cominciò a contorcersi. Come mi era stato descritto precedentemente, schiumava una bava fluente dalla bocca ed emetteva rigurgiti simili a pece nera. Lo vidi coi miei occhi. La sua gola iniziò a pulsare, come se qualche animale vermiforme le si fosse conficcato dentro, tentando di farsi strada nelle sue viscere. Pareva un miraggio e pareva verissimo contemporaneamente. La voce le divenne roca e profonda, con sbalzi sonori simili a sibili, riconducibili più al verso dei serpenti che a un suono umano. Parole senza senso e incompiute venivano ululate: un pastiche di più idiomi e nessuno, che mi parve logico accostare al francese di un antico pirata, al tedesco più duro e intenso del Faust, e all’italiano più volgare di un satiro diabolico. Sbraitando, non si risparmiavano epiteti offensivi per chiunque fosse nella stanza, fino ad arrivare a vere e proprie indecenze blasfeme, che una giovane come lei non avrebbe mai osato pronunciare, né conoscere. Le gambe le si avvolsero in un’innaturale torsione che avrebbe slogato le anche e le ginocchia a qualunque essere. Le mani erano artigli bestiali, contorte in decine di lame ossee, e i suoi occhi, quando si spalancarono d’improvviso fissandomi, mostravano i bulbi bianchi e violacei di un demone, vitrei, senza traccia di iride alcuna.
“Ecco! Eccolo che è… Lui!”
Il padre della bambina urlò forte, isterico, sollevando i pugni al cielo, per chiedere l’illuminazione da quell’empia sorte. Il suo sudore traspirava dalle guance unte, simile a muco verdastro. Sentivo, forte nelle narici, quell’odore acido e nauseabondo. I suoi occhi, invece, parevano quelli di un invasato: stretti a fessura, una capocchia di spillo, simili al paio di un gatto investiti dalla potenza di un riflettore.
Tutti gli uomini presenti nella stanza avevano l’orrore dipinto sul volto dopo che il prete, che era stato respinto a terra da un forte calcio del giovane essere immondo, cercò di afferrarlo ancora ai polsi per tentare di bloccarlo. Solo allora mi riscossi un po’, accorgendomi di quanto l’anziano fosse in difficoltà, e che il suo Sacro Potere non bastava più per combattere la Bestia. Mi scrollai da quel momentaneo torpore, presi coraggio e, insieme all’impavido esorcista (che mi parve d’un tratto tanto più ritto, giovane e forte, avvolto dalle ali angeliche di San Michele), bloccai gli arti demoniaci del corpo sacrilego, aiutando, quel che era ora per me, come nessuno mai, il più grande amico ed alleato nella lotta contro il Male.
Con un unico movimento sussultorio, il corpo saettante dell’indemoniata, ci fece ruotare vorticosamente e ci sbalzò ancora a terra entrambi. Come poteva quella creatura essere tanto più forte di due uomini adulti? Poi, l’invasata si scaraventò all’indietro, rannicchiandosi in un angolo buio della camera, gemente e sconvolta. Potei intravedere tra le ombre, dove la luce delle candele proiettava un minimo bagliore, che stava sospesa da terra per almeno trenta centimetri.
“Fermi. Fermi tutti! Nessuno la tocchi più.”
Il prete si rimise sulle gambe, con una destrezza che sarebbe stata difficile attribuirgli.
“Ego te absolvo, piccola Nilde. Perché tu, non hai mai avuto nessuna colpa.”
Attraverso un gesto del braccio ampio ed enfatico, dalla boccetta d’acqua santa asperse del liquido ai piedi della bambina, che finì abbondante anche sulle candele, spegnendole. Rimanemmo al buio, tra il vociare spasmodico ed incomprensibile di ognuno dei disorientati presenti. Tramortito dall’orrore e dalla fatica, ebbi solo il tempo di muovermi carponi in una direzione casuale, finché non sbattei la testa contro la parete più vicina e mi ci spalmai contro di schiena, perso nel cieco delirio.
Finalmente la luce si riaccese.
