Il melodramma in atto unico che vuole raccontare il genio e la figura del poliedrico scienziato fiorentino Leonardo Da Vinci: “Le nozze di Leonardo” è il titolo dell’opera andata in scena in prima mondiale al Teatro Verdi di Trieste ieri sera, mercoledì 23 ottobre. Questo, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, non è uno spettacolo “convenzionale”: la cura della regia, delle scenografie costruite attraverso sistemi stupefacenti di 3D mapping a cura di 4DODO e della direzione musicale si discostano (almeno dal punto di vista teatrale) dalla tradizione operistica adottando un linguaggio più legato a quello cinematografico, delineando così un progetto chiaro, lineare e di semplice comprensione. Attenzione, però, a non confondere la semplicità con la banalità: l’opera è curata maniacalmente e possiede numerose sfumature visive e musicali che aiutano a comprendere per davvero l’omaggio che questo progetto vuole fare al genio fiorentino.
Il libretto di Giuseppe Manfredi e Guido Chiarotti conduce lo spettatore attraverso percorsi psicanalitici dei personaggi nei confronti del loro rapporto con il potere: il contesto è quello del castello sforzesco nella Milano del 1491, più precisamente delle nozze di Beatrice d’Este (Miriam Carsana) con Ludovico Sforza detto il Moro. Qui, Cecilia Gallerani (Tonia Langella), in quanto amante del Moro, è interdetta alle nozze e confinata nel castello. A fare da tramite fra Cecilia e la giostra delle nozze è Bernardo Bellincioni (Nicolò Ceriani), poeta di corte e organizzatore, assieme a Leonardo, delle “nozze del Paradiso” fra Isabella d’Aragona (Claudia Urru) e Gian Galeazzo Maria Sforza, nipote di Ludovico. Tutti i personaggi “soffrono” il potere e tentano, invano, di combatterlo: Bernardo è invidioso del genio di Leonardo, orchestratore della festa, e tenta in ogni modo di riuscire a carpirne i segreti, tentando anche di sedurre la giovane serva Macinella (Ilaria Zanetti) che visita spesso il laboratorio dello scienziato fiorentino; Isabella porta in grembo il figlio del marito, assassinato dallo zio Ludovico per questioni di dominio, e vive la gravidanza con profondo dolore; Cecilia e Beatrice soffrono a causa delle attenzioni del Moro, poiché il matrimonio di questo con Isabella è un’unione di comodo.
E Leonardo? La cosa in un primo momento sconcertante è che Leonardo non è incarnato da un attore in carne e ossa, ma è onnipresente ed è il vero fulcro dello svolgimento dell’azione: egli viene visto da tutti come il grande genio, colui che ragiona sulle cose in maniera completa, colui che vede nelle arti pratiche del quadrivio la vera incarnazione dell’uomo e delle sue azioni. Leonardo è colui che valorizza le tre nobildonne in tre momenti distinti, catturandone l’aura dell’hic te nunc (per dirla alla Walter Benjamin); è colui il cui genio è incomprensibile sia dai servi, Macinella, che dagli eruditi, Bernardo. La metafora della sottomissione al potere si declina, quindi, a una sfera più alta: tutti i personaggi periscono, quasi religiosamente, della figura di Leonardo Da Vinci, qui elevato a deus ex machina sia della dimensione intima e psicologica propria dei singoli personaggi, sia della dimensione storica, esterna, in cui egli opera poiché il suo genio verrà ricordato per sempre.
La musica sottolinea sempre la poliedricità del genio e l’ambivalenza delle due dimensioni di cui sopra. Antonio Di Pofi, compositore, ci presenta una trattazione musicale degna del mondo cinematografico: esistono temi legati ai personaggi (più o meno solenni a seconda dei personaggi in scena), temi e colori legati ai contesti come nel caso dei ritmi di danza e dello stile concitato che richiamano la giostra dei cavalieri) e, secondo la tecnica del leitmotiv, tutti queste melodie vengono modellate e relazionate in base allo stato d’animo dei personaggi in scena. La semplicità e immediatezza con cui vengono sottolineate le emozioni è disarmante: il modo minore, predominante, getta lo spettatore in un’ansia e catarsi sconcertante. I topoi sonori, quali l’utilizzo del glockenspiel a significare l’innocenza (nel caso di Isabella) o il pianoforte per la dimensione psicologica, o gli ostinati discendenti (simbolo del lamento) non risultano mai scontati o banali. I ritmi, che richiamano vagamente le tipiche danze del periodo, si alternano a momenti molto serrati, concitati, la cui resa sonora è data dall’unione di archi e tamburo militare. Proprio l’utilizzo del tamburo militare suggerisce anche musicalmente l’onnipresenza, già resa tematicamente, di Leonardo che entra nella scena milanese proprio come architetto militare. Degna di nota anche la trattazione registica a cura di Morena Barcone e le scenografie virtuali che guidano lo spettatore attraverso le varie dimensioni fisiche e metafisiche dell’azione, affiancando visioni geometriche a opere e paradigmi leonardeschi (come nel caso della specularità della scenografia).
Questa è un opera semplice ma incredibilmente densa di sottotesto: è evidente la ricerca di un target che esula da quello prettamente operistico e la scelta risulta essere azzeccata. Si ricorda che lo spettacolo sarà in scena fino al 5 novembre: questa è una bellissima occasione per apprezzare, conoscere e ricordare il genio di Leonardo nel cinquecentesimo anniversario della sua morte.