Se questa è la storia della Galleria Nazionale, e tenuto conto che essa annovera anche alcuni importanti tesori (seppure non capolavori preziosi), è desolante constatare che essa è relegata in depositi o destinata a esposizioni parziali. Altrettanto deludente è constatare che questa città, che tanto vanta la propria vocazione culturale mitteleuropea e cosmopolita, non si sia curata minimamente di procurare, al fianco della Soprintendenza e del Polo Museale della regione, a un processo di valorizzazione concreto, che dovrebbe condurre a un’esposizione permanente in un’altrettanto permanente sede espositiva. Tale disinteresse non si è manifestato solamente con una serie di attacchi deplorevoli contro la Soprintendenza e i suoi dipendenti, ma anche con la dispersione di un cospicuo patrimonio collezionistico di arte sia antica che contemporanea, andato disperso in maniera sempre più drammatica a partire dal secondo periodo bellico. Esempio di tale dissoluzione, due casi emblematici che non hanno legami con la vicenda storica della Galleria Nazionale ma che, come si vedrà, testimoniano la necessità di invertire tale tendenza per dare una prospettiva di rilancio della Galleria e della cultura cittadina stessa. Il primo è il già citato caso del Caravaggio di Hartford: un tempo parte della collezione di Guido Grioni, il dipinto con soggetto San Francesco confortato dall’angelo dopo aver ricevuto le stimmate, il 22 settembre 1938, dopo l’autorizzazione all’espatrio rilasciata dal Ministero all’Educazione Nazionale lasciò Trieste per essere destinato al Wadsworth Atheneum di Hartford (Connecticut, Stati Uniti). Ciò dopo il disastroso giudizio preliminare di Roberto Longhi, basato su una fotografia; nel 1951 lo studioso, quando vide dal vivo il dipinto, non esitò ad attribuire al maestro l’opera… Se gravi colpe sono da attribuire allo Stato, altrettanto gravi sono le colpe locali: a quanto risulta, nessuno mosse un dito per impedire la vendita e costringere le autorità a trattenere l’opera per destinarla alle raccolte d’arte locali che, a parte quelle del Museo Revoltella e dei Civici Musei, erano in via di formazione o dovevano essere ancora costituite. Il secondo caso, invece, è la presenza nei cataloghi della locale casa d’asta Stadion (del dicembre 2015, in particolare) di opere di artisti di primo piano dell’arte contemporanea giuliana e slovena che meriterebbero un posto di riguardo in qualsiasi sede museale. In tale occasione, furono messi all’asta anche capolavori di levatura internazionale: basti l’esempio del piccolo dipinto su tela di Egon Schiele, che darebbe lustro a qualsiasi raccolta di arte contemporanea. Ma più desolante è il totale disinteresse della città verso ogni azione utile a dare una sede stabile alla propria Galleria Nazionale. Malgrado la grave lacuna del locale contesto museale e culturale, la Galleria, nata come nuova risorsa umanistica e “dono di nuova riunione” di Trieste all’Italia, non gode in alcun modo dell’appoggio (e dell’indignazione) popolare per la mancanza di una sede adeguata e permanente della stessa. Allo stesso tempo, la città non sembra dolersi di veder mortificati alcuni dei suoi gioielli architettonici (quasi tutti di proprietà pubblica o privata), lasciati decadere nel degrado o violentati da progetti opportunistici miranti al mero “riordino delle casse”, senza ricercare soluzioni alternative, altrettanto praticabili e più vantaggiose anche da un punto di vista economico (e malgrado la lezione di quello che può essere definito il “caso-Venezia”…). A riguardo, basti il caso di Palazzo Carciotti… Ma, soprattutto, la locale classe dirigente (di qualsiasi colore politico, si precisa), a livello sia comunale che regionale, è quella maggiormente colpevole: essa, infatti, scopre solo occasionalmente di avere un interesse per l’ambito della cultura e delle arti per perseguire mere finalità politico-elettorali; e, ove si giunga a un progetto condiviso con i locali organi di tutela, si approfitta di qualsivoglia difficoltà per far saltare gli accordi e agire con frettolosa arroganza sia verso