Mi piacciono i boschi, mi sono sempre piaciuti.
Mi ci avventuro fin da quando ero piccolino. Armato di un bastone e di tutta la fantasia di cui disponevo mi facevo inghiottire dal verde. Appena possibile abbandonavo i sentieri battuti per andare dove, a parer di bambino, nessuno s’era mai avventurato prima. Scoprivo radure, rigagnoli, fiumi e pozze. Stanavo le bestioline del sottobosco e recuperavo tesori dal valore inestimabile come pietre colorate ed ogni tanto qualche teschio. Poi li mostravo soddisfatto ai miei genitori e agli amichetti. I miei reagivano sempre con un eccesso di preoccupazione, chiedendomi dove fossi stato, se mi ero messo le mani in bocca dopo aver toccato quelle cose ed un’altra interminabile serie di domande, mentre gli amichetti mi deridevano o facevano smorfie schifate, smisi presto di condividere i miei tesori con loro. Ricordo quanto fu complicato per me capire che bisognerebbe aver paura di quel che facevo io, mi parlavano di mostri e bestie ferocissime sempre in agguato. Io rispondevo sempre che ero armato di un bastone e che se una belva si fosse avvicinata gliel’ avrei tirato sul muso e che poi sarei corso via velocissimo. Quando invece si parlava di mostri ridevo fino alle lacrime, poi divenuto serissimo cercavo di educare il mio ascoltatore. Gli spiegavo la natura dei boschi parlandogli dei folletti, delle fate, degli gnomi e di tutti gli altri spiritelli che vegliano sulla natura, concludendo con la frase “finché rispetti il bosco loro ti proteggeranno”.
Eppure nessuno sembrava prendere sul serio i miei racconti e le mie testimonianze, quei pochi che lo facevano iniziavano a porre delle domande in maniera molto antipatica, come se volessero che confessassi di essere pazzo, quindi smisi di parlare di queste cose. Iniziai a fare quello che veniva chiamato ‘il bambino grande’.
Quando potevo tornavo alle mie escursioni nei boschi, nel tempo avevo accumulato molta attrezzatura ed esperienza, ero più a mio agio lì che nella città, potevo tornare a quello che io consideravo il mondo reale. Le piante ascoltano senza giudicare e quindi ha molto più senso confidarsi con loro che con le persone. C’è un vecchio noce a cui confido tutti i miei dubbi, ci vado spesso. Per prima cosa allestisco il mio spazio tra le radici, proprio dove il tronco fa una rientranza, poi con la schiena appoggiata a lui parlo, gli chiedo se sono pazzo a parlare con lui, se le creature fatate esistono o sono frutto della mia mente e poi gli parlo della vita in città. Quando ho finito di lamentarmi preparo varie coppe di vino per gli eventuali ospiti, accendo un fuoco e bevendo inizio a cantare per tutte le creature del bosco.
La mattina mi risveglio sempre riposato e col ricordo di aver partecipato ad una grandissima festa con tutte le creature fatate che popolano la mia immaginazione.
Torno a casa con la mente più leggera e col cuore ricolmo di gioia e finché non compaiono le prime case che io sia pazzo oppure meno non conta più.