Un monologo. Novanta pagine, un concentrato d’arte allo stato puro. Baricco scrisse quest’opera con l’intenzione di destinarla a una rappresentazione teatrale, ma la stessa si adatta anche alla semplice lettura. “Novecento” è un’opera che sconvolge, trascina il lettore in una situazione irreale e lo culla con riflessioni così profonde e intime da lasciarlo disorientato. Il narratore che racconta la storia ha vissuto l’esperienza in prima persona, tanto da parlare lui stesso del protagonista con un tono che certifica un’anima distrutta e segnata dai recenti avvenimenti.
Si narra che il pianista, soprannominato appunto Novecento, fosse nato e vissuto da sempre su una nave da crociera. E sarà lo stesso pianista, con la sua insolita visione del mondo, a sconvolgere il lettore, tramite la voce narrante di Alessandro Baricco. Perché ci offre una nuova prospettiva, quella di un uomo che ha vissuto da sempre in un microcosmo dotato di inizio e fine, punta e coda. Novecento ha sempre considerato il mondo come finito, controllabile, gestibile. Questa è la riflessione che viene posta indirettamente dall’autore: come possiamo operare con certezza delle scelte nella nostra vita, quando abbiamo un ventaglio di possibilità infinite? Come possiamo farlo senza vivere con l’eterno dubbio dell’errore, senza restarne tremendamente spaventati?
Inutile rubare ulteriore spazio alla scena: l’estratto parla da solo.
Tutta quella città, non si riusciva a vedere la fine…
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
Era tutto molto bello su quella scaletta, e io ero grande, con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema. Non è quello che vidi che mi fermò Max.
È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi. In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine. C’era tutto…ma non cera una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello…la fine del mondo. Ora, tu pensa un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito e dentro quegli ottantotto tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace. In questo posso vivere.
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti,Milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai, e questa è la verità che non finiscono mai…quella tastiera è infinita…Ma se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo! ma le vedevi le strade? Anche soltanto le strade ce n’era a migliaia, ma dimmelo come fate voi altri laggiù a sceglierne una? A scegliere una donna? Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire? Tutto quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce. E quanto ce n’è. Ma non avete paura, voi, solo a pensarla quell’enormità? Solo a pensarla, a viverla?
Io ci sono nato, su questa nave. E vedi anche qui il mondo passava, ma non più di duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano, ma non più di quelli che ci potevano stare su una nave tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato a vivere in questo modo…
La Terra. è una nave troppo grande per me. È una donna troppo bella. È un viaggio troppo lungo. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Non scenderò dalla nave. Al massimo posso scendere dalla mia vita…in fin dei conti è come se non fossi mai nato. Sei tu l’eccezione Max, solo tu sai che sono qui…e sei una minoranza…non ti resta che adeguarti.
Perdonami amico mio…ma io non scenderò.