Il primo maggio si celebra la Festa dei lavoratori, un evento che ricorda le battaglie combattute a partire dalla metà del 1800 per la conquista di nuovi diritti e sicurezza sulla propria postazione di lavoro. In particolare, in questa data, si festeggia l’orario di lavoro quotidiano fissato a otto ore e le prime soddisfazioni sociali emerse da queste coraggiose manifestazioni. Dalla metà del 1800 ad oggi sono cambiate molte cose e si sono susseguiti usi, costumi e celebrazioni estremamente differenti tra loro, a seconda del periodo storico.
Oggigiorno il primo maggio viene considerata una vera e propria festività, della quale non viene spesso presa in considerazione la vera natura politica.
Molte persone, associandolo ad un semplice giorno nel quale riposarsi, utilizzano il primo maggio per andare in vacanza, rilassarsi e passare una giornata all’insegna del benessere personale; questo è certamente uno dei diritti di chi, ogni giorno, passa diverse ore sul posto di lavoro, ma manca un tassello fondamentale: il primo maggio, oltre ad essere un giorno nel quale tirare un sospiro di sollievo, dovrebbe rappresentare un momento di riflessione, in modo da fare il punto della situazione su quali siano i diritti, i doveri e le modalità degli impieghi.
Il lavoro resta una delle problematiche fondamentali della penisola italiana, contando un elevato tasso di disoccupazione e situazioni lavorative con salari che rasentano il minimo sindacale.
Uno dei motivi per il quale è stato creato il libro di Walter Böhm e Umberto Laureni ‘Trieste. Quarant’anni di Primo maggio’, un’opera contenente un vero e proprio archivio fotografico delle manifestazioni che per un quarantennio si sono susseguite il giorno della festa dei lavoratori, è proprio il voler riattivare la memoria, specialmente quella dei giovani, in modo da vivere le loro insicurezze, la loro precarietà, sul loro futuro non in modo passivo e rassegnato, ma attivandosi per trovare una soluzione a queste criticità.
L’obiettivo del manifestare non è solo passare una giornata di svago, ma mostrare cosa dovrebbe essere cambiato e cosa per lo meno dovrebbe essere preso in considerazione all’interno della caoticità del lavoro in Italia.
I giovani appaiono disorientati: da un lato una positività data dal proprio indirizzo di studio, dall’enorme dispendio di energie atto a raggiungere i propri obiettivi, dall’altro il possente muro della realtà, che mostra sfruttamenti, stage non retribuiti e contratti basati sulla continua precarietà. In un periodo dell’Italia segnato da disuguaglianze, ingiustizie, malcontenti e paure, l’obiettivo di una festività come quella del primo maggio dev’essere appunto il coalizzare i giovani, facendoli sentire parte di qualcosa di grande e non disgregando questo malcontento, poggiando sulle spalle di ogni singolo chili di paura.
Importanza fondamentale è la memoria: ricordare le manifestazioni passate, i motivi per il quale la gente è scesa in piazza per i propri diritti e la forza che la collettività può avere.
Le nuove generazioni irrompono in queste manifestazioni ‘datate’ in modo scomposto e a volte impacciato, ma portando con sé nuovi punti su cui dibattere e nuovi metodi per farlo.
L’esclusione sociale, il razzismo e il pacifismo restano restano punti cardine di una festività che ha a cuore il benessere dell’operaio, vedendo il lavoro come un garofano rosso, simbolo ufficiale, da coltivare e salvaguardare per farlo diventare uno spazio nel quale l’individuo possa sentirsi appagato e realizzato in ciò che fa.
I più giovani vivono un momento di forte fragilità, ma devono riconsiderare, in un epoca spesso basata sull’individualità, che spesso l’unione fa la forza.