“Fin dal principio sapevo che avrei cercato di concepire una struttura che calzasse l’ambiente circostante, mi ha subito colpito la bellezza che si propaga a Kensington Garden.”
Tutto quel verde ha fatto capire al nostro artista di oggi che doveva fare qualcosa che riuscisse a permeare l’ambiente circostante senza che questo strideresse con il resto.
Sou Fujimoto laureatosi presso il dipartimento di architettura della facoltà di ingegneria dell’Università di Tokyo nel 1994, nel 2000 aprì il proprio studio con il nome di “Sou Fujimoto Architects”.
Egli è riconosciuto come uno dei principali e più noti progettisti di architettura contemporanea sulla scena mondiale.
«Ho cercato di creare qualcosa tra l’architettura e la natura, questo concept ha avuto una grande importanza nella mia carriera perciò è quasi spontaneo spingersi oltre con esso per il futuro», con queste parole il 42enne Fujimoto definisce la sua arte, “come il bianco e il nero che generano innumerevoli variazioni di grigio, anche natura e architettura creano nel loro spazio innumerevoli spunti e contaminazioni.
Su questo proposito si fonda l’idea della trasparenza alla base della costruzione del pavillon pensato esclusivamente per la Serpentine Gallery di Londra.
La strada che questo artista Giapponese vuole intraprendere e portare avanti, è proprio quella di strutture nate non con l’intento di separare ciò che racchiudono dall’ambiente esterno circostante ma bensì, con l’obbiettivo di fungere da vere e proprie membrane in grado di lasciarsi attraversare dalla luce e dall’atmosfera nelle quali sono immerse.
«Mi piace trovare qualcosa nel mezzo. Non solo natura e architettura ma anche fuori e dentro. Ogni tipo di definizione presuppone uno spazio a metà strada. Specialmente se definiamo due opposti, allora lo spazio nel mezzo sarà ancora più ricco».
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Lo scheletro dell’opera si articola attraverso le infinite direzioni prese da un tubolare bianco che viene poi composto e scomposto in una struttura trilitica interconnessa e ripetuta fino ad espandersi lungo tre dimensioni.
Il risultato? Un reticolo di elementi che si sostengono e permettono ai visitatori di interagire con lo spazio nel quale agiscono.
È straordinario come in una struttura così complessa la caratteristica che più salta all’occhio è la semplicità delle linee tramite cui Fujimoto è capace di generare diversi effetti spaziali. La costruzione, che si basa su un sistema tridimensionale di coordinate e si materializza sotto forma di profilati di acciaio dello spessore di 2 cm saldati l’uno con l’altro, ha come obbiettivo quello di riuscire a dare forma ad uno schema architettonico che si fondesse con il contesto senza alterarne l’immagine.
Fujimoto ha sapientemente fatto uso di lastre e dischi di policarbonato come gradini, sedute e come coperture orizzontali creando così nell’osservatore l’illusione che non vi sia distinzione fra ambiente “interno” ed ambiente “esterno” generando uno spazio ibrido in cui è il fruitore stesso a vivere e percepire l’architettura in maniera interattiva e del tutto soggettiva.
Valeria Morterra