La famiglia Asburgo nel 1860

Miramare, per una storia: Massimiliano del Messico, gli Asburgo, il castello

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Franz Xaver Winterhalter_La principessa Carlotta del Belgio nel 1842Cugina della regina Vittoria del Regno Unito (1819-1901) e del marito principe consorte Alberto di Sassonia Coburgo-Gotha (1819-1861), quarta di sei fratelli (Luigi Filippo, Leopoldo, Filippo, Giorgio e Arturo), la principessa era cresciuta nel costante affetto della sua nonna preferita, la regina di Francia Maria Amalia di Napoli e Sicilia (sorella della madre di Francesco Carlo d’Asburgo, Maria Teresa di Napoli e Sicilia). Passava con lei due settimane all’anno, in seguito alla prematura morte di Luisa d’Orleans a causa della tubercolosi (sopraggiunta quando la piccola Carlotta aveva appena dieci anni: la principessa sarebbe poi stata affidata alle cure della contessa di Hustle; tra realtà e leggenda, pare che la bambina ogni tanto sparisse e venisse ritrovata a giocare con le bambole sulla tomba della madre). Sarebbero rimasti a perpetua testimonianza dell’infanzia di questa sfortunata principessa del Belgio alcuni ritratti, realizzati dal pittore tedesco Franz Xaver Winterhalter, debitore della sua fortuna proprio alla nonna di Carlotta, che lo avrebbe promosso presso l’aristocrazia francese. Il legame con la regina Maria Amalia sarebbe stato tale che la giovane Carlotta, in occasione del giorno delle sue nozze con Massimiliano d’Asburgo, avrebbe portato al polso un braccialetto con il ritratto della nonna. Appassionata lettrice e amante delle arti (considerata altezzosa per la sua abitudine di strizzare gli occhi, in realtà a causa di una semi-trascurata miopia) all’età di sedici anni la principessa belga poteva vantare due pretendenti: il principe Giorgio di Sassonia e il re Pietro del Portogallo (proposto dalla regina Vittoria). Entro la fine dell’anno se ne sarebbe aggiunto un terzo, destinato a divenire suo marito.

I primi anni di matrimonio degli arciduchi d’Austria sarebbero stati contraddistinti dal governatorato del Lombardo-Veneto: risiedevano infatti a Milano mentre Miramare era in fase di costruzione. Il 20 aprile 1859, Massimiliano veniva congedato dal suo ruolo di viceré per volontà dell’imperatore: sarebbe stato sostituito dal conte maresciallo Gyulay. Proprio nel corso degli ultimi mesi passati da Massimiliano in qualità di govenatore, pare che egli avesse cercato di ingraziarsi gli intellettuali che erano in fermento a causa della ormai imminente guerra con il Piemonte, recandosi in visita da Alessandro Manzoni (1785-1873) che prontamente gli rispose: “Avendo io rifiutato già decorazioni del re di Sassonia e di quello di Prussia, non posso ora accettare quella austriaca che Vostra eccellenza mi vuol appuntare al petto!”.

Xilografia con una veduta del parco di Miramare nel 1875Sul picco di Grignano, circondato dal mare e in seguito dalla vegetazione (per mezzo del parco disegnato dallo stesso Massimiliano) erano iniziati da tempo i lavori con la realizzazione delle fondamenta e del muraglione di contenimento, quest’ultimo realizzato considerando la particolare posizione che avrebbe occupato il castello (quindici metri sul livello del mare). L’impresa incaricata, capitanata da Anton Hauser, avrebbe rinvenuto nell’ambito di quel terreno alcune rovine romane, i resti di un cimitero, alcune monete e uno stemma composto da una croce azzurra in campo bianco sormontata da una corona. Dallo stesso, secondo quanto riportato nella preziosa testimonianza di Aurelia Cimino Folliero de Luna, l’arciduca Massimiliano avrebbe ricavato l’emblema di Miramare (presente in molti dettagli del castello: ogni croce sarebbe poi stata ridipinta di nero dopo la morte del committente) aggiungendovi in seguito due ananas e una coppia di ancore con corona posizionate ai lati della croce. L’edificazione del castello si era rivelata dispendiosa, soprattutto considerando la provenienza estera di parte del materiale: per questo motivo, dopo un paio d’anni dall’inizio dei lavori, Massimiliano avrebbe deciso di eliminare il secondo piano (l’edificio veniva così suddiviso in tre parti distinte: il piano terra con gli appartamenti arciducali, il primo caratterizzato dagli ambienti di rappresentanza e il cosiddetto “mezzanin” destinato alla servitù). A partire dal 1857 sarebbero state realizzate anche diverse tra le costruzioni presenti nel parco: lo avrebbero completato inoltre alcune fontane e sculture varie. La fontana detta “del Tritone”, realizzata dalla ditta tedesca “Thonwaaren-Fabrik” di Ernst March (aveva sede a Thiergartemfelde, nei pressi di Charlottenburg), era stata presentata a Londra nel 1851; la statua dell’“Amazzone a cavallo”, acquistata dall’arciduca nel 1862, faceva invece parte della produzione di August Kiss.

