Cancello in ferro battuto.
Un’insegna di legno appesa sopra con inciso “Dolce Riposo”.
Da accesso diretto a una strada lastricata. Un struttura di metallo gli fa da volta, rose sfiorite l’abbracciano.
Camminarci mette un senso di cupa malinconia, si finisce a contare i passi, ottantacinque dolorosissimi passi.
Dopo, tre gradini e si è di fronte a un enorme portone di rovere. Quattro decisi colpi con il battiporta d’ottone e si attende.
Un’infermiera senza volto con una divisa rosa pallido accompagna per scuri corridoi illuminati da applique dalla luce tenue e giallastra.
Quadri che ritraggono volti anziani sono appesi alle pareti, racchiusi in cornici troppo grosse e pesanti. Sono intervallati da qualche mobile in legno scuro, su cui talvolta c’è una pianta ornamentale, altre volte dei libri, più raramente dei santini.
Salite le scale di pietra si è nuovamente davanti a una porta. L’apre l’infermiera e resta sull’uscio.
Dentro c’è penombra, un abat-jour nell’angolo come unica fonte di luce. La porta viene chiusa.
Un uomo seduto sulla poltrona verde nell’angolo vicino alla finestra. Il fumo della pipa illuminato da qualche raggio di luce che penetra dagli scuri chiusi quasi del tutto.
Anziano, come solo un uomo che ha vissuto molto o non ha vissuto affatto può essere.
Se gli si chiede chi è inizia a guardare la stanza, raccogliendo le idee. Poi fissa chi ha parlato e fa un sorriso.
Risponde con calma e con un tono affettuoso come fosse grato della domanda.
A volte è Patrick Wimmer, ex militare. Altre è Elijah Anderson, salpato in giovane età e mai tornato in patria. Capita che sia anche Ismaele Barbero, un vecchio professore con un piede nella fossa.
Dopo poche frasi si confonde, balbetta qualcosa. Poi con un gesto della mano taglia la conversazione. Distoglie lo sguardo e lo porta alle persiane, tornando ad aspirare il tabacco rovente.
Come faceva ogni volta che sopravviveva a un conflitto a fuoco o bisognava attendere la fine di un bombardamento.
Come faceva ogni volta che sul parapetto della nave si concedeva di abbandonarsi alla malinconia della terra ferma.
Come faceva ogni sera, seduto sulla poltrona divorando un libro dopo l’altro.