Il fenomeno Burnout in rete: un vero e proprio esaurimento da youtuber

La rete, le nuove forme di comunicazione e i social network rivoluzionano giorno dopo giorno la società, creando sempre più nuove esperienze e possibilità lavorative inimmaginabili fino a pochi anni fa. Una delle piattaforme che trasforma sempre più il modo di comunicare ed intrattenere è certamente YouTube, piattaforma web fondata nel 2005 atta al video sharing e ormai nota a tutti.
Il ‘broadcast yourself’ dona a chiunque disponga di un computer la possibilità di ‘trasmettersi’ e far accrescere sempre più la propria fanbase, aumentando visualizzazioni, iscritti e like.
Questo iniziale passatempo sfocia per molti in una vera e propria professione, grazie ad un guadagno proveniente dalla monetizzazione dei video, dagli sponsor, dai Patreon e da altre piattaforme trasversali (come ad esempio Twitch).
Un lavoro, quello dello youtuber, non ancora accettato e condiviso, specialmente dalla vecchia guardia, le generazioni passate, abituata ai soli lavori ‘concreti’ e consolidati, con schemi fissi, guadagni statici e proiezioni future prevedibili.
I professionisti nel settore, ovvero coloro che sono sopravvissuti alla scrematura della efferata macchina digitale, si trovano spesso in situazioni complesse, generate da molteplici fattori che collocano questo lavoro nella categoria dei lavori a forte carica emozionale.
In un Podcast pubblicato da uno dei capostipiti di Youtube Italia, Breaking Italy, avente come ospite uno dei più influenti youtuber della piattaforma italiana, Karim Musa alias Yotobi, affiora una problematica comune a molti creator, ovvero il Burnout.
Patologia che coinvolge diverse aree lavorative, specialmente quelle immerse in una collettività complessa a forte carica emozionale, che nasce dal sovraccarico di lavoro protratto nel tempo. Una problematica non estranea ai produttori di contenuti virali esposti costantemente alla gogna mediatica e ai cosiddetti leoni da tastiera che celebrano e annientano in brevissimi lassi di tempo.
Dunque uno dei fardelli portati avanti da questi ‘giovani adulti’ è proprio il produrre contenuti validi, rimanere al passo con le scadenze e sopportare il forte stress nel caso in cui un video non piaccia e venga aspramente criticato senza alcun filtro, come accade solitamente sul Web.
Ma il valore temporale è molteplice, infatti lo scorrere del tempo non spaventa solo per il dover rispettare deadlines, ma preoccupa la visione a lungo termine di questa professione.
In un mondo saturo, che deve essere sempre al passo con le tendenze, riuscirà uno youtber, avanzando con gli anni, a produrre continuamente video efficaci? E nel caso il canale non funzioni più, cosa ne sarà del mio lavoro?
Una neonata professione non possiede punti di riferimento o esempi passati, ma si costruisce giorno dopo giorno, vivendo ciò che accade senza avere prospettive precise.
Infine uno dei più grandi problemi generati da questa tipologia di lavoro: la solitudine.
Un creator impiega tempi interminabili per la cura del proprio canale, il montaggio dei video, la burocrazia, la ricerca di contenuti validi e l’interazione con il pubblico, ritrovandosi immerso nella viralità, diventando spesso un vero e proprio influencer, ma vivendo in una bolla di isolamento. Indice del fenomeno la frustrazione che scaturisce dal lavorare incessantemente senza sapere quale sia il punto d’arrivo: con un pubblico altalenante, mosso dalle tendenze come le foglie mosse dal vento, vecchie generazioni indigeste, senza alcuna volontà nel conoscere queste nuove realtà, considerando i youtubers come ragazzini senza voglia di trovare un ‘lavoro vero’. Lo youtuber, come molti altri mestieri ma soprattutto come molti altri giovani alla ricerca di una propria identità e di un lavoro che li appaghi, viene lasciato solo, immerso in questa realtà virtuale, non ancora pienamente compresa e purtroppo non ancora gestita come piattaforma per nuove manovre imprenditoriali.
Ancora una volta la nuova generazione freme, pubblica, crea, cerca feedback e attenzioni per dimostrare che la propria passione è un fuoco che arde ed è pronto ad esplodere, ma spesso i predecessori dei Millenials e dei nativi digitali perseverano nel trattare questa novità generazionale come una passività, abbandonando i ragazzi e i ‘giovani adulti’ alle loro angosce; costringendoli a collocarsi in una realtà lavorativa avversa a ciò che amano o archiviandoli in una perenne fase transitoria senza prospettive e appigli a cui aggrapparsi.

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