Alla ricerca di Vivian Maier

VM1956W03008-11-MCVivian Maier nasce il 1 febbraio del 1926, dalla francese Maria Jaussaud e dall’ austro-ungarico Charles Maier, nel quartiere Bronx di New York City.

All’età di quattro anni, Vivian abita a New York City con la madre e Jeanne Bertrand, una fotografa ritrattista. Trascorre la sua infanzia tra gli Stati Uniti e la Francia. Nel 1939 va in America con la madre, Marie e nel 1951 ci ritorna da sola.

Alla fine degli anni Quaranta, mentre Vivian è in Francia, inizia a scattare le sue prime foto con una macchina fotografica Kodak Brownie: un apparecchio il cui otturatore ha un unico tempo d’esposizione, un diaframma fisso e una messa a fuoco anch’essa fissa.

Nel 1951 la Maier torna a New York con il piroscafo “De-Grass” e diventa la bambinaia di una famiglia a Southampton; ci resta fino al 1956. Nel frattempo, nel 1952, acquista una macchina fotografica Rolleiflex; cambia il suo modo di fotografare e anche il formato. Successivamente diventa la tata dei tre bambini della famiglia Gensburg, con la quale resta legata per tutta la vita.

vivian_maiers_darkroom_cameras_largeQuando, nel 1956, Vivian si trasferisce a Chicago, ha il suo primo bagno privato, perfetto per fare una camera oscura; ciò le permette di sviluppare ed elaborare i suoi rullini in bianco e nero. Negli anni Settanta, quando i tre bambini sono diventati grandi, Vivian lascia la famiglia di Chicago. In questo periodo la Maier decide di passare alla fotografia a colori, utilizzando la macchina fotografica Leica IIIc e le reflex tedesche, con la pellicola Kodak Ektachrome 35mm. Il suo lavoro si fa più astratto: non più esseri umani come soggetti, bensì giornali, oggetti trovati per caso e graffiti.

Nel 1959 comunica ai suoi datori di lavoro di voler fare un viaggio di otto mesi. Le tappe della sua vacanza sono tante: Los Angeles, Manila, Bangkok, Pechino, Egitto, Italia, e il sudovest dell’America. Probabilmente riesce a fare questo viaggio grazie alla vendita di una fattoria di famiglia a Saint-Julien-en-Champsaur. Nel 1980 Vivian si trova ad affrontare un periodo molto difficile a causa di problemi finanziari e alla mancanza di stabilità; rinuncia allo sviluppo dei suoi rullini, che così si accumulano.

Alla fine del 1990 la situazione economica di Vivan è pessima ed è costretta a mettere da parte la sua passione per la fotografia per cercare di trovare alloggio: sono i Gensburg a darle un aiuto finanziario per pagare l’affitto di un piccolo monolocale.

VM1955W06571-12-MCNel 2007 tutti i suoi averi — le tantissime fotografie, abiti, cappellini, ricordi vari — sono messi all’asta, dalla società per le vendite RPN, perché lei non è più in grado di pagare l’affitto.

Il giovane John Maloof inizialmente acquista una scatola contenente dei negativi di Vivian Maier, perché è alla ricerca di vecchie fotografie per un libro di storia che sta scrivendo.

Nel 2008, a Chicago, Vivian cade su una lastra di ghiaccio, battendo la testa. Purtroppo non si recupera mai del tutto e la salute pian piano peggiora e lei viene ricoverata in una casa di cura, dove muore il 21 aprile del 2009.

Nel 2005 John Maloof, giovane agente immobiliare e presidente della società storica Chicago’s Northwest Side, è alla ricerca di vecchie foto del suo quartiere per realizzare un libro che metta in evidenza la bellezza della parte della città in cui vive. L’editore del libro vuole 220 foto in alta risoluzione del quartiere e il giovane John, insieme al suo co-autore Daniel Pogorzelski, iniziano le ricerche, senza buoi risultati. Solo nel 2007 Maloof riesce ad aggiudicarsi all’asta uno scatolone pieno di rullini di Vivian Maier – fotografa sconosciuta – per 400 dollari. Tornato a casa va su internet per cercare informazioni su la Maier, ma non trova nulla. Nella scatola acquistata John e il suo co-autore non trovano nulla di interessante per il loro libro, perciò lo scatolone viene dimenticato fino al completamento del testo quando John Maloof riprende in mano i negativi e inizia la scansione. Viene colpito da alcune foto che lo portano a prendere una macchina fotografica e a fare qualche scatto. Comincia così la sua passione per la fotografia. Dopo un po’ di tempo inizia ad andare in giro per la città con una Rolleiflex, come faceva Vivian. Frequenta dei corsi di fotografia e nella sua soffitta realizza una camera oscura, per lo sviluppo dei negativi. Il suo interesse per Vivian Maier cresce notevolmente fino a portarlo a rintracciare tutte le altre persone che hanno acquistato all’asta qualcosa di Vivian. John riesce a trovare il 90% del lavoro della Maier che comprende: 150.000 negativi, 3.000 stampe, centinai a di rullini, filmati, interviste audio e vari oggetti, mentre Jeff Goldstein, un altro collezionista tiene il resto.