i suddetti organi della tutela che verso il patrimonio architettonico e artistico. Si ritorna qui all’esempio di Palazzo Carciotti: in precedenza, si era arrivati al progetto di collocare presso il palazzo un complesso di pubblica utilità comprendente sedi museali (in alcuni progetti, si proponeva la collocazione della Galleria – a condizione che si avviasse concretamente il cantiere di recupero architettonico) e un polo congressuale che manca tuttora alla città. Progetto interessante ma che pare non tenesse conto della distinzione tra parti storiche (da salvaguardare) e parti moderne (da modificare), mentre le nuove strutture avrebbero compromesso in maniera grave la struttura storica dell’immobile). Col tempo, però, i progetti si sono arenati, per giungere alla proposta disgustosa di vendita di due terzi dell’immobile comunale con finalità alberghiera (benchè vi siano altri palazzi, in città, sì di minor pregio architettonico ma più adatti allo scopo) per finanziare a livello comunale il restauro dell’ala affacciata sulle Rive per crearvi un Civico Museo della Cultura della città. Sono stati così traditi i precedenti progetti redatti a suo tempo assieme alla Soprintendenza, rinnegando quindi il lavoro di mediazione di questa istituzione e i contributi statali versati sul Carciotti in previsione di una funzione museale dell’intero complesso… Tale vicenda, qui riassunta in maniera molto succinta e (per necessità) sbrigativa, rende l’idea dell’atteggiamento della locale classe dirigente (quella regionale si è adattata, grosso modo, alle azioni di quella comunale…): un totale disinteresse per la cultura (in generale) e per una risorsa, culturale prima ed eventualmente economico-turistica poi, quale è la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste. La sequela di critiche deve terminare con una riflessione sulle mancanze manifestatesi a livello statale (intendendo, in tal senso, in primo luogo l’autorità centrale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, competente in materia). Se le difficoltà economiche manifestatesi negli ultimi anni sono un limite contro cui, volente o nolente, anche un ministero può far poco, nel caso che ci interessa lo Stato ha dimostrato di esser privo di qualsiasi ambizione nel voler ampliare e valorizzare a breve e lungo termine un gioiello che esso stesso ha donato alla città e che ha contribuito ad arricchire, nei limiti ad esso possibili, sino al 2006. Tale atteggiamento è confermato anche dalle costanti azioni di indebolimento degli organi competenti in materia di tutela…
È quindi necessario, per un rilancio della Galleria Nazionale di Trieste (e, in generale, per un rilancio del nostro patrimonio e della nostra cultura, a livello unitario e nazionale), un radicale cambio di passo…
Dopo aver esposto la storia della sfortunata e girovaga Galleria Nazionale di Trieste, e aver delineato in maniera piuttosto sintetica le gravi responsabilità della città e della classe politica per la mancata valorizzazione di questo piccolo tesoro culturale, si vuole proporre qui un percorso teorico per uno sviluppo espositivo nuovo (non risultano infatti noti a chi scrive casi simili compiuti – anche se una proposta analoga è stata avanzata per il recupero del Real Albergo dei Poveri di Napoli) che porterebbe finalmente a un’esposizione permanente non solo della Galleria Nazionale ma anche di una serie di collezioni e fondi (statali e non, come si vedrà in seguito, con alcuni esempi) in parte già esposte ma poco o nulla valorizzate o relegate all’oblio dei depositi. Si vuole però precisare, prima di affrontare concretamente questa parte del discorso, che quanto segue è una riflessione puramente teorica: per una futura realizzazione concreta è necessario che vengano create alcune basi necessarie a risolvere alcune gravi contraddizioni di fondo che hanno impedito, sinora, la valorizzazione del patrimonio culturale di Trieste. Esse sono i “pilastri” su cui fondare non solo il destino florido e definitivo della locale Galleria, ma anche il punto di partenza del rilancio culturale cittadino.