Dipinto autografo di Carlotta, con una veduta dalla terrazza del CastelloIn realtà, il programma iconografico relativo alla decorazione degli ambienti esterni di Miramare seguiva una linea ben precisa: nulla era casuale nelle intenzioni di Massimiliano, a partire dalle statue collocate su alte colonne, che un tempo venivano compensante dalla presenza di specie botaniche caratterizzate da grandi dimensioni. Ciò a cui l’arciduca si ispirava era la “munificenza” delle statue classiche presenti nell’ambito dei giardini regali: sarebbe stata così acquistata una copia in bronzo del “Napoleone I” di Canova (1859, opera di Giovanni Pandiani; in origine, era stata commissionata da Massimiliano come dono per Napoleone III, per il notevole costo di diecimila fiorini) oltre a riproduzioni del “Mercurio” e della “Venere” dei Medici (realizzate per mezzo di un metallo innovativo misto a zinco dalla fabbrica Geiss di Berlino). Anche la già citata statua dell’Amazzone riprendeva quella dell’Altes Museum di Berlino e similarmente all’originale era stata collocata su di una scalinata, nello specifico quella del piazzale di fronte al castello.

Partendo da una zona in gran parte spoglia, Massimiliano avrebbe commissionato un parco caratterizzato da dimensioni relativamente medie, che nella sua totalità avesse potuto essere percorso a piedi: un luogo privato, dove non si sarebbe presentata la necessità di un ingresso monumentale. Questo non avrebbe impedito all’arciduca di aprire il suo parco al pubblico in giornate precise e di permettere in seguito, per volontà testamentaria, che l’accesso venisse sempre consentito a coloro che desideravano visitarlo. La progettazione di quel parco irregolare, ispirato ai giardini inglesi e sempre pronto a stupire l’osservatore grazie alla sua ispirazione romantica, si doveva ancora una volta all’architetto Carl Junker. Dal punto di vista botanico, nelle prime fasi l’impresa sarebbe stata curata dal giardiniere Josef Laube, che eseguiva scrupolosamente quanto gli veniva ordinato dall’arciduca Massimiliano: in quel periodo, l’intenzione era quella di creare una sorta di giardino mediterraneo. Avendo constatato che limoni e aranci non erano in grado di sopravvivere alla stagione invernale, nel 1859 il committente decideva di affidare la direzione del parco al boemo Anton Jelinek. Successivamente, mentre già ricopriva la carica di imperatore del Messico, Massimiliano avrebbe prediletto una concezione di tipo più spiccatamente paesistico per la decorazione botanica del picco di Miramare (ad esempio, questo progetto veniva riportato nella planimetria realizzata da Wilhelm Knechtel e datata 30 dicembre 1866). Massimiliano concepiva la presenza del parco soprattutto come luogo ideale per la sperimentazione e l’acclimatazione delle piante (suddivise secondo uno schema preciso, alla ricerca dei luoghi ideali per la loro crescita) che avrebbe fatto giungere a Trieste da ogni terra esplorata: ad esempio, la sequoia gigante tipica del Nord America e della California, il Cedrus del Libano, il Ginkgo Biloba della Cina. Per volontà dell’arciduca sarebbe stato altresì inserito all’interno del parco un museo utile a raccogliere le sue collezioni di reperti egizi (acquisiti durante la sua visita a Menfi, insieme alla sfinge del molo) ed etnografici. Dopo la morte di Massimiliano, la raccolta avrebbe racchiuso anche alcuni tra gli oggetti a lui appartenuti: le vesti, le armi, lo scettro messicano; quasi che la presenza del legittimo proprietario e fondatore di quelle collezioni venisse rievocata. Dal Messico (2 marzo 1867) avrebbe scritto a Bilimek, da lui nominato direttore delle raccolte museali: “Quanto mi duole che le scienze pacifiche non possano prosperare a fianco di Marte. Potreste, mio degno amico, trovare in questo bello e caldo paese di Queretaro, le cose più preziose. Mentre le palle fischiavano intorno a noi nel bosco ameno di Calpualpam, ho veduto svolazzare tranquillamente le più splendide farfalle, e qui, in Queretaro, abbiamo scoperto una nuova specie d’insetto. Se avessi potuto portar meco alcuni vetri, vi avrei posto in serbo alcuni esemplari di questi meravigliosi animalucci, malgrado le occupazioni di questo luogo”. Ancora una volta, emergeva la passione di Massimiliano per la natura e le sue specie, a discapito di qualsiasi situazione complessa.

