Nell’era dei social network, dove l’autopromozione è sempre più a contatto diretto fra artisti e fanbase, sono poche le regole da attuare per rimanere sulla vetta: bisogna mantenere una certa costanza nella pubblicazione di contenuti e, qualora fosse possibile, bisogna cercare di rendere virali i propri contenuti in modo da avvicinare più target di pubblico. È evidente come non sussista solo la difficoltà nel sapersi distinguere artisticamente, ma anche quella di rimanere visibili dagli utenti per più tempo possibile, in modo da non finire nel dimenticatoio.
Ci sono due strategie di azione: la prima è quella economicamente più dispendiosa, che comporta la sponsorizzazione di post e la creazione di contenuti egregiamente costruiti e curati; la seconda, invece, è quella di pubblicare continuamente dei contenuti più semplici, che accrescono notevolmente il traffico sui vari social network per motivi di rapidità di comunicazione e ricezione. È il caso specifico delle “stories”, inizialmente nate con Instagram, che permettono di creare contenuti della durata di 15 secondi che rimangono visibili all’utente per 24 ore: la possibilità potenzialmente infinita di “intasare” il proprio profilo di storie permette all’utente di comprendere a pieno il messaggio che si vuole lasciare con maggiore flessibilità e facilità di utilizzo. Il principale punto di forza è quindi quello di essere rapidi, autosufficienti e liberi.
Musicalmente parlando, tale approccio è rispecchiato da Tik Tok. Questo social cinese ha inglobato le funzioni di un’altra applicazione, Musical.ly, che permetteva di scegliere un frammento di 60 secondi di brano musicale esistente e di cantarci o ballarci sopra, caricandoli come vere e proprie performance sui propri canali social. Tik Tok ha ampliato questa funzione, permettendo di creare dei video musicali o clip ben più lunghi di Instagram, entrando in scontro aperto con quest’ultimo. Questo fenomeno ha influenzato due cose: in primo luogo ha permesso una maggiore diffusione di brani musicali, tanto che alcuni di questi sono stati esaltati a veri e propri “memes” musicali (il caso forse più semplice è il primo verso di “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel, che accompagna video dove si vuole esasperare in maniera comica la tristezza del protagonista della clip); infine, ha fatto sì che gli artisti stessi siano entrati in familiarità questo sistema, utilizzando però i propri brani. In particolare, il Giappone ha visto crescere il numero dei pop-idol (inteso come “star” musicali) grazie a questa applicazione: gli idol vivono e fanno vivere la propria arte prevalentemente attraverso questo mezzo di comunicazione.
Per quanto questo scenario possa sembrare apocalittico, ci si trova di fronte a un nuovo ambiente di cui l’industria musicale e gli artisti devono tenere conto: gli algoritmi alla base dei social sono studiati per permettere a chi ha molto traffico sul proprio profilo di essere potenzialmente visto da qualcuno; di conseguenza, la semplicità del messaggio e la capacità di accontentare la propria fanbase sono due elementi che devono procedere di pari passo. Questa evoluzione, però, può essere solo comunicativa: non bisogna dimenticare, infatti, che si parla di “teaser”, di piccoli squarci di una produzione artistica. In altre parole, non bisogna confondere le tecniche di promozione con il prodotto: 60 secondi veicolano un messaggio limitato nel tempo (pochi secondi visibili per poche ore) e nell’eccedenza semantica; un brano musicale completo, al contrario, può essere riascoltato quante volte si vuole e, all’interno del suo svolgimento, possono essere colte numerose sfaccettature. Se non si tengono questi due piani separati, sarebbe come affermare che è possibile comprendere tutto Beethoven ascoltando le prime due battute dell’Eroica: non solo tale affermazione è errata, ma è esteticamente impossibile.