Sono le 10 di un venerdì mattina. La luce limpida di febbraio risplende fuori dal Teatro Miela di Trieste, un luogo recuperato da uno spazio abbandonato per anni, riaperto nel 1990 e diventato ora il nocciolo culturale alternativo della città. Un ambiente che spazia dalla musica al teatro, dal cinema alla fotografia, in grado di ospitare esperienze nazionali e internazionali. All’entrata ci accoglie l’attrice Laura Bussani. Per chi segue il Pupkin Kabarett, l’appuntamento comico più seguito del capoluogo giuliano, il pensiero corre divertito ai suoi personaggi: la giovane Ines, l’anziana Armida e la cantante Ella Spritzgerald. Ma Laura, diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine, è anche altro. Dopo una lunga esperienza in teatro, lo scorso anno ha realizzato il suo primo spettacolo da protagonista assoluta, un viaggio denso tra momenti esilaranti e sentimenti più profondi, in cui rivive alcuni ricordi legati alle sue origini polacche da parte materna. E l’abbiamo vista anche in La melodia del corvo di Pino Roveredo ne La coscienza di Zeno spiegata al popolo di Paolo Rossi; poi al cinema con Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores e nella fiction Rai Un caso di coscienza. La Bussani è una donna con una professionalità consolidata, ma con una luce in volto che la fa sembrare una ragazzina. Ed ora, mentre ci accoglie a teatro, è semplicemente Laura. Entriamo e attraversiamo il corridoio con le pareti ricoperte dai cartelloni di storici e nuovi spettacoli in programma e da un’ esposizione dedicata a un progetto transfrontaliero per le scuole. Il Miela, di sera sempre vivace prima e dopo gli eventi, di mattina è composto e silenzioso. Niente proiezioni sul muro, niente brusio del pubblico, le luci del bar sono spente. Entrando nel Ridottino, la sala più raccolta, il buio del corridoio contrasta con il sole che proviene dalle finestre.
È qui che in questi giorni, di sera, debutterà per la prima volta la lettura scenica de “Le amanti”, precisamente uno studio dell’omonimo romanzo scritto nel 1975 dall’austriaca Elfride Jelinek, Premio Nobel per la letteratura nel 2004. Nella piccola sala ci accolgono Rupert e Olivia, i cagnolini di Laura. Proseguendo verso il palco riconosciamo Diana Hobel, seduta a un tavolo tra copioni ordinati e sottolineati con cura ricoperto di mandorle, frutta fresca e caffè. Diplomata all’accademia Civica Scuola di Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, Diana è stata diretta da registi teatrali come Massimo Castri e Luca Ronconi. Ha partecipato a pellicole come Il ragazzo invisibile di Salvatores. Ma è anche autrice e interprete di spettacoli come Vulcano e Frau Bach. Diana è la regista dello spettacolo “Le amanti” e, assieme a Laura, racconterà dal palco la storia di due ragazze molto giovani, Brigitte e Paula, nate in una periferia austriaca, che sognano di sfuggire al destino segnato attraverso il modo più facile che conoscono: trovare un uomo che migliori il loro status. Brigitte, più consapevole di avere un progetto da arrampicatrice sociale sceglierà Heinz, un ragazzo benestante e poco attraente, che le permetterà di diventare moglie e madre. Mentre Paula si innamorerà di Erich, un boscaiolo affascinante ma poco intelligente e dedito all’alcool.
«Questo è uno di quei libri che ti prendono dall’inizio- dice Diana- è un libro che appena inizi a leggere non riesci a mollare. Nonostante i contenuti siano molto crudi e molto cinici, la prosa ha un andamento quasi da favola. Periodi brevi, è molto musicale, con molte ripetizioni. Questo attrito tra contenuto acido e prosa dolce crea un effetto paradossale e comico, che si evince fin dall’inizio».
Il testo di Elfride Jelinek rappresenta un attacco al consumismo che spinge a considerare l’altro come un mezzo e anche per questo motivo la scrittrice austriaca ha ricevuto anche critiche negative.
«Nel romanzo come nell’interpretazione- aggiunge Diana- l’altro non esiste se non in funzione di questo loro progetto di vita. Non c’è mai un reale incontro con l’altro. Tutti vivono i rapporti con le altre persone come rapporti a proprio uso e consumo».
Laura Bussani ci racconta com’è nata la collaborazione con la regista.
«Quest’estate sono andata a vedere uno spettacolo e poi lei è venuta a vedere uno mio. Ci è piaciuto come lavoravamo. Diana mi ha proposto alcuni testi finché abbiamo pensato che questo fosse quello giusto». Laura non nasconde di avere avuto delle difficoltà a “sentire” il suo personaggio un po’ svampito. «Paula ha 15 anni- ci spiega- vive in questo paese dove gli uomini fanno i falegnami e gli elettricisti e le donne fanno le commesse o le casalinghe. Paula vuole imparare a fare la sarta, ha delle aspirazioni, ma poi lascia perdere tutto quando si innamora di Erich».
Laura e Diana salgono sul palco, copioni alla mano.
Appaiono subito complici, precise e coordinate ma capaci di scoppiare in una risata congiunta nel caso di un errore. Ed emozionano. Guardandole viene da chiedersi quanto questa visione utilitaristica delle relazioni descritta nel romanzo della Jelinek e nella sua interpretazione, faccia inesorabilmente parte del nostro mondo.
«Il testo mette in discussione chi lo guarda perché nessuno può considerarsi a posto rispetto a questa mercificazione di sé stessi e degli altri» dice poi la Hobel, imperturbabile.
Ma è davvero questo il tempo della resa? Il tempo della denuncia è finito?
«Non c’è speranza, nel testo», puntualizza Diana mentre Laura scuote la testa e si dice poco ottimista, ma sorride lasciandoci un margine di speranza.
«Nella realtà, invece, è possibile fare un’analisi delle cause reali dell’organizzazione economica- riprende poi Diana-, cercandole nella forbice tra ricchi e poveri, nell’evasione fiscale, nell’ingiustizia sociale, che sono alla base di queste alienazioni e di questa violenza. Solo così è possibile riattivare un’idea diversa di collettività. Speriamo che il nostro lavoro possa servire anche in questo senso», conclude infine la regista.
[foto: Massimo Baxa]
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