Si è svolta poche settimane fa l’E3, una delle più importanti fiere in ambito videoludico: sono stati presentati svariati nuovi titoli e console che utilizzano sempre più la realtà aumentata. A tal proposito, a distanza di pochi giorni dalla fine della fiera, è stato lanciato sui vari stores per dispositivi mobili il nuovo gioco “Harry Potter Wizards Unite” della Niantic: in questo gioco bisogna collezionare oggetti del mondo magico omonimo che appaino in maniera randomica sulla mappa di gioco (coincidente col GPS), preparare pozioni e lanciare incantesimi su fantocci virtuali che possono essere inquadrati con la fotocamera del proprio telefono in modo da risultare “vivi” e integrati nel mondo reale.
Similmente a “Pokémon Go”, anch’esso titolo della Niantic, dedicando qualche ora a questo gioco, si possono trarre determinate conclusioni. Ma, prima, un passo indietro: negli ultimi anni la realtà aumentata ha preso piede in svariati ambiti del quotidiano; ad esempio, IKEA permette di immedesimare l’acquirente negli allestimenti del catalogo dell’azienda svedese per mezzo di visori (HTC Vive, Oculus, ecc.). I videogiochi sono stati un importante ambito di sperimentazione: “Ingress” primo su tutti e in particolare “Pokémon Go”, facendo leva su un brand che ha interessato e interessa ancora oggi una notevole fetta di pubblico, hanno permesso ai ragazzi di uscire dalle proprie case per giocare, socializzare e conoscere il mondo che ci circonda: in questo modo si preferisce lo spostamento a piedi rispetto a quello della macchina o dei mezzi pubblici, uscendo così dalla routine dei percorsi che si fanno solitamente, alla scoperta di nuove mete.
Esiste però una relazione più significativa fra questa tipologia di intrattenimento e l’evoluzione della società digitale odierna? Prima di rispondere, è da constatare che i videogiochi sono sempre stati nel mirino delle controversie, soprattutto negli episodi di cronaca, quando l’intrattenimento sfocia in episodi violenti e tragici nel mondo reale. A chi promuove queste critiche è bene ricordare che “Il giovane Holden” di Salinger è stato bandito dalle scuole americane perché ha influenzato l’assassino di John Lennon: l’arte è stata usata come espediente per giustificare i comportamenti amorali della società civile. Il videogioco, quindi, deve essere visto qui come portavoce di una nuova forma artistica e, pertanto, va trattato come tale, senza cadere in errore della ricerca di un capro espiatorio. Detto questo, la realtà aumentata è un ottimo espediente che fa uscire il videogioco dalle case o dalle ormai defunte sale-gioco, rendendolo mobile e alla portata di tutti, senza limiti di età: in una società che vive sempre più isolata e sempre più distaccata dal mondo che la circonda, questo tipo di intrattenimento può sopperire a queste mancanze. Essa infatti permette di re-imparare il mondo reale e i suoi valori morali attraverso gli interessi tematici del videogiocatore, promuovendo l’interazione, sia intesa con gli oggetti del vivere quotidiano, sia con il multiplayer che non collega più persone lontane ma amici e parenti, come accadeva nei LAN-party degli anni ‘90. La realtà aumentata deve essere quindi approfondita oggi, perché essa può aiutare chi verrà dopo di noi a superare il nichilismo di cui soffrono e hanno sofferto queste prime generazioni digitali.