Vorrei aprire questo appuntamento settimanale prendendomi qualche libertà in più rispetto al solito, in quanto autore di questa rubrica: le ultime settimane e il periodo verso cui stiamo andando incontro non sarà un periodo facile, ma lungi da me unirmi all’operato di altri miei colleghi che si impegnano a informarvi in merito agli sviluppi di questa tanto agognata vicenda.
Vorrei, piuttosto, cogliere l’occasione per spostare l’attenzione su uno dei tanti ambienti che sta soffrendo di questa situazione: la cultura. Le disposizioni governative e sanitarie hanno di fatto (e giustamente, aggiungerei) bloccato le varie iniziative culturali su tutto il territorio italiano, dai concerti alle rappresentazioni teatrali alle proiezioni cinematografiche. Eppure, nonostante tutto, la cultura di fatto non si ferma e non si fermerà, continuando il suo circolo produttivo e creativo. Non solo tutto questo è un segnale rassicurante in un periodo così difficile, ma è significativo sul piano antropologico e sociale. Ma come mai nelle situazioni più difficili in un modo o nell’altro il “fare artistico” non soccombe completamente?
L’immagine che ho voluto suggerire nel titolo di questo articolo, quella della città che brucia, scaturisce da una conversazione di Luciano Berio con Paolo Castaldi nella seconda puntata di “C’è musica & musica” in cui viene messa in discussione l’arte a tutto tondo in contesti socialmente distruttivi come la guerra. In particolare, la domanda posta da Berio è: «Perché la letteratura? Perché la poesia? […] Perché la musica, quando c’è la guerra, quando la città brucia?». Ritengo questa domanda incredibilmente attuale a causa del momento storico nel quale ci troviamo e nonostante non si tratti di una guerra vera e propria ma di un’epidemia, di un fenomeno che porta a disagi molto simili a quelli dei conflitti armati. Abbiamo davvero bisogno di nuova linfa artistica e culturale in questo momento o sarebbe meglio essere completamente disinteressati nei confronti di questi “beni secondari”? È evidente come la gravità della situazione imponga una particolare attenzione a determinate cose rispetto ad altre e su questo aspetto non si può fare altro che essere razionalmente obiettivi. Ma la domanda è un’altra: perché la creatività, o più precisamente l’atto poietico (per usare le parole del musicologo Jean-Jacques Nattiez), continua a esistere e ad essere ricercato nonostante si chiudano i luoghi dell’arte e si lasci senza lavoro chi vi si occupa?
La risposta a questa domanda è molto semplice e la fornisce lo stesso Castaldi: «Perché non soccomba l’intelletto». Ora, come già accaduto più volte nel corso della storia, “sacrificare” la produzione artistica per lasciarsi prendere dal panico non è la soluzione: basta pensare a compositori come Oliver Messiaen che scrisse musica anche quando internato nei campi di concentramento di Görlitz nel 1940. La cosa più utile per noi stessi ora è prenderci cura del nostro essere, del nostro intelletto: approfittare di una situazione di disagio per investire del tempo nella cura dell’essere “umani” è la cosa sempre migliore da compiere e l’arte è un buon cibo per la mente. Attenzione, però: nel caso specifico di queste settimane, ciò non vuol dire non attenersi alle disposizioni e alle regole di buon senso civico. Significa invece dedicare del tempo alla lettura di un libro, dell’ascolto di un disco, della visione di un film sul proprio divano di casa. Meglio ancora se avete voglia di cimentarvi in queste cose: imparate a scrivere poesie, a comporre musica, a studiare il funzionamento di una macchina da presa, a riconoscere i diversi stili pittorici sui vecchi libri di scuola, eccetera. Vorrei, nel mio piccolo, lasciarvi per questa settimana un messaggio di conforto: tutto questo non è tempo perso e non durerà per l’eternità, soprattutto se si impara a ritrovare quel senso di stupore che ha un bambino quando impara a camminare, a parlare, a disegnare, a scrivere, a leggere. Siate quindi generosi verso voi stessi mediante quel grandissimo bacino di possibilità che è la cultura, per imparare a ri-conoscerla e per scoprire il suo valore, in modo da trovare tempo per viverla quando saranno tempi meno difficili.