Finding Vivian Maier Still 3, Credit IFC FilmsInizialmente le cento foto postate sul blog di John non hanno tante visualizzazioni, ma dopo un po’ il successo arriva ed è enorme. John vuole scoprire qualcosa in più su questa donna misteriosa; si aggrappa ad ogni piccolo indizio. Tra le carte della Maier, trova un numero di telefono e prova a chiamare. Gli risponde un signore che dice di conoscere Vivian, perché era stata la sua bambinaia. John si reca a casa Gensburg e cerca di scoprire quanto più possibile sulla vita  e sul carattere di questa tata. Riesce a contattare anche altre persone che l’hanno conosciuta e iniziano le ricerche che lo portano a realizzare un documentario su Vivian Maier.

In Francia nel piccolo paese Saint-Bonnet-en-Champsaur, di soli 250 abitanti, conosce l’ultimo dei cugini di Vivian, che gli mostra la macchina fotografica a scatola, appartenuta alla madre della Maier. Vivian Maier viene ricordata dalle persone che l’hanno conosciuta come una donna chiusa, alta, robusta, misteriosa, molto riservata, eccentrica, curiosa, a volte aggressiva, che indossava grandi cappotti, camicie da uomo, cappelli e stivali; era uno spirito libero. Camminava oscillando le braccia e con un passo ben scandito, quasi da marcia. Aveva sempre con sé  la sua macchina fotografica e scattava tante fotografie, che non mostrava mai a nessuno. Tenendo la Rolleiflex appesa al collo spesso faceva foto senza che nessuno se ne accorgesse, perché non dovendo alzare la macchina fotografica per guardare nel mirino, era libera di scattare anonimamente. Il risultato delle foto era un soggetto preso dal basso verso l’alto e ciò gli conferiva un aspetto possente, come lo stile di ripresa di Orson Welles. Si muoveva spesso in bicicletta con l’occhio attento su ciò che la circondava. Non si è mai sposata e non ha avuto figli. Il rapporto con i parenti che aveva non era buono; quando sua zia è morta, non le ha lasciato nulla.Un’altra caratteristica davvero curiosa è quella legata al suo nome. Quando portava in pulitura qualche suo vestito o quando qualcuno le chiedeva come si chiamava, lei rispondeva: “V. Smith”. Ciò era molto strano e una volta le hanno chiesto perché non usava il suo vero nome e lei ha risposto: “Sono una sorta di spia”.

Oltre ad intervistare le persone, John, dopo aver visionato le poche stampe di Vivian,

Florida photographed by Vivien Maier, 1957.comincia a sviluppare i negativi tenendo conto dello stile della Maier e delle indicazioni, trovate tra i ricordi della tata, che lei dava a coloro che dovevano stampare le sue foto: tipo di carta, formato, finitura…

Maloof si accorge di avere tra le mani delle buone foto e le propone a due musei importanti: il MoMA, il Tate Modern e tanti altri. Purtroppo nessuno si mostra interessato all’acquisto dei lavori della Maier. Il giovane John convinto della validità delle foto di Vivian non demorde fino a quando riesce ad organizzare una mostra presso il Centro Culturale di Chicago; mostra che riscuote un enorme successo e viene replicata in tante altre parti del mondo.

In questi giorni, nelle sale cinematografiche, è in proiezione il documentario “Finding Vivian Maier”, che racconta la storia della tata/fotografa.

Nadia Pastorcich @ centoParole Magazine , riproduzione riservata

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3 commenti su “Alla ricerca di Vivian Maier”

  1. Ci sono persone che amano sbandierare la propria attività ed altre che sono più riservate ed estremamente modeste: questione di natura, di sensibilità diverse. Ritengo queste ultime doppiamente grandi, per le loro opere e per la loro dimensione umana. Non è chi grida più forte, per fortuna, che spesso si afferma. Così è stato per questa fotografa, pronta a cogliere un attimo, un volto, un particolare. Non aprire mai certe porte, perché queste potrebbero racchiudere, nei segreti delle loro stanze, meraviglie impensate!

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