Helene Reifenstahl, tedesca: ballerina, attrice, regista, fotografa. Anna-Lou Leibovitz, statunitense di origini ebraiche: artista, musicista, giornalista, fotografa – la più famosa fotografa ancora in attività.
Leni: il corpo, la bellezza, la perfezione documentaristica di ciascun fotogramma. Molti si ricordano di lei, oggi; i più, perché fu ‘la regista di Hitler’- nel mito, la sua amante. Annie: il volto, l’attimo, il sentimento colto nello scatto; molti parlano di lei, oggi, perché è quasi travolta dai debiti.
In due ritratti posti a confronto, in un racconto in due puntate, l’ascesa, la fama e le difficoltà di due donne straordinarie – la prima scomparsa nel 2003 a centouno anni, l’altra vivente e madre a sessant’anni di tre figlie – che hanno lasciato un segno indelebile nel mondo della fotografia. Di loro, la cosa più bella e più importante sono, e resteranno per sempre, le opere.
La seconda parte: Annie Leibovitz . [leggi la prima parte: Leni Reifenstahl]
Annie Leibovitz
(Waterbury USA, 1949 – vivente)
“The best kind of photography is what is around you. You become part of it.”
“Voglio esserci ancora, e fotografare la mia morte.” (Annie Leibovitz, fotografa)
‘Principe delle Asturie, premio alla fotografa Leibovitz’
‘Annie Leibovitz: Her Success and Fame’
Anna-Lou («Annie») Leibovitz nasce il 2 ottobre 1949 in Connecticut, negli Stati Uniti, poco anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il padre, ebreo di seconda generazione (di discendenza centro-europea), è un ufficiale dell’aviazione americana; la madre è un’istruttrice di danza discendente da una famiglia originaria dell’Estonia.
La famiglia di Annie è piuttosto numerosa e segue il padre nei suoi assegnamenti militari; viaggia in molti paesi, e il suo primo reportage è fatto di foto scattate nelle Filippine, in una delle basi presso il quale il padre era stato trasferito. Annie dirà poi che il suo primo reticolo di mira fotografico era stato il finestrino dell’automobile con la quale la sua famiglia viaggiava; il ‘mondo all’esterno’ era in quella cornice – in quel ‘frame’.
Annie studia al liceo, suona e scrive musica, poi frequenta l’Istituto d’Arte di San Francisco, e la Guerra del Vietnam costituisce uno dei primi motivi di separazione dalla sua famiglia: Annie, come molti giovani dell’epoca, manifesta contro la guerra – quindi, anche se indirettamente, contro il padre soldato – e si avvicina agli ambienti studenteschi degli anni Sessanta. Mentre studia ha numerose esperienze di lavoro – compresa quella in un ‘kibbuz’, nell’Israele del 1969.
Durante tutti quegli anni di impegno e di esperienze lavorative Annie continua comunque a studiare fotografia e a perfezionarsi; ha sempre affermato di essere stata profondamente influenzata dai lavori di Henri Cartier-Bresson e Robert Frank, e l’influenza di questi due maestri si nota indubbiamente nei ritratti fotografici che realizza. Annie desidera insegnare arte – ma si rende conto, però, che ‘per poter insegnare arte devi essere un artista’
«Ho frequentato il corso di pittura al San Francisco Arts Institute con l’obiettivo di insegnare storia dell’arte, ma col passare del tempo ho capito che non si può insegnare l’arte senza essere prima un artista.»
Quando ritorna negli Stati Uniti, Annie inizia a collaborare come fotografa di staff per la neonata rivista di musica e costume «Rolling Stone». È il 1970. Nel 1973, in soli tre anni, sarà già «chief photographer» per quella stessa rivista, con la quale continuerà poi a lavorare per dieci anni. «Rolling Stone» è una rivista giovane, nuova, frenetica; tutto, in quel periodo, è nuovo e frenetico. Musica, sperimentazione, fotografia – rivoluzione. È una generazione che brucia di vita e di eccessi; compreso l’alcol, e senza escludere la droga.
Nel 1971 e 1972 Annie aveva fotografato i «Rolling Stones» in concerto, e nel 1975 chiede al suo editore di poterli seguire nel loro Tour degli Stati Uniti. L’editore non vorrebbe, la sconsiglia: gli «Stones» sono ‘troppo’ per chiunque. Ma Annie insiste. E ottiene l’incarico.
Dal Tour con gli «Stones» Annie, oltre che carica di rullini fotografici che ritraggono Mick Jagger, Keith Richards e tutti gli altri membri della Band e il loro seguito in qualsiasi momento della loro giornata o nottata, ritorna famosa e profondamente cambiata. È diventata la fotografa delle «Star» – la più famosa fotografa ritrattista americana; in breve sarà la più famosa ritrattista del mondo. La fotografia di Yoko Ono e John Lennon, scattata d’impulso, con lui accovacciato nudo accanto a lei completamente vestita – John Lennon che sarà ucciso poche ore dopo quella foto – consacrerà Annie Leibovitz come ‘icona della fotografia internazionale’. Qualsiasi fotografia venga fatta da Annie da quel momento in poi diventa subito ‘un’icona!’
Un’esagerazione? Forse.
“…I think one of her most powerful images from that time period is of Richard Nixon leaving the White House. Nixon is not even in the shot and yet somehow that tells an even bigger story. It was history in the making, and she showed that in one image.”