In primo luogo, la stessa cittadinanza deve crearsi una propria coscienza critica, basata non più sul pregiudizio e sulla limitata conoscenza della situazione apparente delle cose; deve sforzarsi di ricercare le informazioni concrete e reali sulla situazione del patrimonio e della cultura locale per comprendere il perché di certe scelte e iniziare così un serio confronto con le istituzioni sentite (a torto) lontane dalla collettività. In parallelo a ciò, lo Stato deve comprendere che la tutela del patrimonio e la divulgazione della conoscenza dello stesso non può più essere oggetto di mercimonio politico. A loro volta, le istituzioni territoriali della tutela (le Soprintendenze e i Poli Museali), nonostante i limiti che ostacolano il confronto coi cittadini del territorio in cui hanno sede, devono sforzarsi a loro volta di far conoscere meglio il proprio operato, soprattutto il perché di determinate azioni che (a chi non è inserito in questo contesto) paiono illogiche e non ‘democratiche’. Posta questa prima premessa, il rilancio del patrimonio culturale triestino potrà iniziare il suo lungo iter.
Come secondo aspetto preliminare, deve affermarsi la volontà non solo delle istituzioni ma soprattutto della città di dare finalmente una sede stabile e permanente alla locale Galleria (si tenga conto, però, che il MiBACT non dispone sul territorio cittadino, fatta eccezione di Palazzo Economo e del comprensorio di Miramare, di spazi liberi adatti – o adattabili – per porvi questo e altri tesori).
In terzo luogo, si propone di riflettere su un aspetto apparentemente banale: il cambiamento di nome dell’istituzione. La Galleria Nazionale è votata, come si intuisce dal nome, alla conservazione di opere d’arte dello Stato comprese in un arco cronologico che va dal Medioevo agli ultimi anni dell’Ottocento. Cambiando il nome, ad esempio, in Galleria Nazionale delle Arti e della Cultura di Trieste si aprirebbe la strada a un processo virtuoso per comprendere opere e/o collezioni di respiro più ampio da un punto di vista sia cronologico (comprendendo sia opere e reperti antichi che opere d’arte contemporanea) che tematico (alle tradizionali collezioni di pittura, scultura e arti grafiche e applicate di ambito europeo – andando quindi oltre i limiti nazionali – si aggiungerebbero raccolte di oggettistica, fotografia e cinema, ambiti extraeuropei – in alcuni casi, già presenti sul territorio data l’importanza della città nel contesto della storia del primo Novecento). Inoltre, se il progetto dovesse trovare l’appoggio del territorio (e, in particolare, del Comune – che da anni mira alla creazione di un “museo culturale” esteso alla città) soprattutto con la condivisione di prezioso materiale artistico e culturale, si giungerebbe alla nascita di una nuova realtà museale che fonde, sotto l’egida della Galleria Nazionale, anche nuclei museali civici e collezioni private: si proporrebbe così la nascita di una Galleria Nazional-Civica delle Arti e della Cultura di Trieste, che potrebbe diventare il nuovo perno di un sistema museale diffuso sul territorio cittadino in cui ogni singola realtà sarebbe al tempo stesso connessa alle altre e indipendente singolarmente.
Deve quindi attuarsi un doppio cammino: una revisione espositiva delle collezioni coinvolte e un cambiamento di atteggiamento delle istituzioni e della cittadinanza verso la dispersione del patrimonio collezionistico (locale in primo luogo, ma non solo) per salvaguardare il più possibile la particolare identità, italiana e mitteleuropea al tempo stesso di Trieste.
È quindi necessario individuare nel contesto triestino un immobile adatto alla collocazione, valorizzazione e sviluppo della Galleria Nazionale e delle raccolte od opere singole riunite attorno ad essa. In questa sede non si approfondiranno aspetti relativi alla collocazione fisica delle singole opere o altre problematiche relative alla disciplina museografica (affascinanti e di grande rilievo, ma che necessitano l’assoluta certezza di una sede permanente e lo studio specifico di uno spazio adatto allo scopo). La questione sarà quindi affrontata puramente in un’ottica teorica, come possibili suggerimenti per affrontare in seguito la questione pratica, non conoscendo direttamente la struttura interna degli immobili considerati, e i relativi spazi storici da mantenere e valorizzare.