Gli edifici del parco (che avevamo già ricordato come principiati a partire dal gennaio 1857, a cura dell’impresa Hause) corrispondenti al progetto Junker comprendevano anche il “castelletto”: una celebre struttura, che avrebbe ospitato la coppia arciducale tra il 1859 e il 1860. In seguito, tra il 1866 e il 1867 sarebbe divenuta la “prigione” dell’imperatrice Carlotta, ormai preda della follia a causa dei fatti avvenuti nei mesi precedenti. Il progetto del Castelletto avrebbe ripreso in gran parte le caratteristiche architettoniche di Miramare: pianificati fondendo l’architettura medievale a quella rinascimentale, rispecchiavano entrambi lo stile eclettico tanto in voga all’epoca (secondo i dettami del cosiddetto “romantisches Historismus”). Nel castello, in particolare, sarebbero stati impiegati archi a tutto sesto d’ispirazione medievale, uniti a motivi tipici del gotico inglese e spunti vari (soprattutto rinascimentali, ma anche islamici e bizantini). Vari erano gli esempi europei di residenze progettate secondo alcune tra queste caratteristiche: lo Schloss Kurnik in Polonia (1829), lo Schloss Babelsberg a Potsam (1832-1835) e infine il castello del barone Oertzen a Kittendorf (1851). Sempre nell’ambito del parco e per volontà dell’arciduca Ludovico Vittorio (già ricordato come il più giovane tra i fratelli di Massimiliano), nel 1900 veniva collocato all’interno della cappella di San Canciano un curioso crocifisso scolpito: secondo la leggenda, il legno sarebbe stato quello dell’albero maestro della fregata “Novara”, la celebre nave della flotta austriaca (costruita in ricordo di una vittoria, aveva ospitato Massimiliano in più occasioni a partire dal suo arruolamento in marina per il servizio di prima nomina) che nel 1864 aveva accompagnato la coppia imperiale in Messico e nel gennaio 1868 aveva ricondotto le spoglie di Massimiliano a Trieste.

La cappella di San Canciano nel Parco di MiramareTra mito e realtà, un anno prima (1899) lo stesso fratello aveva regalato alla priora del convento delle dominicane di Vienna, Madre Raimunda (al secolo principessa Friedericke Auersperg), una croce ancora una volta costruita con il legno dell’imbarcazione che tanto aveva segnato la vita di Massimiliano. Si trattava di un dono dettato dal sentimento: a partire dal 1846, ben prima di prendere i voti (1862), la donna si era infatti occupata dell’educazione di Francesco Giuseppe e dei suoi fratelli.  Per gli arredi e le decorazioni interne al castello di Miramare, Massimiliano aveva scelto gli austriaci Franz e Julius Hofmann (padre e figlio), che avrebbero lavorato seguendo le sue precise indicazioni (minuziose, non solo nelle descrizioni delle caratteristiche decorative, ma anche nella giustapposizione di quadri e oggetti). L’arciduca curava ogni minimo particolare: ad esempio, avrebbe ordinato che le stanze del pianoterra (quindi, quelle dell’appartamento arciducale) venissero rivestite con la stessa stoffa azzurra che veniva impiegata nell’ambito delle finestre: era stata fatta tessere in Lombardia e presentava le immagini dell’ananas (simbolo allegorico di prosperità e ricchezza) e dell’ancora sovrastata dalla corona (alludente al suo incarico di contrammiraglio della Marina austriaca). Gli stessi motivi sarebbero ritornati anche nella stoffa rossa che avrebbe caratterizzato il secondo piano: tuttavia, in quel caso veniva introdotta nella decorazione anche l’aquila con in becco un serpente (simbolo dell’impero messicano). Massimiliano avrebbe continuato ad inviare precise indicazioni anche dal Messico, dopo la nomina ad imperatore: il primo piano sarebbe stato ultimato solamente dopo la sua morte. Nel Natale 1860, i lavori al pianoterra del castello di Miramare potevano considerarsi conclusi (gli ambienti superiori sarebbero stati ultimati appena undici anni dopo): la coppia prendeva ufficialmente possesso delle sue stanze.

