Con il seguente articolo si vorrebbe cominciare una rubrica di articoli scritti da studenti universitari d Trieste, che tra un esame e l’altro vogliano condividere qualche pensiero o parte dei propri elaborati con i lettori. In questo estratto affrontiamo la figura di Vittorio Alfieri, drammaturgo, poeta e scrittore italiano della fine del diciottesimo secolo, e il suo rapporto con il viaggio e il paesaggio.
Wanderlust è un termine inglese di origine tedesca che indica il desiderio irrefrenabile di viaggiare, andare oltre il proprio mondo e cercare qualcos’altro. Può riflettere un’intensa voglia di autosviluppo personale attraverso la scoperta dell’ignoto, affrontando sfide impreviste e conoscendo culture e stili di vita sconosciuti.
Difficile non rivedere nella definizione di wanderlust l’indole di Vittorio Alfieri la quale esistenza fu in continuo movimento, capeggiata da un’ irrequietezza cronica che lo obbligava a muoversi, a produrre, a correre. “Vita” è dunque è un romanzo di viaggi, la testimonianza di un’esistenza geograficamente e psicologicamente instabile. È la storia di un viaggiatore alla continua ricerca di qualcosa, entusiasta di partire e deluso nell’arrivare, come lui stesso descrive: <<ma per me l’andare era sempre il massimo dei piaceri; e lo stare, il massimo degli sforzi>>. Per la maggior parte dei luoghi visitati non ha parole lusinghiere, ma solo amarezza, noia e disincanto. Già dai suoi primi viaggi in Italia, da giovanissimo, è evidente la sua irrequietezza, ma anche quali immagini rapiscono il suo cuore e la sua mente.
Nel 1765, a sedici anni, Alfieri compie il suo primo viaggio nella città di Genova.
Nell’autunno dell’anno 1765 feci un viaggetto di dieci giorni a Genova col mio curatore; e fu la mia prima uscita dal paese. La vista del mare mi rapì veramente l’anima, e non mi poteva mai saziare di contemplarlo. Così pure la posizione magnifica e pittoresca di quella superba città, mi riscaldò molto la fantasia.
L’anno dopo Vittorio viene arruolato e comincia così il viaggio per l’intera penisola.
La mattina del dí 4 ottobre 1766, con mio indicibile trasporto, dopo aver tutta notte farneticato in pazzi pensieri senza mai chiuder occhio, partii per quel tanto sospirato viaggio.
Si reca prima a Milano, poi Piacenza, Modena, Bologna e Firenze, nessuna di queste città lo colpisce particolarmente, solo la tomba di Michelangelo lo rapisce: pensare alla grandiosa fama dell’artista fa nascere in VIttorio molte riflessioni. In direzione Roma e Napoli ebbe la possibilità di passare per Viterbo e per quanto disgustato dalla miseria della città, fu attratto enormemente dalla Porta del Popolo: <<[…] vidi la sospirata Porta del Popolo […] quella superba entrata mi racconsolò, ed appagommi l’occhio moltissimo. >>. Anche a Roma gli unici elementi che incontrano il gusto dello scrittore sono opere architettoniche di indiscussa grandiosità, prima tra queste San Pietro.
Comincia a delinearsi piuttosto chiaramente un gusto di Vittorio Alfieri. Egli viene rapito da due tipologie di immagini cittadine, la prima di queste si concretizza nella contestualizzazione della città nel paesaggio naturale. La vastità del mare e la posizione di Genova (all’interno del paesaggio) sono gli unici elementi di cui Alfieri ci parla in merito alla città che l’ha ispirato per prima. S’innamora delle viste panoramiche quando si avvicina ad una località, soprattutto se di mare, ma spesso rimane deluso quando ci mette piede. Perfetto esempio ne è l’arrivo a Lisbona.
[…]si presenta in aspetto teatrale e magnifico quasi quanto quello di Genova, con maggiore estensione e varietà, mi rapì veramente, massime in una certa distanza. La maraviglia poi e il diletto andavano scemando all’approssimar della ripa, e intieramente poi mi si trasmutavano in oggetto di tristezza e squallore allo sbarcare fra certe strade[…]
L’altro tipo di immagine capace di trasportare Alfieri è la grandiosa celebrazione della storia tramite l’architettura. Forse influenzato dallo zio, architetto, lo scrittore ammira la maestosità delle opere umane, vedendone la possenza e perdendosi nei loro dettagli.
La temporalità è elemento comune di questi due tipi di immagine cittadina. Tramite queste l’autore si immerge nel flusso del tempo includendo passando e futuro nel presente, percependo la ciclicità della natura e allontanandosi dalla temporaneità che lo circonda e che tanto disprezza.
Nel 1770, dopo anni di viaggi in Europa, arriva in Svezia dove incontra un paesaggio naturale a lui prima sconosciuto.
[…]ritrovai di bel nuovo un ferocissimo inverno, e tante braccia di neve, e tutti i laghi rappresi, a segno che non potendo piú proseguire colle ruote, fui 139 costretto di smontare il legno e adattarlo come ivi s’usa sopra due slitte; e cosí arrivai a Stockolm. La novità di quello spettacolo, e la greggia maestosa natura di quelle immense selve, laghi, e dirupi, moltissimo mi trasportavano; […]
Lo scrittore si rammarica spesso che all’epoca ancora non fosse capace di scrivere, né in prosa né in metrica, ma anche solo da questi ricordi è evidente il suo amore per i paesaggi ampi, silenziosi e desolati che incontrerà nuovamente durante i suoi viaggi in Spagna.
_________________________
ALFIERI VITTORIO,
2002, Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, Liberliber