Si considereranno tuttavia, quale fulcro della nuova Galleria e del capillare sistema museale ad essa relativo che potrebbe svilupparsi, tre immobili di indiscusso pregio architettonico, centrali nel tessuto urbano cittadino ma di diversa proprietà, diverso stato di conservazione e di diversa morfologia interna.
Si considera innanzi tutto Palazzo Economo, pregevole immobile proprietà del Ministero; in posizione centrale, e in parte già restaurato, è stato una sede storica della Galleria Nazionale. Vi si conservano inoltre alcune opere o complessi un tempo facenti parte del percorso espositivo (quali il Salone piemontese e il Ciclo del progresso) e altre collezioni, poco o per nulla conosciute dalla città e da un più vasto pubblico, custodite nei depositi e che potrebbero ben figurare quali nuovi nuclei della collezione della Galleria Nazionale. Tale soluzione, però, presenta alcuni problemi: essendo già proprietà del MiBACT, la spesa per completare il restauro del palazzo e i costi di allestimento rischierebbero di pesare completamente sui bilanci statali (in quanto la scelta di porvi la sede della Galleria potrebbe scoraggiare possibili collaborazioni con privati ed enti territoriali); inoltre sarebbe necessario avviare trattative col Comune per trovare una nuova sede per gli uffici, depositi e archivi, e la creazione di percorsi espositivi di ampio respiro si scontrerebbe con oggettive difficoltà determinate dalla particolare struttura interna (che potrebbe creare ulteriori problematiche nella definizione di strutture atte all’accoglienza per portatori di handicap e nell’individuazione di spazi da adibire a servizi vari) e da spazi che seppure considerevoli paiono limitati, alla luce della necessità di espandere gli ambiti e le collezioni da ospitare.
Una soluzione alternativa potrebbe essere il grande palazzo di proprietà delle Ferrovie dello Stato in piazza Vittorio Veneto, attualmente in vendita: posto in una zona centrale e teatro di alcuni dei maggiori cantieri di recupero e riqualificazione urbana di Trieste degli ultimi lustri, il grande palazzo di pregio permetterebbe di studiare la creazione di uno spazio polifunzionale; i suoi spazi sarebbero, dopo accurati interventi, idonei al riordino di collezioni variegate (statali, civiche e private concesse in deposito o comodato) e la creazione di spazi atti ad attività collaterali (quali conferenze, incontri con l’autore, congressi – anche di piccola entità – di ambito culturale, ecc.). Tale scelta, quindi, garantirebbe la creazione di un luogo culturale di rilievo nel tessuto cittadino in una zona sinora rimasta marginale in tale contesto. Questa scelta, però, comporta ovvii limiti e problematiche: la sua struttura interna (con possibili problemi nella creazione di organici e fluidi percorsi espositivi – con necessità di garantire la sicurezza) e gli interventi di adattamento potrebbero risultare impegnativi sia da un punto di vista tecnico che economico.
Ultimo immobile considerato quale possibile teatro di insediamento è il più volte citato Palazzo Carciotti. Tale scelta è motivata da molteplici fattori: essendo un edificio di assoluto pregio architettonico e ritenuto a buon diritto uno degli emblemi della città, questo vasto e centrale immobile risulterebbe essere un tassello fondamentale del rilancio architettonico e urbanistico del centro di Trieste; la pianta articolata degli interni, inoltre, dopo accurati studi potrebbe offrire una grande varietà di usi di questa risorsa architettonica. Con adeguati interventi, il palazzo sarebbe una sede prestigiosa per accogliere diverse collezioni sparse in città: non solo la Galleria Nazionale e altre raccolte statali attualmente conservate in depositi, ma anche opere o collezioni di privati (concesse in deposito o comodato) oltre a una parte delle collezioni civiche (questo anche in virtù del fatto che l’immobile è attualmente di proprietà comunale). Nonostante tutte queste potenzialità, anche questa soluzione presenta alcuni svantaggi: in primo luogo, il grave degrado, sia interno che esterno, che caratterizza l’immobile comporta l’assoluta necessità di investire da subito una somma assai ingente per pianificare e realizzare una strategia completa e radicale di restauro sia estetico che strutturale del bene (salvaguardando, come è ovvio che sia, le testimonianze storiche e considerando – una volta individuate, se presenti – l’abbattimento o modifiche delle strutture architettoniche realizzate in tempi a noi più recenti); è indispensabile anche consolidare un rapporto di reciproca collaborazione tra i soggetti in questione (Soprintendenza e Polo Museale da un lato, Comune e territorio dall’altro).
