La danza delle parole (elementi di psicanalisi): luoghi comuni e pre-giudizi

Siamo “agiti” dalle nostre abitudini mentali, condotti dalle tradizioni e educazioni, sorretti da un luogo/pensiero comune che ha deciso i nostri “giusti” comportamenti, le cose “sacre”, le cose “valide” e intoccabili, cose che è proibito, sconsiderato, mettere in discussione, ovvero in gioco.
Su queste fantasmatiche “fondamenta” le parole non conformi al preconcetto, debbono fermarsi o adeguarsi al sentire comune.
La parola, se non vi si adegua, diviene ed è avvertita come violenza, segno di insensibilità, giudizio inopportuno, in quanto “irrispettosa” della sfera “intima e sociale consolidata”, che tende solo alla rassicurazione e alla garanzia.
In queste situazioni la danza libera della parola trova reti pronte ad ingabbiarla.
La psicanalisi, come libero ascolto e libera parola, si trova, nella sua audacia e rischio, a incrinare, smagliare queste reti che contengono e reprimono la pulsione.
Reti create dalle convinzioni che inchiodano nei propri presunti e assunti limiti.

L’equipe analitica, nonostante la struttura amichevole e apparentemente innocua, è una via/esperienza per persone coraggiose che si espongono al rischio dell’ascolto e della messa in gioco delle proprie “convinzioni”.
Non serve crearsi, nelle conversazioni, nelle amicizie, nelle relazioni, una cintura di protezione, sorda e mafiosa nella quale rappresentare l’unione e la solidarietà, a discapito dell’ascolto, perché l’amicizia e l’amore stanno, liberi,nell’ascolto della parola e non nell’avallo dei sintomi e dei pregiudizi.
Occorrerebbe, nelle relazioni di parola, riuscire a mettere da parte le nostre “convinzioni”o, almeno, a non servirsene per farne un filtro tra il quale far passare solo ciò che ci “aggrada” e convince.

Nella esperienza analitica si lavora proprio su questo, ovvero si cerca di aprire degli squarci che possano far passare i discorsi degli altri senza per forza adeguarli ai nostri metri di misura. Solo in questo modo si effettuano scambi di pensiero prolifici per ciascuno. Ma non solo con i nostri interlocutori, anche con noi stessi effettuiamo dei filtri per non ascoltarci. Questo diviene,nel tempo, un grande limite che ci impedisce la conoscenza di noi stessi e degli altri.
La sfida, per cercare di uscire da questi schemi, è trovare il coraggio di voler mettere in gioco il proprio fantasma, i proprio presunti “limiti”, paure e pregiudizi.

La prima vera difficoltà dell’ascolto (analitico) è la resistenza di chi non vuole ascoltare.
Aggrappati a sintomo e alle nostre illusorie certezze pensiamo di proteggerci accasandoci nel luogo comune, nell’abbraccio della sostanza minima comune denominatrice, condivisa dalla maggior parte della società.
L’ascolto vero, invece, coglie ciò che l’enunciante e il suo interlocutore, non sa, ciò che si insinua, per fortuna, tra il comune pensiero precostituito e lo spalanca ad un ascolto dell’inconosciuto e impensato, (spesso, negata anche da chi la esprime, perciò inascoltabile finché non l’ammette).
I pensieri consolidati e sintomatici che usiamo quotidianamente, in automatico, invece si muovono circolarmente impedendo la direzione.

Occorrerebbe, proprio per interrompere questa circolarità, riuscire a fare un “agguato a se stessi”; come scrive lo scrittore e ricercatore Castaneda, per scompigliare il circolo e il gorgo che ne risulta.
Solo con l’instaurazione del transfert si ammette l’ascolto e si accede allo sgretolamento dei pregiudizi e luoghi comuni (per transfert, ovvero per via di riconoscimento, nell’altro, di qualcosa che ci concerne).
Il muro che ci separa dall’ascolto è lo stesso che innalziamo ciascuna volta che non ammettiamo una variazione e spostamento dalla nostra mentalità, dal nostro modo di ragionare, dalle nostre credenze, dai nostri fantasmatici e illusori “paletti”.
Le “credenze” si riempiono di luoghi comuni consolidati da generazioni. Creazioni supporti di limiti e grotte per nascondersi alla irruenza dell’ascolto, alla dissidenza della parola. Scardinare, mettendola in discussione, la mentalità, porta ad attivare e rinnovare il pensiero.
Ma spesso questo scardinamento impaurisce chi lo ascolta e instaura una sorta di “difesa” del luogo comune, della mentalità comune, attivando, per reazione una complicità, una sorta di rete di protezione personale e sociale alle cose consolidate che funzionano da schermi, alibi, appigli (facendo rimanere spesso fermi i pensieri e le azioni delle persone).

Insomma cercare di introdurre “aria nuova”e “sguardo nuovo” nel pensiero porta i meccanismo di difesa che si rappresentano con l’attacco all’”estraneo”(pensiero estraneo, nuovo, non conosciuto e ripetuto). Scardinare la logica comune scatena l’aggressività in chi si è barricato dentro il fantasmatico cerchio che comprende tutti.

Come si può capire, la mentalità, le logiche comuni e avallate, impediscono di vedere e cogliere l’Altro.
La speranza quindi è di riuscire a rompere quel muro del pregiudizio e del “già saputo”che ci impedisce di immetterci in una nuova esperienza vita e di divenire noi stessi dispositivo di apertura per i nostri interlocutori, creando quindi nuove occasioni.
L‘augurio per ciascuno è di riuscire, smantellando i luoghi comuni e i pre-giudizi, di disporsi a ciò che ancora non sappiamo e di ascoltare ciò che di inedito sta accadendo a noi e attorno a noi!

Roberta de Jorio  ©centoParole Magazine – riproduzione riservata. 

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