Chinoiseries nell’Europa del Settecento

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Il passaggio tra Seicento e Settecento vide il tramontare dell’ideologia della Controriforma cattolica in favore dell’Illuminismo e dell’esaltazione della ragione umana. Si puo’ notare tale cambiamento di idee non solo nella produzione letteraria; esso viene anche riflesso nel mutamento del gusto estetico ed artistico.
La pittura barocca, con la sua teatralità fortemente emotiva, mirava a coinvolgere lo spettatore, così come l’architettura sacra voleva dare l’impressione al fedele di ascendere ad una dimensione sovrannaturale. Esse erano espressione della volontà della Chiesa di riguadagnare consensi a scapito degli ormai affermatisi movimenti protestanti. Contribuirono al passaggio dalla sontuosità barocca alla levità Rococò i nuovi materiali provenienti dall’India e dalla Cina. In entrambi i paesi i mercanti europei non potevano commerciare liberamente come speravano; soprattutto in Cina gli scambi potevano avvenire solo presso il porto di Canton in periodi precisi e con modalità strettamente regolamentate dalle autorità cinesi. Malgrado le limitazioni, in Europa tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700 arrivarono sempre in maggior quantità prodotti orientali come sete ricamate, legno rari, lacche, avori e porcellane.
Fu proprio la porcellana a divenire il materiale privilegiato dell’arte Rococò; la sua estrema duttilità e leggerezza permetteva di utilizzarla come materiale ornamentale senza preoccuparsi troppo del peso della composizione. Ben presto decorazioni di porcellana ornarono palazzi come lo Schönbrunn di Vienna ed il Palazzo d’Estate di San Pietroburgo.
Nella Porzellanzimmer del palazzo di Schönbrunn la porcellana è protagonista, così come il gusto per i motivi cinesi: accanto alle decorazioni floreali campeggiano dei parasole incrociati, così l’uso del blu e del bianco rimandano ai vasi di porcellana cinese. A San Pietroburgo si ha un altro utilizzo, più di nicchia rispetto a soprammobili e vasellame: due grandi stufe a legna sono realizzata interamente in porcellana dipinta.
Ben presto tra gli artigiani Europei naque il desiderio di riuscire a replicare il prezioso materiale. Dopo una serie di tentativi falliti, un artigiano ed alchimista tedesco, Johann Frederich Böttger, riuscì a fabbricare un tipo di porcellana simile per qualità a quella cinese. La sua fabbrica a Meissen, in Sassonia, ben presto divenne uno dei laboratori più importanti d’Europa, al punto che Federico il Grande riuscì a pagare i debiti di guerra impossessandosi dei proventi delle porcellane di Meissen.
Seguendo l’esempio di Böttger, altri artigiani si misero all’opera per imitare i prodotti orientali, rendendoli così più accessibili anche ai meno abbienti. Un esempio di ciò è la carta da parati dipinta, ispirata alle sete ed ai cotonati cinesi, prodotta nel Regno Unito. La seta rimaneva un prodotto di lusso, ma la domanda era tale che ben presto nacquero setifici in Europa, soprattutto in Francia, a Lione e Parigi, ed nell’alta Lombardia.
La moda delle Chinoiseries, Cineserie, si estese anche nell’ambito dell’architetura di esterni; i tempietti classici che fino a quel momento erano stati usati per decorare i giardini vengono rimpiazzati da chiostri, gazebi e pagode.
Federico II di Prussia nel 1763 fa completare la Chinesisches Haus, Casa Cinese, padiglione costruito nel parco di Sanssouci a Potsdam, nell’attuale Germania. I colori pastello e le decorazioni floreali sono accompagnate da statue di figure vestite in abiti cinesi intente a suonare vari strumenti musicali. In cima alla struttura campeggia una donna con un parasole aperto.
Un altro eclatante esempio è la grande pagoda costruita al centro dei Kew Gardens di Londra.
Eretta nel 1762 seguendo il progetto dell’architetto William Chambers, fu decorata con tegole di ceramica su cui vennero applicati draghi lignei dipinti d’oro.
Ai Kew Gardens è visibile un’altra applicazione di principi orientali, questa volta alla natura stessa. Fino a quel momento per la realizzazione di parchi e giardini si guardava agli esempi del rinascimento italiano; il cosiddetto “giardino all’italiana” prevedeva l’organizzazione della natura in forme geometriche regolari e simmetriche. A metà ‘700 architetti come il già citato Chambers iniziarono a prendere spunto dalle relazioni provenienti dalla Cina per realizzare parchi che rispecchiassero la natura selvaggia, con tutte le sue irregolarità ed asimmetrie.
Anche la pittura non è insensibile alle nuove ispirazioni orientali. Secondo lo studioso Giorgio Borsa, che analizza brevemente tali influssi nell’opera La nascita del mondo moderno in Asia Orientale, tale influenza è visibile soprattutto nella produzione di Jean Antoine Watteau. Pittore francese attivo nei primi decenni del ‘700, egli è celebre per le sue opere dai temi leggeri e frivoli, che dipingono un mondo idilliaco e bucolico dai toni luminosi.
Secondo Borsa la tendenza di Watteau a dipingere sfondi lontani e sfumati, simili a scenari teatrali in cui la profondità è minima, utilizzando colori tenui e pastellati ha delle somiglianze con la pittura cinese di epoca Sung.