Alla scelta di una (o più) tra queste ipotetiche soluzioni, si può aggiungere la proposta, in un’ottica di sistema museale diffuso (che integrerebbe così diverse realtà), di collocare in ulteriori spazi, oltre a quelli già citati, realtà culturali di varia natura. Verrebbe così a crearsi una proposta innovativa che riunisce il patrimonio artistico e culturale cittadino di diverse realtà in una compagine unica e d’avanguardia in spazi di assoluto rilievo: si pensi, ad esempio, a Palazzo Artelli (indiscusso capolavoro eclettico, in stato di abbandono), o la Rotonda Pancera (capolavoro della locale architettura neoclassica).
Considerato ciò, appare chiaro che un accordo concreto tra autorità della tutela e istituzioni del territorio è la base per concretizzare la stabilizzazione permanente della Galleria Nazionale. Si può a questo punto iniziare a ragionare sui tesori, presenti sul territorio cittadino e sconosciuti o poco noti al pubblico, o poco valorizzati nonostante siano già inseriti in altri contesti espositivi, da considerare per studiare e creare un nuovo e genuino percorso espositivo. È sottinteso che tale programma comprenda la Galleria Nazionale nel suo complesso (le opere istriane – in “deposito” presso il Civico Museo Sartorio – potranno così riunirsi ai restanti nuclei), ma dovranno essere coinvolte anche altre raccolte e opere (sia statali, che civiche e di privati): qui si avanzeranno solo alcune proposte tra le tante ricchezze poco note di Trieste.
Di proprietà statale, si suggerisce di valorizzare il fondo di disegni dell’architetto Pietro Nobile (acquisito nel 1952) o l’archivio dell’architetto Bruno Slocovich di recente donato dagli eredi ed entrambi in deposito a Miramare, o l’importante collezione d’arti applicate riunita da Giuseppe Garzolini (venduta nel 1939 e nel 1952 – purtroppo la biblioteca e la pinacoteca sono andate disperse sul mercato) ora a Palazzo Economo, che costituirebbero le basi per un Gabinetto di disegni, stampe e arti grafiche e architettoniche e per un Dipartimento di arti applicate (su modello di istituzioni italiane e mondiali di grande prestigio). Sempre di proprietà statale, sarebbe interessante valorizzare anche il patrimonio dell’Archivio di Stato di Trieste: esso custodisce interessanti testimonianze della storia culturale della città, come documenti, carte e mappe catastali (che ci testimoniano lo sviluppo storico della città nel territorio), ma soprattutto i preziosi codici degli Statuti medievali (in particolare, quello coi capilettera miniati). Altrettanto significativo sarebbe il contributo delle collezioni del Sistema Museale del locale Ateneo (SMATs). Esse comprendono testimonianze archivistiche, letterarie e artistiche relative a importanti figure della letteratura e della cultura regionale (basta citare i fondi relativi ad Antonio Fonda Savio, Scipio Slataper e Giani Stuparich) e la collezione, donata tra il 1991 e il 1994, di Letizia Svevo. Ciò, assieme a collezioni private e degli organi territoriali (di cui si parlerà più avanti), costituirebbe il nucleo di natura marcatamente culturale (e quindi non solo artistica) di una neo costituita Galleria Nazionale Nazional-Civica delle Arti e della Cultura cittadine.
