Fake news e Post verità: è cambiato qualcosa dal 2016?

La fine del 2016 e l’intero 2017 sono stati periodi strani: più acerba di quanto non sia ora, mi apprestavo a concludere la quinta superiore con una tesina alquanto attuale.
‘The Post-Truth Era’, questo era il titolo e, vista l’esasperazione della tematica nell’ultimo anno, mi chiedo se qualcosa sia cambiato; ma facciamo un passo indietro.
Nel 2016 l’Oxford English Dictionary elegge come parola dell’anno il termine “Post-truth”, italianizzato in Post-verità, definendolo:
”Aggettivo relativo a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica che fa appello alle emozioni e alle credenze personali”.
Questo termine è usato per la prima volta da Steve Tesich nel 1992 in un articolo sul giornale statunitense The Nation, a proposito del caso Iran-
Contra riguardante il traffico illegale di armi tra Stati Uniti e Iran.
Tesich parlando di questo argomento arriva a prendere atto di una generale “libera scelta di vivere in una
sorta di mondo della post-verità”.
Ai tempi scrissi che questa accezione era differente rispetto a quella odierna, poichè la post verità viene vista come una menzogna calata dall’alto per condizionare il popolo, vero, ma oggi mi soffermo sul libero arbitrio degli individui che, più o meno consci della pseudo informazione che ci circonda, persevera nel tuffarsi a capofitto in realtà ovattate o, peggio, di plastica.
Ma non è finita qui: perchè il vero significato del termine proviene dal libro pubblicato nel 2004 dallo scrittore Ralph Keyes,
intitolato appunto ‘Post Truth Era’, dove definisce la menzogna “un’affermazione falsa, fatta in piena
cognizione di causa con l’obiettivo d’ingannare”.
Torniamo dunque ad oggi, il caro 2019, con la consapevolezza, anche se purtroppo poco influente, dell’esistenza delle fake news create ad hoc per guadagnare e gli abbindolamenti politici basati su notizie inconsistenti e spesso menzognere e facciamoci correre un brivido lungo la schiena: che l’uomo sia recidivo non c’è dubbio ma osservare un fenomeno ben consolidato 3 anni fa amplificarsi sempre più è disarmante.
La scelta di questa parola come Word of the Year è influenzata da due importanti notizie che hanno caratterizzato la cronaca politica del 2016: la vittoria elettorale della Brexit nel Regno Unito e il trionfo di Donald Trump alle elezioni americane; suona familiare?
Continuando nella ormai analisi analitica della mia tesina di maturità, sui miei fogli riportavo vari dati e statistiche, dai Fact Checker del Washington Post fino al Digital News Report del Reuters Institute,
per mostrare le critcità del fenomeno ma anche la possibilità di rivalsa degli utenti che, superata lo scoglio della disinformazione, avrebbero potuto osservare una notizia da molteplici angolazioni.
A distanza di 3 anni vorrei infine soffermarmi sul fenomeno della solitudine che, nonostante le reti sociali che intersecano milioni di vite ogni giorno, prende sempre più piede.
Un recente articolo di Scientific American afferma che “La solitudine dal 1980 ad oggi è raddoppiata”. Da un quarto a metà degli statunitensi ne soffre e anche l’Italia non esula da questo problema: infatti una ricerca realizzata nel 2015 da Eurostat afferma che un italiano su otto si sente solo, situandosi in testa alla classifica, perché non ha nessuno a cui chiedere aiuto.
Questo senso di esclusione sociale porta a sentimenti di rabbia e tristezza, rendendo le persone fragili, ed è qui che si trova il maggior proliferare delle fake news: la vita perde di significato e si inizia a cercare senso altrove, anche nelle credenze o notizie più assurde.
Magari tra 3 anni la situazione sarà debellata e sia le fake news sia l’isolamento da schermo scompariranno; in caso contrario probabilmente, sul vostro Facebook e Instagram, ritroverete questo argomento ancora in bella mostra, ancora criticato e analizzato da una meno acerba curiosa. 

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