Watteau non aveva alcun modo di studiare l’autentica pittura cinese, tuttavia attraverso l’importazione di sete dipinte gli artisti Europei erano entrati in contatto con il modo cinese di trattare le figure ed il paesaggio.

Un altro esempio potrebbe essere Le jardin chinoise, “Il giadino cinese”, di François Boucher. Pittore prediletto da Madame de Pompadour, egli è noto per le sue scene ariose e vivaci, spesso erotiche, ambientate in giardini o campagne lussureggianti.
Boucher ha la stessa pennellata vaporosa di Watteau, ma i suoi sfondi tendono ad avere una maggiore profondità e ricchezza di dettagli. Nel Giardino Cinesi l’ambientazione invece è tutta in primo piano, forse proprio per influenza delle stoffe dipinte che già avevano ispirato il Watteau. La scena nel suo complesso rappresenta comunque una Cina idealizzata, più somigliante alla cultura francese di corte che alla realtà cinese.
Anche oltralpe non mancano esempi di Chinoiseries, come gli affreschi di Gian Domenico Tiepolo presso Villa Valmarana, a Vicenza. Egli collaborò con il padre, il più celebre Gian Battista Tiepolo, realizzando la cosiddetta “Sala delle Cineserie”, dove Gian Domenico dipinge una donna intenta ad offrire doni ad una divinità dorata.
Egli ritrae i suoi personaggi con abiti e cappelli dalla foggia insolita e stravagante, ponendoli in un contesto quasi sospeso nel vuoto, se non per pochi edifici accennati in lontananza. Gian Domenico non poteva conoscere gli usi religiosi cinesi, ma dimostra di avere dimestichezza con stoffe e sete preziose che dipinge con molta accuratezza. L’albero di pino è reso in modo che sfondi la scena sovrapponendosi alle cornici dorate, aumentando così l’atmosfera onirica e fiabesca dell’affresco.

La moda per le “Cineserie” continuò fino alla fine del ‘700, tuttavia con l’inizio del XIX secolo essa incominciò a declinare. Ciò dipese in gran parte dalla soppressione dell’ordine della Compagnia di Gesù, i cui dispacci fin dal ‘500 rappresentavano la maggior fonte di informazioni sulla Cina. Essi avevano avuto scarso successo come missionari, ma erano riusciti a conquistarsi la fiducia delle alte gerarchie di Pechino grazie alle loro conoscenze tecniche e matematiche. Gesuiti come il celebre Matteo Ricci descrissero per anni ai loro corrispondenti in Europa una Cina colta ed intellettuale, immagine che in fondo rispecchiava l’ambiente della corte in cui soggiornavano. Le loro relazioni vennero ben presto soppiantate da quelle dei mercanti e dei marinai; come nota Borsa essi tendevano ad inventare particolari ed aneddoti da aggiungere ai loro resoconti al fine di renderli più interessanti. Essi non entravano in contatto con i raffinati letterati mandarini ma con ambiziosi mercanti locali, che spesso non riuscivano a comprendere anche a causa delle differenze linguistiche. In generale, fu anche il corso della Storia a far scemare l’ammirazione per la Cina.
Un tempo intellettuali come Voltaire avevano considerato l’amministrazione cinese, con il suo potere monarchico stemperato dall’azione dei mandarini, un esempio di dispotismo illuminato a cui guardare come esempio. Ma la rivoluzione francese fece ben presto apparire questo modello come obsoleto, non più un esempio ma un nemico da abbattere. Allo stesso modo la pittura neoclassica, con le sue scene eroiche che miravano a risvegliare l’impegno civico, spazzò via la levità del Rococò, simbolo di un’epoca ormai tramontata.

Greta Valente – © centoParole Magazine – riproduzione riservata

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