Sono passati più di trent’anni da quando in Giapppone si percepirono i primi sentori di questa nuova tendenza anti sociale, ma solo nel 2006 si coniò il neologismo ‘Hikikomori’: letteralmente “stare in disparte”, dalle parole hiku (tirare) e komoru (ritirarsi).
Col passare degli anni questo ‘Status’ ha raggiunto molti paesi Occidentali compresa l’Italia, dove molti studiosi, tra i quali l’antropologa Carla Ricci, studiano approfonditamente tale fenomeno. Essere Hikikomori è una delle tante ‘urla silenziose’ delle nuove generazioni che, trovando conforto unicamente tra le mura della propria camera, decidono di iniziare una vera reclusione che può perdurare anche per anni. Una delle realtà che in primis viene evitata dagli Hikikomori è quella scolastica: infatti molti di loro, a seguito di bullismo ed esperienze traumatiche, decide di rintanarsi nel suo piccolo spazio senza più uscirvi.
Altro fattore rilevante di questa malattia sociale, specialmente in Giappone, è il voler fuggire dalle dinamiche materialistiche, consumistiche e di rendimento che caratterizzano la loro quotidianità. I giovani si ritrovano nell’epoca dell’individualismo e del reinventarsi ogni giorno, senza appigli e senza schemi, in un mondo liquido che in continuazione muta e si tinge di nuove ombre e colori. Una corsa continua che gli Hikikomori scelgono di evitare, spaventati dal confronto sociale e dalla possibilità di non farcela.
Infine nella vita di un Hikikomori gioca un ruolo importante la tecnologia: sono infatti per la maggior parte nativi digitali le persone che scelgono questo percorso di vita, guardando però al computer non come una risorsa, ma come ad un vero e proprio compagno di cella.
Internet appare come una realtà controllabile, libera dall’imprevedibilità della vita, nella quale l’Hikikomori può creare ed essere ciò che preferisce, lontano dagli occhi indiscreti della società.
Essere Hikikomori non è considerata una patologia, poiché chi sceglie questo tipo di vita non mostra segni di instabilità mentale, ma è valutata come una malattia sociale, poichè le persone coinvolte mostrano un forte squilibrio emotivo, dato da una società complessa che, agli occhi degli Hikikomori, appare più opprimente delle mura della loro camera.