Un passo.
Un altro.
Ancora uno.
Costavano una fatica tremenda ma andavano fatti.
I tendini protestavano, le ossa scricchiolavano e i muscoli dolevano ma non ci si poteva fermare.
Il cuore pulsava, i polmoni annaspavano ma fermarsi non era un’opzione.
Le palpebre si abbassavano, la bocca rantolava ma la testa continuava a gridare ‘Non esiste resa’.
Lentamente il suolo cambiava.
Lentamente il paesaggio mutava.
Dove prima c’era solo neve e gelo ora si intravedevano dei bucaneve.
Dove prima c’erano solo nubi nere ora se ne intravedevano di bianche.
Il corpo prese forza.
Le ossa smisero di scricchiolare, i tendini smisero di protestare e i muscoli non dolevano più.
Le palpebre restavano aperte, il respiro si fece regolare e il cuore trovò il suo ritmo.
La testa cambiò messaggio ‘Non c’è bisogno di resa’ ripeteva ora.
Il passo accelerò.
Erba novella sotto i piedi, aria tiepida sulla pelle.
La testa smise di parlare, ora era il corpo a tirare, fremendo, vibrando di energia nuova.
Cresceva in potenza, sembrava dover esplodere.
Il passo divenne corsa.
L’energia si fece incontenibile ed egli saltò.
Il primo fu un salto incerto, immaturo che lo riportò al suolo.
Il secondo era deciso, potente ma impreciso, atterrò violentemente.
Il terzo fu magnifico, curato in ogni suo dettaglio, si sollevò come fosse privo di peso, si levò sopra le fronde degli alberi e sbucò oltre le nuvole, là dove il Sole non muore mai.