Immagine 01. La fotografia ritrae i fratelli Asburgo ormai adulti_Carlo Ludovico, Francesco Giuseppe, Ludovico Vittorio, Ferdinando MassimilianoTuttavia, altri pensieri impegnavano le menti dei due coniugi: circa un anno prima (1859) a Massimiliano era stata proposta la corona imperiale messicana. Il tentativo di avvicinamento, formulato da alcuni monarchici, aveva però ottenuto esito negativo: l’arciduca aveva rifiutato il titolo. Successivamente, però, Carlotta si sarebbe lasciata sedurre dalla possibilità di abbandonare Miramare per rincorrere sogni più grandi. Nell’anno successivo a quello del suo ingresso ufficiale presso la dimora che aveva a lungo progettato, l’arciduca si sarebbe imbarcato con l’intenzione di svolgere una spedizione scientifica nelle foreste del Brasile (alcuni anni prima, a bordo della fregata “Novara” e per volere di Massimiliano, alcuni marinai avevano svolto un giro intorno al mondo: rientrati, avrebbero descritto le meraviglie del territorio brasiliano all’arciduca). Nel frattempo, gli eventi bellici avevano dato luogo ad una svolta nell’ambito della situazione politica messicana: cogliendo l’occasione offerta dalle circostanze della Guerra di Secessione Americana (12 aprile 1861 – 18 aprile 1865), l’imperatore dei francesi Napoleone III (Parigi, 20 aprile 1808 – Chislehurst, 9 gennaio 1873) era intervenuto in Messico per mezzo del suo esercito. Una volta conquistata Città del Messico grazie alle truppe guidate dal generale Forey (che già vantavano la presa di Puebla), un plebiscito non troppo attendibile avrebbe decretato la fine del governo presidenziale capeggiato da Benito Juarez e la conseguente proclamazione dell’impero. Interpellato nuovamente a causa dei suoi meriti politici (già emersi nel corso del governatorato del Lombardo-Veneto), Massimiliano il 10 aprile 1864 avrebbe accettato la corona del Messico. Napoleone III l’aveva lusingato con una falsa promessa: l’arciduca poteva essere in grado di salvare un intero continente, strappandolo all’anarchia e alla miseria. Le suppliche da parte della madre per evitare che egli accettasse la corona messicana non erano però mancate, quasi profetiche considerando gli eventi successivi: “Non mi rassegnerei mai al dolore di vedere un discendente di Rodolfo d’Asburgo e di Maria Teresa incoronato vassallo dell’incarnazione della menzogna (Napoleone), perché questo Mefistofele non mira ad altro che all’umiliazione e all’annientamento dell’Austria”. Infine Francesco Giuseppe, furibondo, aveva a sua volta imposto al fratello la rinuncia a tutti i diritti che avrebbe potuto esercitare nei confronti della casa imperiale austriaca: quella vendetta era arrivata come un proverbiale fulmine a ciel sereno, proprio alla vigilia della conferma ufficiale del titolo e della partenza di Massimiliano e Carlotta (si era presentato di persona a Miramare la mattina del 9 aprile, in compagnia di alcuni testimoni, quando il fratello  era solo un imperatore designato: i due avrebbero discusso animatamente per circa un paio d’ore prima della firma). Tanto rancore era forse condizionato anche dal fatto che ogni volta che il governo di Francesco Giuseppe presentava dei grossi problemi, i sudditi continuavano ad acclamare Massimiliano come nuovo sovrano.

