Era il 7 novembre e Nathan Moor camminava a grandi falcate nei sobborghi londinesi.
Di tanto in tanto guardava le insegne dei negozi cercando la sua meta. Il passo sostenuto non riusciva a evitargli di rabbrividire dal freddo di tanto in tanto. Le dita affondate nel pesante cappotto nero si muovevano all’interno dei guanti di pelle cercando di scaldarsi senza riuscirci.
Finalmente scorse ciò che cercava, una porticina di legno dipinto di bianco con un cartello che recitava ‘The Blue Ivy’.
La vetrina accanto era stata totalmente riempita da cianfrusaglie d’ogni sorta, non c’era dubbio, era quello il posto.
Spalancò la porta e si precipitò dentro.
Il suo ingresso fu accompagnato dal cigolare di cardini e lo sbattere dell’anta sul muro ma ciò che fu davvero fastidioso per l’orecchio fu il suono del campanello, fissato sullo stipite in alto, talmente acuto da trapassare il cranio come fosse un ago. Senza lasciarsi scomporre Nathan mosse pochi decisi passi fino ad arrivare al bancone.
Finse disinvoltura mentre rischiava di inciampare sul ciarpame che infestava il pavimento e lasciava ben poco spazio libero. Dopo aver piantato con decisione i piedi davanti alla commessa si mise furiosamente a cercare qualcosa sotto il cappotto.
Lei dal canto suo lo guardava attenta ma in maniera totalmente distaccata, un po’ come si guardano gli attori a teatro. Non si era scomposta nel vederlo entrare in maniera così irruenta né sembrava preoccupata da cosa potesse star cercando di estrarre.
Finalmente l’uomo trovo il pacchetto avvolto nella carta e lo appoggiò pesantemente sul bancone in legno, con un movimento sgraziato del braccio.
“Strega!” Esclamò, “Voi siete una maledettissima strega. Riprendetevelo e rendetemi ciò che esigeste da Hervey”. Aveva la voce cangiante di chi, vivendo un turbinio di emozioni, oscilla tra l’una e l’altra nell’arco di pochi secondi. Una parola era detta in preda all’ira ma quella successiva pareva nascere dalla malinconia ed ecco che subito si poteva dire di aver sentito una punta di paura in quella dopo ancora.
Appena ebbe mormorato il nome dell’amico si sentì svuotato di tutto. Appoggiò il suo peso al bancone per non afflosciarsi al suolo.
D’improvviso gli era tornata la lucidità, ora che le emozioni avevano trovato voce. Iniziò a pensare a cosa aveva appena fatto. Poche ore prima aveva ricevuto una missiva dal suo più caro amico che lo implorava di correre da lui.
Lo aveva trovato impiccato nel suo studio.
Il pacchetto appoggiato sulla scrivania, una lettera appoggiata sul pacchetto.
L’aveva letta confusamente, solo dopo essersi accasciato sulla poltrona per gli ospiti ed aver fissato imbambolato il corpo ormai privo di vita dell’unico uomo per cui si sarebbe fatto amputare un braccio.
Aveva letto di questo luogo, del contenuto del pacchetto e di quel che era costato. Senza pensarci due volte si era vestito e vi si era precipitato, senza un piano, solo in preda al dolore.
Ora si trovava in un luogo a lui sconosciuto, di una zona di Londra di cui ignorava pure l’esistenza. Aveva persino scordato le buone maniere comportandosi come un selvaggio arrivando addirittura ad insultare una povera fanciulla. ‘Dannatissimo Hervey’ pensò ‘Come diamine l’avrà trovato un posto simile’.
“Voi dunque credete nelle streghe” chiese la ragazza, con un sorriso cattivo sul volto. “Strano, avrei detto che foste un uomo della upper class e non un eccentrico superstizioso.” Continuò con voce canzonatoria.
“Io sono un uomo della upper class!” Tuonò Nathan ritrovando improvvisamente le energie per ergersi impettito davanti alla giovane. Lei scoppiò in una fragorosa risata e fu subito chiaro anche a lui di essere cascato nella provocazione.
Il sorriso cattivo aveva lasciato spazio a un sorriso molto più dolce che lasciava intravedere due fossette ai lati delle labbra.
“Allora vorrebbe essere così cortese da chiudere la porta? Altrimenti morirò congelata” Bisbigliò lei giocando distrattamente con una ciocca di capelli castano ramato.
