“E’ un gran dio l’Eros, un dio che merita tutta l’ammirazione degli uomini e degli dèi per diverse ragioni, non ultima la sua origine. E’ annoverato tra i più antichi dèi, e questo, aggiunse, è un onore. Di questa antichità abbiamo una prova: l’Eros non ha né padre né madre, e nessuno, né in poesia né in prosa, glielo ha mai attribuito. Esiodo ci dice che innanzitutto vi fu il Caos, “e la Terra dall’ampio seno, / sicura sede per tutti i viventi e l’Eros…”. E, in accordo con Esiodo, anche Acusilao dice che dopo il Caos sono nati questi due esseri, la Terra e l’Eros. Quanto a Parmenide, parlando della generazione dice che “di tutti gli dèi, l’amore fu il primo che la dea partorì”. Così c’è ampio accordo nel dire che l’Eros è uno degli dèi più antichi.
Essendo così antico, è per noi la sorgente dei più grandi beni. Per me, io lo affermo, non c’è più grande bene nella giovinezza che avere un amante virtuoso e, se si ama, trovare eguale amore in chi si ama. Infatti i sentimenti che devono guidare per tutta la vita gli uomini destinati a vivere nel bene non possono ispirarsi né alla nobiltà della nascita né agli onori né alla ricchezza, né a null’altro: devono ispirarsi ad Eros. Ora, mi chiedo, quali sono questi sentimenti? La vergogna per le cattive azioni, l’attrazione per le azioni belle. Senza questo, nessuna città, nessun individuo potranno far mai nulla di grande e di buono. Così, io lo dichiaro, un uomo che ama, se sorpreso in flagrante a commettere un’azione malvagia o a subire per vigliaccheria, senza difendersi, una grave offesa, soffrirà certamente se a scoprirlo saranno suo padre o i suoi amici o chiunque altro; ma soffrirà molto di più se a scoprirlo sarà il suo amante. Ed è lo stesso per l’amato: è davanti al suo amante, noi lo sappiamo bene, che egli sentirà la più grande vergogna, quando sarà sorpreso a fare qualcosa di cui vergognarsi. Se esistesse un mezzo per mettere insieme una città o un esercito fatti solo da amanti e dai loro amici, essi si darebbero certamente il miglior governo che ci sia: allontanerebbero infatti da loro tutto ciò che è cattivo e rivaleggerebbero sulla via dell’onore. E se questi amanti combattessero l’uno di fianco all’altro potrebbero vincere, per così dire, il mondo intero, anche se fossero soltanto un piccolo gruppo, perché sarebbero molto uniti tra loro. Infatti per un innamorato sarebbe più intollerabile abbandonare i ranghi o gettare le armi sotto gli occhi del suo amante che sotto gli occhi del resto dell’esercito; preferirebbe piuttosto morire cento volte. Quanto ad abbandonare chi si ama, a non aiutarlo in caso di pericolo, nessuno è così vigliacco che l’Eros non riesca a ispirargli una forza divina rendendolo eguale a quelli che per natura hanno grande coraggio. Esattamente come in Omero il dio viene a ispirare l’ardore per la battaglia a certi eroi, così l’Eros fa questo dono agli innanmorati, ed essi lo accettano da lui.
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Meglio ancora: morire per l’altro. Soltanto gli amanti accettano questo, non solo gli uomini, ma anche le donne. La figlia di Pelia, Alcesti, ha dato ai Greci un esempio chiarissimo di ciò che dico. Soltanto essa acconsentì a morire per il suo sposo, che pure aveva un padre e una madre. La sua figura si eleva così in alto su di loro per la forza nata dal suo amore da farli apparire estranei al loro stesso figlio, senza altro legame con lui che il nome. Avendo agito in questo modo, il suo gesto è sembrato bellissimo, non solo agli uomini ma anche agli dèi. Essi concedono davvero a pochi il privilegio di richiamare in vita la loro anima dal fondo dell’Ade, una volta morti. Ebbere fra tanti eroi, autori delle più belle azioni, concessero questo privilegio proprio ad Alcesti ricordandosi del suo gesto che avevano tanto ammirato. A tal punto gli dèi onorano la dedizione e il coraggio al servizio dell’Eros. Al contrario essi mandarono via dall’Ade Orfeo, figlio di Eagro, senza ottenere nulla: gli mostrarono soltanto un’immagine della donna per la quale era venuto, senza concedergliela. La sua anima, infatti, sembrava loro debole, perché altri non era che un suonatore di cetra; non aveva avuto il coraggio di morire, come Alcesti, per il suo amore, ma aveva cercato con tutti i mezzi di penetrare da vivo nel regno dei morti. E’ certamente per questa ragione che essi gli hanno inflitto questa punizione e hanno fatto in modo che morisse per mano delle donne. Non hanno agito nello stesso modo con Achille, il figlio di Teti: l’hanno trattato con onore, aprendogli la via per le isole dei beati. Achille infatti, avvertito dalla madre che sarebbe morto se avesse ucciso Ettore, e sarebbe invece tornato al suo paese finendo i suoi giorni da vecchio se non lo avesse fatto, scelse con coraggio di restare al fianco di Patroclo, il suo amante, vendicandolo: scelse non di morire per salvarlo, perché era già stato ucciso, ma di seguirlo sulla via della morte. Così gli dèi, pieni di ammirazione, gli hanno tributato onori eccezionali, per aver posto così in alto il suo amante.
Eschilo scherza quando pretende che Achille sia l’amante di Patroclo: Achille era più bello non soltanto di Patroclo, ma anche di tutti gli altri eroi messi insieme; era un ragazzo, non aveva ancora la barba, ed era quindi assai più giovane di Patroclo, come dice Omero. Così se gli dèi onorano soprattutto questo particolare tipo di coraggio che si mette al servizio dell’amore, essi ammirano, stimano, ricompensano ancor di più la tenerezza del’amato per l’amante che quella dell’amante per i suoi amati. L’amante, infatti, è più vicino al dio dell’amato, perché un dio lo possiede. Ecco perché gi dèi hanno onorato Achille più che Alcesti, aprendogli la via per le isole dei beati.
Ecco dunque, io lo dichiaro, l’Eros è tra gli dèi il più antico e il più degno, ha i maggiori titoli per guidare l’uomo sulla via della virtù e della felicità, sia in vita che nel regno del’aldilà”
tratto da: Simposio, Platone