Immagine 02. Massimiliano imperatore del Messico Immagine 03. Carlotta imperatrice del MessicoIl 14 aprile 1864, una gran folla salutava il neo-proclamato imperatore del Messico, che insieme alla sua sposa si apprestava a lasciare la città di Trieste per non rientrarvi mai più (perlomeno da vivo). Mentre la “Novara” stava procedendo verso le coste messicane, Massimiliano si sarebbe sottratto alla lettura dei libri relativi alla storia del Messico che gli erano stati saggiamente consigliati, dedicandosi piuttosto alla stesura di un manuale finalizzato alla definizione dell’”etichetta” di corte. Nel frattempo, cercava anche il modo per ritrattare il documento che aveva siglato per ordine del fratello. Lo attendeva un’amara sorpresa: l’imperatore sbarcava a Veracruz il 28 maggio (o forse il giorno dopo) e sin da subito incontrava grosse difficoltà nei confronti dei liberali di Juarez, che rifiutavano di riconoscere il suo ruolo e seguitavano a combattere l’esercito francese. Determinata, la coppia imperiale avrebbe scelto come residenza il Castello di Chapultepec, situato su quella collina sovrastante Città del Messico che era già stata rifugio dei leggendari sovrani aztechi: successivamente, per volere di Massimiliano sarebbe stata costruita anche una via che dalla dimora permetteva l’accesso al centro della città. Già denominata “Strada dell’Imperatrice”, sarebbe stata poi ribattezzata “Viale della Riforma”.

Immagine 04. Medaglia messicana coniata all'epoca di Massimiliano_46 mm_Sebastian Navalon e Cayetano OcampoNel frattempo, i cambiamenti apportati dall’imperatore nell’ambito della legislazione messicana avrebbero potuto apparire tutto sommato meditati e giusti: ad esempio, era stata favorita la presenza di una monarchia costituzionale (i cui poteri venivano suddivisi nell’ambito di un congresso democraticamente eletto). Massimiliano sarebbe stato anche uno dei promotori per la creazione di una legge che avesse abolito il lavoro infantile, ma anche diminuito le ore della giornata lavorativa. Tuttavia, considerando le condizioni sfavorevoli che accompagnavano la sua reggenza (i conservatori per loro natura rifiutavano qualsiasi tipo di innovazione, i liberali non lo riconoscevano quale sovrano), ben pochi furono i rappresentanti politici disposti ad appoggiare le sue idee. Ancor più scandalo avrebbe suscitato il tentativo attuato dall’imperatore con lo scopo di rilanciare alcune proposte legislative che già erano state di Juarez: tali furono (ad esempio) la riforma terriera, l’estensione del diritto di voto alle classi contadine e la libertà di religione.

Sul versante privato, la vita coniugale della coppia non era ancora riuscita a dare frutti: Massimiliano e Carlotta avrebbero perciò deciso di adottare Augustin de Iturbide y Green (1863 – 1925) e il cugino Salvador de Iturbide y de Marzan (1849 – 1895). Entrambi erano nipoti di Augustin I, imperatore del Messico nel 1820: al primo tra i due figli era stato inoltre concesso il titolo di “Sua Altezza, il Principe di Iturbide”, oltre al diritto ereditario sul trono messicano. Ben presto, Massimiliano avrebbe però iniziato a commettere diversi gravi errori tattici: il primo fra tutti sarebbe stato l’ordine di fucilazione per tutti i sostenitori della causa liberale fino a quel momento arrestati, causato dal rifiuto da parte di Juarez della proposta di amnistia e sottomissione alla “Corona”. Aveva siglato metaforicamente la sua condanna a morte: dopo la fine della Guerra d’Indipendenza, gli Stati Uniti si sarebbero alleati con i repubblicani del Messico per muovere contro Massimiliano, la cui caduta era ormai data per certa. Napoleone III, a quel punto, aveva deciso di sciogliere l’alleanza: nello stesso 1866 ritirava le sue truppe dal territorio messicano.

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Nadia Danelon © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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