Al contempo, bisognerebbe coinvolgere i privati, non solo nella ricerca di risorse economiche e per la progettazione di ricerche e attività culturali a valorizzazione del territorio (e non solo…), ma soprattutto per ridare slancio all’incremento delle collezioni esposte in seno alla Galleria Nazionale. Si precisa sin d’ora, però, che tale azione (e ciò vale anche per le opere di proprietà civica o regionale che potrebbero essere coinvolte – e di cui si parlerà più avanti) non comporterebbe in alcun modo una rinuncia o un cambio di proprietà, anzi, favorirebbe gli interessati sia da un punto di vista dell’immagine che da quello economico (infatti, le leggi vigenti stabiliscono incentivi e agevolazioni a soggetti terzi che contribuiscono nel settore culturale). Si propongono due esempi. Il primo, riguarda il dipinto attribuito a Caravaggio con soggetto L’incredulità di san Tommaso di proprietà privata (e attualmente vincolato): se si riuscisse a farlo confluire (in comodato, in deposito, acquisito o ricevuto in donazione) nella collezione statale (o quanto meno civica, se non sarà proprio possibile farlo confluire nella Galleria Nazionale), arricchirebbe il patrimonio pittorico di scuola romana presente in città. Il secondo riguarda la collezione della Fondazione CRTrieste (in parte, esposta in più mostre in ambito locale, e di cui fa parte anche il già citato Ciclo del progresso a Palazzo Economo) che costituirebbe il nucleo di partenza per un Dipartimento di arte contemporanea, con l’attenzione volta in particolare all’ambito giuliano e friulano.
Sarebbe poi determinante il contributo delle raccolte civiche, in quanto, se una parte considerevole è posta in depositi o archivi (e, di conseguenza, sono per lo più sconosciute) per varie ragioni (in primis gli spazi), altre sono esposte ma le loro qualità sono sacrificate in contesti che non le valorizzano a pieno o di cui esse non fanno assolutamente parte. Di opere non accessibili al pubblico si citano, a titolo di esempio, alcuni disegni del Settecento e Ottocento (questi ultimi attribuiti a Giuseppe Bernardino Bison) di rilevante qualità e che costituirebbero un arricchimento di rilievo indiscusso alle raccolte statali della Soprintendenza (che però si basano quasi esclusivamente sulle tematiche architettoniche); o la collezione di Socrate Stavropulos, ricca e variegata (basti ricordare la raccolta di opere ungheresi e la sezione di disegni di Umberto Veruda) ma umiliata in esposizioni quasi dimenticate presso il poco noto Civico Museo di Storia Patria. Altrettanto preziosi alcuni nuclei collezionistici (o musei interi – di cui si parlerà in seguito), già esposti in altre sedi museali, troverebbero così nuova valorizzazione e considerazione tra il pubblico e gli studiosi. Si pensi, ad esempio, all’importantissima collezione di 254 disegni tiepoleschi del Civico Museo Sartorio: nonostante sia una collezione tra le più grandi e importanti a livello mondiale nel suo genere, risulta relegata (salvo sporadiche apparizioni di alcuni pezzi in mostre sul grande artista veneziano) in due stanzette del museo e priva di un generale studio da parte degli esperti (se si eccettuano i cataloghi Disegni del Tiepolo curato da Giorgio Vigni del 1972, e il successivo Giambattista Tiepolo. Disegni dai Civici Musei di Storia e Arte di Trieste del 1988). Una nuova collocazione museale in seno alla Galleria Nazionale, studiata con ogni cura da esperti per non arrecare danno al fragile tesoro di cui si parla (condizione quest’ultima imprescindibile e assolutamente prioritaria), ne determinerebbe la rinascita da un punto di vista della conoscenza e valorizzazione. Sempre dal Sartorio, da una ragionata e radicale revisione e riordino del percorso espositivo, si potrebbe ricavare ulteriore materiale da esporre in una nuova sede (permettendo al tempo stesso di valorizzare le opere e i beni già esposti e quelli relegati in deposito): innanzi tutto, la raccolta della pinacoteca comprendente sia icone che dipinti occidentali, in gran parte posta in un deposito accessibile su richiesta; ma anche il prezioso Trittico di santa Chiara, che andrebbe ad arricchire la raccolta statale-civica di epoca medievale, o le raccolte di Antichità classica e opere di arti applicate e arredo… Da altre sedi dei Civici Musei si potrebbero ricavare altre importanti testimonianze storico-artistiche. Dal Castello di San Giusto potrebbero giungere le opere di Antichità romana (che, sì, sono poste ora in ambienti suggestivi, ma soggetti a infiltrazioni d’acqua che, col tempo, potrebbero compromettere i reperti) o i preziosi frammenti della decorazione dell’antico abside della Cattedrale triestina dedicata a san Giusto (che sacrificano un’intera sala alle collezioni del Castello). Dal vicino Civico Museo di Storia e Arte, invece, potrebbero essere separate e valorizzate nella nuova sede la collezione di Antichità maya riunite da Cesare Fabietti (una delle poche analoghe presenti in Europa) provenienti da El Salvador, e la collezione di sculture (opere dal Medioevo all’età contemporanea), che sono testimonianze non solo del collezionismo triestino ma anche lacerti del passato della città, che risultano abbandonate a loro stesse nel giardino del museo (con seri rischi per la loro conservazione).
