La musica, o in maniera più generale l’arte, è frutto di un elaborato processo creativo, più o meno forzato e più o meno intenzionale. Anche la stessa interpretazione di partiture di musiche di tempi passati o cover di brani famosi fanno parte di questo medesimo processo, con l’unica eccezione di avere un modello originale sul quale basarsi. In altre parole, che il fare musicale sia un atto creativo è un dato di fatto. Tuttavia, si è potuto notare, come messo in evidenza negli articoli passati di questa rubrica, una certa tendenza al “bello”, a ciò che vale, a un concetto ben delineato di “perfezione”, sia questa intesa come pulizia del suono, o come intreccio melodico e armonico, o come qualità dei testi e via dicendo. È possibile riuscire a delineare qual è il percorso creativo ottimale per ottenere una “perfezione musicale” totale, non contaminata dalla soggettività?
Potrà sembrare strano è futile come obiettivo, è ben evidente. Eppure oggi si assiste a un panorama produttivo sempre più variegato, dove qualitativamente parlando i brani degli artisti “casalinghi” riescono a competere con quelli delle più importanti case discografiche. Si potrebbe quindi dedurre che esista una specie di formula magica per riuscire a cavalcare l’onda del successo, vero? Ebbene, non c’è niente di più sbagliato: in più di un’occasione abbiamo ribadito l’importanza del delicato equilibrio fra mercato e arte e di come le tecnologie oggi siano sempre più alla portata di chiunque (sia a livello economico che di user-experience). Tuttavia, è ben evidente come non sia solamente necessario riuscire ad accedere a queste tecnologie, ma anche essere in grado di saper intuire i contesti storici, artistici e culturali entro cui la propria opera vive. La stessa cosa vale per chi interpreta brani già esistenti: che si tratti di un brano della tradizione barocca o punk-rock, riuscire a calarsi nel contesto “dell’epoca” sarà sicuramente più produttivo dell’avvicinarsi a tali repertori in maniera sterile e distaccata. Quindi no, non esiste una formula magica del successo, ma la domanda si pone quindi in maniera ancora più marcata: esiste un certo grado di perfezione a cui aspirare per poter competere attivamente nel mercato e al contempo elevarsi artisticamente?
L’atto creativo è soggettivo: c’è chi riesce a comporre sforzandosi e dandosi una tabella di marcia e c’è chi ha bisogno di sentire l’idea quasi in maniera platonica. La perfezione all’interno dell’atto creativo c’è, esiste ed è possibile raggiungerla facilmente: si ottiene un prodotto perfetto se si lavora tanto. Chi compone sforzandosi, imponendosi dei ritmi, sarà più avvantaggiato nell’avvicinarsi a un ottimo prodotto. Tuttavia, occorre fare una precisazione: la perfezione come concetto assoluto non può esistere, poiché soggetta anche essa alle dinamiche storiche, sociali e culturali. I canoni greci nella storia dell’arte sono tanto perfetti quanto quelli dadaisti se al concetto di perfezione non si associa una definizione univoca. Musicalmente parlando, un’artista attuale fortemente criticata come Billie Eilish è tanto perfetta quanto i Beatles sessant’anni fa, Arnold Schönberg cento anni fa, Ludwig Van Beethoven duecento anni fa, Monteverdi trecentottanta anni fa e così via. Viceversa, l’interpretazione di brani di Johann Sebastian Bach fatta da un Ramin Bahrami oggi è tanto perfetta come quella di Glenn Gould o di Wendy Carlos.
Ha senso quindi rincorrere una perfezione “assoluta”? Potrebbe avere senso come potrebbe non averlo. Non dimentichiamoci, ad esempio, che oggi abbiamo a disposizione numerose esecuzioni “scartate” dalle tirature originali degli album dei nostri artisti preferiti o partiture “urtext” che ripercorrono filologicamente la storia compositiva di una determinata composizione: in altre parole, oggi siamo sempre più aperti a un certo grado di “contestazione” di quella che è l’opera che già conosciamo, vanificando così l’aspetto soggettivo della perfezione. Inoltre, si è consumatori sempre più consapevoli di ciò che funziona e ciò che non funziona, di ciò che aspira alla perfezione “oggettiva” e ciò che non lo fa. Rincorrere un concetto “assoluto”, tuttavia, non è impossibile, ma la parola chiave di cui bisogna tenere conto in questi casi è “buonsenso”: la perfezione deve essere presa in considerazione come sinonimo di artigianalità, di giusto compromesso fra intenzione e mezzi a disposizione. Ignorare questa accezione è l’equivalente dell’oblio, del dimenticare ciò che vale la pena di essere tramandato: sta solamente a noi, quindi, creare un sistema solido e in costante aggiornamento di ciò che abbiamo considerato almeno una volta nel corso della storia collettiva “perfetto” in questo senso, poiché tali prodotti artistici sono ciò che effettivamente è stata la storia dell’essere umano.