La porta della stanza fu spalancata dal dottor Tiberiakis e potei respirare dell’aria fresca che mi fece da toccasana, mi acquietò la nausea e mi permise di riavere un po’ di coscienza. Egli insistette per somministrarmi una soluzione fisiologica che, a detta sua, mi avrebbe ridato le forze spese.
Nilde, ora, stava con gli occhi chiusi, avvolta in una coperta, e aveva riacquisito i lineamenti dolci di una bambina inerme. Era abbracciata dal padre che le accarezzava delicatamente il volto roseo. Tornata in sé, stava riposando dopo quell’orribile trasmutazione e dava quiete allo stesso genitore al solo contatto.
Fui sconvolto da quell’evento, e nessuna lucida razionalità e ferma convinzione radicate in me mi avevano impedito di vedere quello che era accaduto davanti ai miei occhi.
Fui congedato dai presenti, che mi consigliarono di tornare al mio appartamento di Corso Saba per riprendermi.
Mi ero perfino scordato di Olmi! Certo, gli avrei parlato dell’orrore a cui avevo appena assistito ma, tanto, non avrebbe creduto ad una singola parola di tutta la storia.
Chissà se l’avrei trovato a casa al mio ritorno?
Lungo il tragitto, cominciai presto a sentirmi meglio.
Giunto al portone di casa, suonai il campanello per sapere se Olmi fosse presente o meno. Nessuno mi rispose. Evidentemente, il mio geniale amico era fuori, per una delle sue indagini.
Al piano, introdussi la chiave nella porta blindata. Se era uscito, si era scordato di chiudere a mandate il chiavistello. Trovai l’appartamento completamente al buio e di Olmi non percepii la presenza. D’istinto, come sempre quando tutto era spento, cercai con la mano sinistra l’interruttore della luce.
“Altolà, Buozzi! Lascia spenta la lampada.”
Sentii la voce del mio amico a qualche metro da me, e lo schioccare di un fiammifero sfregato contro la sua coulisse. Venni investito, nel medesimo istante, dal tipico odore di fosforo bruciato e da un bagliore situato all’altro estremo del salotto, sulla destra, oltre il caminetto. Ancora colpito da quello a cui avevo assistito nel pomeriggio, non ebbi la forza per sorprendermi. Il mio coinquilino, seminascosto dalla cintola in giù dietro alla mia poltrona, accese delle candele, di quelle comuni, bianche, tipiche da black-out. Mi appariva ancora più alto del solito. Con voce suadente interruppe l’arzigogolo delle mie supposizioni.
“Oppure, caro amico mio, può essere che io abbia sedotto il Demonio e ottenuto il potere della levitazione.”
Era incredibile come egli avesse, al solito, anticipato i miei pensieri. Ma, un attimo… lui sapeva!
Mi mossi di scatto, oltre le due poltrone al centro della sala, e abbassando lo sguardo, vidi i piedi del mio amico che galleggiavano a venti centimetri dal pavimento. Era impossibile con quella scarsa illuminazione distinguere bene i particolari… ma, sì, camminava proprio nell’aria. Di quale incredibile presa in giro o cattivo gusto ero vittima, ora?
“Olmi, ma tu…”
Fece un passo in avanti, scendendo e appoggiando entrambi i piedi scalzi al pavimento. Si chinò per sollevare una spessa lastra di vetro che, all’uopo, tenevamo come mensola nel bagno; non si poteva individuare subito in quelle condizioni di luce. L’aveva posta sollevata su due pile di libri distanti tra loro, nascoste tra le masserizie. Era la pedana che aveva usato per simulare la levitazione.
“Il più delle volte, ciò che vediamo, o meglio, ciò che ci viene mostrato, e come ci viene mostrato, non appare subito per quello che è realmente.”
“Ma tu come fai a sapere? Qualcuno deve avermi anticipato nel resoconto… De Stradi o…”
Olmi si strinse bene ai fianchi la cintura della vestaglia da camera, si sedette comodamente nella sua poltrona, invitandomi a fare altrettanto. Al solito, mi aspettavo che mi sorprendesse con le sue strabilianti abduzioni. Allora presi posto affondando nella mia seduta.
(leggi la quarta e ultima parte…)
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