Da chi lo conosce dai tempi di Roccia Music a chi lo ha conosciuto con Sanremo: Achille Lauro è ormai sulla bocca di tutti.
Le opinioni contrastanti nei suoi confronti cominciano con Rolls Royce, canzone portata sul palco dell’Ariston e ben presto vittima della gogna mediatica, specialmente a causa di un reportage di Striscia la Notizia, il quale sosteneva che il testo inneggiasse all’uso di stupefacenti.
Nonostante ciò, essendo comunque un’accusa invera, la canzone è entrata nelle case degli italiani portando uno spettacolo quasi disturbante, soprattutto agli occhi degli spettatori più inamovibili del classico modello Festival, apparendo invece innovativo a detta di molte altre persone.
Achille Lauro è un ragazzo di Roma, cresciuto fin da piccolo a stretto contatto con diverse influenze musicali, grazie al fratello e agli amici.
La vita dell’artista non è stata tra le più lineari e semplici ma, dopo tanti anni di gavetta e con molta consapevolezza, ora è giunto ad un bivio: lasciare il segno o svanire nel tempo.
La scia che lo segue è ombrosa, densa di vita, di realtà complesse e scelte da prendere; anni perso in un mondo confuso, una casa che a momenti lo cullava e altri lo lascia senza fiato, come si può leggere nel suo libro ‘Io sono Amleto’.
Generi diversi che si susseguono, dalla inedita Samba Trap al punk-rock, ricercando ritmi e suoni sperimentali sempre nuovi: tutto questo contornato da pezzi quasi surrealisti e spinti spesso dal voler raccontare se stesso e le influenze che lo contaminano per la stesura del brano.
L’intento di Lauro quindi non è solo essere una Star, ma anche portare la storia della Roma che ha visto, dei ragazzi con cui è cresciuto e della musica che ha ascoltato.
Achille Lauro ha vissuto la libertà, quella che può trasformarsi in una realtà claustrofobica e disorientante, ricercando ora il suo spazio e la sua felicità: la sua arte.
La difficoltà maggiore, cosa che Lauro riesce a fare egregiamente, è osservare la società, trovarne i vizi, confondendola e soverchiandone quei pregiudizi che la rendono schiava. Achille Lauro e il suo producer Boss Doms si vestono da donna, con colori sgargianti e abiti sontuosi quasi alla ricerca di quel disagio che la società del senso comune prova guardandoli, quasi a sussurrargli: “Guardaci bene, avvicinati pure se vuoi”.
L’importante dunque non è essere compiaciuti, ma è fondamentale essere ascoltati: raccontare alla gente che se tutta questa passione ha svoltato la loro vita, chiunque dovrebbe seguire la propria vocazione: mettere l’anima in ciò che appassiona, stringendo i denti, passando notti insonni lavorando, può portare a grandi risultati.
Achille Lauro persegue il suo obiettivo, raggiungendo grossi traguardi come l’aver fondato la propria etichetta discografica indipendente, la No Face Agency, aver scritto un libro, ‘Io sono Amleto’ e ovviamente il suo ultimo album,1969.
Questo articolo non vuole essere un elogio, un biasimo o ancora più un’analisi critica di Achille Lauro, ma un consiglio: l’esortazione all’ascolto di questo nuovo lavoro non è dato dalla bella musica contenuta, non per le melodie e nemmeno per calcolare con il contagocce il numero di lacrime che riesce a strappare.
Quest’album è un esperimento ed è curioso osservare i pareri che lo circondano.
La musica sarà di vostro gusto? Probabilmente no
La capirete? Probabilmente non l’ho capita nemmeno io.
Ma in un’epoca in cui i giovani si crogiolano nel nichilismo come ho già raccontato, Achille Lauro ha qualcosa che gli altri non hanno, che porta un nichilismo giovanile passivo ad uno più attivo e consapevole.
Avete dimostrato l’Odi et amo sanremese con ‘Rolls Royce’, ora scatenatevi con l’album intero.
Divertitevi e buon ascolto.