L’uomo diventò paonazzo dalla vergogna e mormorando una serie di scuse si precipitò a relegare il gelo all’esterno del negozio, insieme alla piovigginosa nebbia londinese.
Ricercò la sua compostezza e, elegantemente, si riaccostò al bancone.
“Vogliate avere la cortesia di scordarvi di questa mia orrida figura, concedetemi di riprendere dal principio” disse con un sorriso imbarazzato.
La ragazzo giocherellò coi capelli ancora per qualche secondo prima di rispondergli.
“Buon giorno, come posso servirvi?” cinguettò con un sorriso malizioso sul volto.
“Vedete, un mio caro amico mi lasciò scritto d’esser venuto qua ieri l’altro ad acquistare questo pacchetto e desidererei restituirlo…” Nathan parlava a tratti, esitante, non sapeva come condurre la conversazione.
“Vorrei…” Adesso stava balbettando, decise di fare un profondo respiro e sputare fuori dai denti la sua richiesta “Vorrei voi mi restituiste l’anima di Hervey”.
Successe in un attimo, poco prima che Nathan rialzasse lo sguardo dal pavimento, non aveva avuto il coraggio di guardarla negli occhi mentre parlava. Il sangue della ragazza iniziò a ribollirle. Gli occhi le si sgranarono e la pelle iniziò a pruderle dall’interno, i capelli castano ramati si fecero di un grigio biancastro.
Durò meno d’un battito d’ali, la ragazza divenne anziana e tornò giovane.
“La sua anima?” Chiese lei distrattamente “Come potrei essere io in possesso di una cosa del genere?” Non riusciva a fingere bene l’ingenuità e nelle sue parole si poteva sentire una punta di nervosismo ma Nathan non se ne accorse.
“Lo so bene, che queste cose non sono di questo mondo e se anche lo fossero sarebbero opera del Demonio. Voi… Voi parete più figlia d’angeli a mio avviso… ma abbiate la compiacenza di prendermi sul serio.” Dicendo questo estrasse la lettera dalla tasca e gliela porse “Vedete, queste sono le ultime parole del mio amico, l’ho trovato morto impiccato nel suo studio”.
Lei lesse attentamente, le gambe le tremavano ad ogni riga di più.
“Deve turbarvi molto tutto questo, vi chiedo perdono, non dovrei far leggere simili cose ad un’innocente creatura.” Mormorò addolorato Nathan notando il tremolio della giovane e come fosse lievemente sbiancata.
Finito di leggere lei si lasciò cadere su di una sedia meditabonda, non parlò per qualche secondo, poi si rialzò e disse con decisione “Preparo un the” scomparendo nel retrobottega.
Nathan passò qualche minuto a mordicchiarsi le labbra tamburellando sul bancone con le dita. Di tanto in tanto lanciava uno sguardo fugace al pacchetto, poi guardava altrove. Alla fine si fece coraggio, batté con decisione le dita sul bancone. Con un movimento rapido della mano destra afferrò il pacchetto come se questo potesse divincolarsi e fuggire. Le dita gli tremolavano mentre lo scartava. Quello che vide lo lasciò talmente sorpreso che gli sfuggì dalle mani.
Era solo un sasso, magnifico, perfettamente levigato e candido come la neve ma pur sempre sasso restava. L’impatto col suolo lo frantumò in innumerevoli schegge e l’uomo chiuse gli occhi imprecando.
“State bene?” Chiese la ragazza, facendo capolino con due tazze fumanti in mano. “Si, si… Solamente..” Nathan si interruppe, l’opale era perfettamente integro, appoggiato sul legno chiaro del bancone. Rimase perplesso ad osservarlo mutare colore mentre rifletteva tutti i colori dell’arcobaleno. Guardava a tratti la ragazza e a tratti l’opale, mormorando parole prive di senso poi fissava il pavimento senza capacitarsi di quanto avvenuto. La ragazza lo fece accomodare su di una sedia e gli porse una tazza di the. “Ser Nathan Moor, v’è tanto di questo mondo che voi non conoscete, permettete ad un’umile strega dei bassifondi di spiegarvi quel che accadde al vostro amico il giorno in cui rubò La Pietra Dei Ladri“ e mentre parlava il suo corpo mutava divenendo quello di un’anziana signora.
(fine prima parte)