Diario d’artista: sulla volgarità

Se c’è una cosa che non sopporto, questa è la volgarità: l’uso delle frasi pecorecce, le battute sguaiate, la pubblicità volutamente oscena a tutti costi, i doppi sensi triti e ritriti che non fanno più ridere nessuno. Ma anche la volgarità nel vestire e nel comportamento, ed in mille altre manifestazioni.
Voi mi direte chi sono io per criticare gli altri e, soprattutto che diritto ho di farlo? Il diritto mi viene da quello che chiamano istinto di sopravvivenza: sia artistica o estetica, sia sociale che intellettuale:
la volgarità la trovo devastante.
Apre le porte al famigliarismo, al mandare all’aria ogni tentativo di instaurare un dialogo fruttuoso tra esseri pensanti: la volgarità non è una forma di libertà, ma solo cattivo gusto.

Ora il problema della volgarità è molto simile a quello del dolore: dipende tutto dalla soglia personale. Ovviamente ci sono persone che hanno la soglia della volgarità molto alta, mentre altri molto bassa. Dipende da noi, dalla nostra educazione, dalle nostre esperienze; ma la dice lunga sul nostro modo di pensare.
Odiare la volgarità non significa essere per forza bigotti o reazionari; non vuol dire essere nemici della libertà d’espressione od obbligatoriamente perbenisti.
Sono solo forme di legittima difesa da questa ondata di cattivo gusto, dilagante, che non accenna a diminuire, e che finisce per penetrare anche nella nostra vita privata.

Perché se eliminiamo il giudizio, la critica, cosa ci rimane per evitare tutto questo? Potremmo dire il buon esempio, il nostro modo di comportarci, il nostro stile personale. Ma non ne sono del tutto sicuro: eliminare il giudizio non vuol forse dire anche eliminare l’indignazione? Non è più che giusto reagire alla volgarità televisiva che ci viene lanciata addosso ogni giorno, da quella di giornali, delle radio, dal carrozzone della politica, a cui, se non stiamo all’erta, finiamo per assuefarci? Una volgarità che finisce per inondare i nostri posti di lavoro, i nostri uffici, il bar dove vai a fare colazione?

Sto proponendo un discorso puramente etico ed artistico: non credo nei divieti, che esasperano alla fine le coscienze di tutti, poiché non c’è limite a quello che si può vietare, una volta che ci si prende la mano. Anche quella dei divieti è una trappola mortale, dalla quale si rischia di non uscirne.
Molti giovani vedono nell’abuso della volgarità un modo di farsi notare, di provocare; altri vedono nella volgarità uno stimolo per i loro clienti; altri ancora un mezzo per raggiungere scopi ad ogni costo.
Io non so dire cosa sia veramente la volgarità: so solo di avvertirla quando mi si presenta dinanzi, volta per volta. Non so dare un giudizio e non ho nemmeno un rimedio…

Forse l’educazione, la cultura possono aiutare? Certamente sì: allargare la propria sfera di coscienza ed intraprendere affascinanti progetti che noi tutti possiamo condividere: l’arte, la letteratura, la conoscenza ed il bisogno del bello è un antidoto potente contro la volgarità.
Ci si allontana poco per volta dai luoghi comuni, dal pensiero massificato, dall’assorbire qualunque frase o spot pubblicitario, qualunque moda passeggera e discutibile, incominciando a vedere invece il mondo in un modo diverso, più personale, più nostro. E soprattutto leggere; leggere è importante: conoscere il pensiero di quanti, prima di noi, hanno cercato risposte ai quesiti della nostra esistenza come persone, come individui dotati di coscienza.
Usciremo così da questa assuefazione al cattivo gusto per respirare un aria differente, più feconda e libera, che sarà altrettanto stimolante per quanti ci circondano.
Insomma, l’antidoto non è poi così lontano da noi: vive nel nostro cambiamento, nella nostra voglia di migliorarci, di conoscere.
Perché, come diceva Tiziano Terzani, il grande giornalista e scrittore: “La miniera è ovunque: basta scavare…”

Roberto del Frate ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.

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