Qualche articolo fa si parlava del delicato rapporto fra televisione e divulgazione culturale, parlando più specificatamente della sfera musicale.
Ci si era soffermati in particolare su una piccola parte di quel fare televisione del periodo compreso fra gli anni Cinquanta e Settanta, analizzando come ad un certo punto alcune personalità di spicco abbiano deciso di sfruttare il nuovo mezzo televisivo per raccontare la musica: Pierre Boulez in Inghilterra, Leonard Bernstein in America e Luciano Berio in Italia sono riusciti nell’intento di sviscerare il “fare musicale”, presentandolo come un enorme, complesso e al contempo affascinante mondo. Verso la fine di quell’articolo ci si domandava se al giorno d’oggi un esperimento simile potesse ancora avvenire e riuscire: la risposta a questa domanda è ora possibile grazie a un personaggio altrettanto poliedrico e carismatico come Ezio Bosso.
“Che storia è la musica” è il programma televisivo curato dal maestro Bosso che ha fatto parlare di sé per la sua grande capacità di spiegare in termini semplici la musica attraverso la televisione: in giugno si era vista la prima puntata, ovvero quasi tre ore dedicate a due delle Sinfonie più importanti ed emblematiche (Quinta e Settima) di Ludwig Van Beethoven; più recentemente, durante il giorno di Natale, è andata in onda la seconda puntata dedicata alla Sinfonia n. 6 (“Patetica”) di Pëtr Il’ič Čajkovskij. L’acuta sensibilità musicale di Bosso emerge durante il corso di ogni puntata: un carisma come pochi, un forte senso dell’umorismo, autocritica e ironia sono le chiavi di una trattazione non accademica, dove si intrecciano storie, punti di vista e “musiche” diverse (come le ouverture di “Traviata” di Giuseppe Verdi nella prima puntata, o quella del “Don Giovanni” di Wolfgang Amadeus Mozart nell’anteprima della seconda). Interessante e di grande impatto la scelta di avere ospiti “esterni” al mondo della musica come Enrico Mentana, Luca Bizzarri, Mario Tozzi, Corrado Augias e Max Tortora, giusto per citarne qualcuno, che raccontano la loro “musica”, il loro vivere, la loro storia, fornendo punti di analisi e riflessione inusuali ma mai scontati.
Ezio Bosso accompagna, sviscera e commenta con profondo senso critico e amore platonico queste opere e la vita dei grandi maestri che le hanno generate in un format che strizza l’occhio alla didattica di Leonard Bernstein (più precisamente del ciclo degli “Young People’s Concerts”): il Maestro, immerso negli ambienti del teatro all’italiana, svolge il ruolo di narratore di queste storie, la cui azione è svolta dall’orchestra, vera motrice plastica della serata, che espone non solo i movimenti “così come scritti”, ma anche le sfumature e i chiaroscuri dove le parole non possono esprimere i concetti. Tuttavia, Bosso non è un narratore sterile, distaccato: attraverso la sua esperienza di direttore d’orchestra, egli incarna a tutti gli effetti la sfera emozionale di queste musiche, sottolineando ed evidenziando con grande maestria una propria visione delle opere. Questa interpretazione di un sistema codificato altresì “aperto”, come direbbe Umberto Eco, degli spartiti presi in esame è sì intima e personale, eppure Bosso riesce con lungimiranza e semplicità disarmante a veicolare informazioni universalmente riconoscibili e facilmente assimilabili da parte del pubblico televisivo: come aveva fatto Alberto Manzi con “Non è mai troppo tardi” per quanto riguarda l’alfabetizzazione in televisione e Luciano Berio in “C’è Musica & Musica” per l’alfabetizzazione “musicale”, Bosso intreccia storie e piani di lettura diversi, con un umorismo di fondo mai banale e mai scontato, con umorismo “rispettoso” e nozionismo essenziale, dove il parere personale non diventa assioma ma rimane confutabile.
Questa serie di appuntamenti sono un ottimo modo per conoscere e saper riconoscere la musica in tutta la sua poliedricità. È rassicurante osservare come un programma del genere vada in onda in prima serata sulla televisione generalista: in primo luogo, è un nuovo modo di avvicinare nuovi target a un mondo spesso additato di essere elitario, snob e difficile; infine, riuscire a progettare oggi un programma che, nonostante i parallelismi con il passato (Berio, Boulez e Bernstein), sia fresco, carismatico e completo non è facile, così come non è facile oggi riuscire a comunicare in modo efficace l’importanza e l’amore che ciascuno di noi dovrebbe avere nei riguardi della cultura. Tanto di cappello alla RAI, ma soprattutto un enorme grazie a Ezio Bosso per questo grande regalo: un bel modo di concludere il 2019, nella speranza che ci siano appuntamenti sempre più ravvicinati e simili negli anni a venire.
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