[tratto da “Il Codice del Quattro – Ian Caldwell & Dustin Thomason]
L’Amore vince ogni cosa.
Quando frequentavo la seconda media, in un piccolo chiosco di souvenir a New York comperai un braccialetto per una ragazza di nome Jenny Halow. Il ragazzo che lei sognava, pensavo, avrebbe scelto proprio quel ninnolo, un dono con il pedigree di Manhattan, romantico ed elegante con il motto poetico e un brillio discreto. Il giorno di San Valentino lasciai il bracciale nell’armadio di Jenny, senza alcun biglietto, poi aspettai fino a sera la sua risposta. Ero sicuro che lei non avrebbe avuto dubbi da chi venisse il dono.
Contrariamente ai sassolini di Pollicino, le qualità del dono – newyorkese, romantico ed elegante – non segnarono, purtroppo, la strada che avrebbe dovuto condurre Jenny direttamente a me. Un ragazzo di terza media, di nome Julius Murphy, doveva possedere quell’insieme di virtù in grado molto superiore al mio, perché fu lui che ricevette il bacio di Jenny Harlow alla fine della giornata, mentre io rimasi con il doloroso sospetto che la vacanza a New York fosse stata del tutto inutile.
Quell’esperienza, come molte della mia vita, era stata costruita su un equivoco. Solo molto tempo dopo capii che il braccialetto non era un prodotto di New York e non era affatto d’argento. Quella stessa sera di San Valentino mio padre mi spiego come il motto che Julius, Jenny e io credevamo così poetico, in realtà veniva spesso interpretato in modo erroneo.
«Forse ti sei fatto fuorviare da Chaucer» iniziò a spiegare con il suo saggio sorriso paterno. «Ma devi sapere che il motto L’Amore vince ogni cosa non rimanda soltanto alla spilla della Priora» (Racconto di Chaucer dove la frase era incisa in una medaglia, portata al collo da una donna)
Seguì una lunga spiegazione sulla decima ecloga di Virgilio e sul omnia vincit Amor, con digressioni sulle nevi sitonie e le pecore etiopi, tutte cose che a me interessavano molto meno del perché Jenny Harlow non pensava che fossi romantico e del perché avessi trovato un modo così stupido di buttar via dodici dollari.
Arrivai alla conclusione che, se l’amore vince ogni cosa, allora forse non conosceva Julius Murphy.
Ma mio padre, a modo suo, era un uomo saggio e quando si rese conto che non riusciva a convincermi, aprì un libro e mi mostrò un’immagine che illustrava il suo punto di vista.
«Questa incisione è di Agostino Carracci ed è intitolata Amor vincit omnia» disse. «Che cosa vedi?»
Sul lato destro della figura c’erano due donne nude. Sul sinistro un fanciullo percuoteva un satiro grande e muscoloso.
«Non so» dissi, ignorando a quale dei due lati dell’immagine fosse affidata la funzione didattica.
«Quello» disse mio padre, indicando il fanciullo, «è Amore»
Tacque per darmi tempo di assimilare l’informazione.
«Non sta necessariamente dalla tua parte. Devi combattere per sottrarre al suo dominio chi t’interessa. Ma è un Dio troppo potente. Per quanto noi soffriamo, dice Virgilio, i nostri dolori lo lasciano insofferente».
Non sono certo di aver capito la lezione di mio padre. Penso di averne afferrato la parte più facile; nel mio tentativo di far perdere la testa a Jenny Harlow, stavo combattendo una battaglia con Amore, e l’esito del regalo da pochi soldi mi indicava che stavo perdendo.
Non ho mai capito chi dei due avesse ragione. Anche oggi non saprei dire come la Priora di Chaucer interpretasse Virgilio o come Virgilio interpretasse l’amore, tuttavia conservo un vivo ricordo dell’incisione di Carracci. Mi sono sempre chiesto perché Carracci abbia rappresentato due donne, quando una sarebbe stata sufficiente, ma di quella parte di incisione mio padre non fece parola. La morale che ricavai da quella storia è che nella geometria dell’amore tutto e triangolare. Amore traccia linee che uniscono tra loro gli esseri umani come un astronomo costruisce una costellazione unendo arbitrariamente tra loro le stelle. Dal vertice di ogni triangolo ne nasce un altro, finché la realtà non diventa altro che una fitta realtà di storie intessute da Amore, dalla quale nessuno può sfuggire.