[“… Penso che una delle sue immagini più potenti, tratta proprio da quel periodo, sia quella di Richard Nixon mentre lascia la Casa Bianca. Nixon non è neppure nella foto, eppure è proprio quell’assenza che racconta una storia ancora più grande. Fu una ‘storia raccontata mentre si stava facendo la storia’, e lei lo mostrò proprio in quella singola fotografia.”]
La Annie Leibovitz fotografa degli anni Sessanta e Settanta ‘non è un tecnico’ (ancora oggi, pur essendo molto cambiata, non si considera tale): pur conoscendola abbastanza bene, Annie non s’interessa della tecnica fotografica vera e propria, del come e perché la luce incide ciò che ‘vede’ (o ciò da cui è riflessa o assorbita) sui sali d’argento della pellicola e nella memoria degli uomini e delle donne, e non ne sa poi molto dei meccanismi che azionano le sue macchine fotografiche; ciò che fa è pensare a quella memoria, a quel sentimento – e scattare, scattare, scattare. Continuamente.
Gli eccessi dello «Star System», però, non la risparmiano. Ha osato troppo, ha esagerato; deve disintossicarsi e viene ricoverata per un certo periodo in una clinica privata. Ne esce una nuova Annie Leibovitz, una fotografa che ha una nuova visione. Non lavora più per «Rolling Stone».
Nel 1980 Annie Leibovitz inizia un nuovo percorso professionale che la porta nel campo della moda; il suo uso coraggioso ed «eccessivo» dei colori le fa guadagnare l’attenzione di «Vanity Fair» , la quale le propone collaborazioni molto interessanti – e Annie ricomincia, e inizia un sodalizio che sarà di lunghissima durata.
È un tipo di fotografia molto diverso da quello del primo periodo, estremamente affascinante, frutto di progetti specifici (nella maggior parte dei casi pubblicitari) e molto elaborato – sicuramente, meno ‘diretto’ di prima, ma non meno privo di emozioni.
“I’ve never been a technical photographer. To me, what is important is the content … I don’t call my cameras ‘George’, and ‘Harry’ … so, digital is just ‘rolling’. It’s all about the content.” Annie Leibovitz, Questions and Answers
Nel 1989, Annie incontra Susan Sontag, più anziana di lei. Susan, nata nel 1933, è scrittrice e regista; a sua volta, un’icona letteraria (ricordiamo qui il suo: ‘Sulla Fotografia’ ). Annie è fotografa; una ‘icona della fotografia’. Sono entrambe affermate, molto famose e ricche; Annie dirà poi che Susan è stata il suo mentore e il suo critico più severo, e che grazie a lei ha imparato molte cose.
Susan Sontag e Annie intrecciano una relazione sentimentale. Annie Leibovitz continuerà per molto tempo a definire quella fra lei e Susan Sontag una ‘relazione d’amicizia’; alla fine, durante un’intervista, consentirà al giornalista di ‘poterle chiamare amanti. Mi piace la parola amanti’. Nel 2001, a 52 anni, Annie ha una figlia, che Susan fa in tempo a conoscere; ne avrà poi altre due nel 2005, da una madre surrogata.
La relazione fra Annie e Susan durerà fino alla scomparsa di Susan, nel 2004: Susan si è ammalata di cancro. Annie la fotografa durante la malattia e sul letto di morte.
“ … Annie, she was always trying to get photographs that other people missed. Her personal work was more important to her than her professional work, just because of the very nature of it. It meant more to get the images she wanted than to fill some quota or to make her editors happy. She was happiest when photographing what she wanted …”
[“… Annie era sempre alla ricerca di quegli scatti che gli altri si erano lasciati sfuggire. Il suo lavoro personale era più importante per lei di quello professionale, proprio per la sua natura. Era più importante catturare le immagini che voleva piuttosto che scattarne un certo numero o rendere i suoi editori felice. Era più felice quando fotografava quello che voleva …”]
Ritratto della Regina Elisabetta II
«Il lavoro rappresenta la relazione più duratura della mia vita».
Annie continua a lavorare ancora oggi; è una ‘macchina di successo’; e di denaro. Nonostante questo, però, per poter ripagare un debito di ventiquattro milioni di dollari, nel 2009 ha dovuto ipotecare non solo le sue proprietà ma anche i diritti sui suoi lavori fotografici e sulle sue immagini originali, il valore delle quali è stimato attorno ai cinquanta milioni ma non è, naturalmente, immediatamente monetizzabile e liquidabile.
Il ‘Times’ ha scritto che Annie ha ‘una lunga storia di ‘disattenzioni economiche’, e ‘numerose vicende personali recenti che l’hanno spinta a indebitarsi ulteriormente’; nonostante una rinegoziazione del debito e il ritiro dell’istanza di fallimento che l’avrebbe privata dei diritti sulle sue foto, Annie ha successivamente messo in vendita la sua residenza privata, ed è attualmente, nuovamente, citata in giudizio per debiti, anche se per importi molto inferiori.
“Annie Leibovitz has had her share of tragedy and trouble in her life. She has taken chances when she didn’t know where the road would lead. Her whole career has been spent in pursuit of her dream of just taking pictures. It has not been all fame and glory, but she has been able to do what she loves.”
[“Annie Leibovitz, nella sua vita, ha avuto la sua parte di difficoltà e tragedie. Ha rischiato nel momento in cui non sapeva dove la strada l’avrebbe condotta. Ha speso la sua intera carriera all’inseguimento del suo sogno di poter semplicemente far foto. Non è stata sempre fama, non è stata sempre gloria, ma è stata in grado di fare ciò che amava.”]
Roberto Srelz © centoParole Magazine in collaborazione con dotART – riproduzione riservata.
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