Un caso particolare sarebbe quello del Civico Museo Petrarchesco-Piccolomineo e del Museo Sveviano riuniti presso la Civica Biblioteca Attilio Hortis. Il primo, costituito da un’importante collezione (sia di codici che testi a stampa di varia epoca ma comprendente anche una ricca collezione iconografica di opere del primo Rinascimento e del Seicento e Settecento) è solo parzialmente esposta e, a quanto risulta, la collezione iconografica non è stata ancora oggetto di approfonditi studi; una nuova collocazione nel più ampio contesto della Galleria Nazionale e della collaborazione tra Soprintendenza ed enti territoriali, permetterebbe di esporre maggiori materiali e inserirli in un più ampio contesto culturale. Analogo discorso vale per l’altro museo letterario considerato che, assieme alle collezioni museali dell’Università degli Studi di Trieste e altre testimonianze (statali e non) costituirebbe un’inedita collezione di testimonianze culturali della città.
Stabiliti contatti con istituzioni territoriali e privati per riunire un corpus di opere da inserire nel nuovo percorso espositivo, è necessario avviare una nuova stagione di programmazione culturale, che vada oltre i tradizionali riferimenti. In primo luogo, può essere estremamente interessante inserire nel contesto dell’esposizione sezioni permanenti di approfondimenti tematici, il cui punto di origine deve essere il patrimonio concretamente posseduto dal territorio: ad esempio, il possesso del ciclo ad affresco (staccato) delle Quattro stagioni, opera di Girolamo Romani detto il Romanino e di Lattanzio Gambara (facente parte della Galleria Nazionale), potrebbe essere lo spunto per la creazione di una sezione espositiva sul tema iconografico in questione riunendo (se ci sono) opere triestine (dall’Antichità romana in poi) o munendosi di copie fedeli di opere o particolari di esse; o una sezione dedicata al tema dell’affresco e le metodologie di conservazione e restauro.
In secondo luogo, pianificare o intensificare attività collaterali al classico percorso espositivo sarebbe una palese testimonianza della forte valenza culturale di un’istituzione quale il museo che, troppo spesso, è considerato come uno sterile deposito in cui nulla muta: incontri con autori (e non solo i più affermati del momento, ma soprattutto quelli meno noti e le giovani leve della letteratura locale e nazionale) che dedicano la loro attenzione non solo ai temi inerenti alla cultura e alla società (evitando, in ogni modo, di sfruttare tali occasioni per fini sfacciatamente economici o politici), cicli di conferenze, congressi e mostre temporanee (che già fanno parte dei programmi di istituzioni e musei cittadini, sia territoriali che statali) dovrebbero essere potenziati puntando soprattutto al coinvolgimento diretto delle scuole e dell’Università (e, più in generale, delle nuove generazioni). Un esempio, potrebbe essere la programmazione a cadenza periodica e regolare di conferenze sul tema del Neoclassicismo, esponendo i risultati delle ricerche anche a livello internazionale: quale migliore cornice se non la città che purtroppo fu teatro della violenta morte di Winckelmann, padre della moderna Archeologia, e per questo votata al nuovo gusto quale forma di espiazione per la sua ‘colpa’…?
Una tale strategia d’azione metterebbe così in moto un processo virtuoso di valorizzazione del patrimonio triestino (statale, civico e privato), che inserirebbe la Galleria Nazionale e la stessa città di Trieste con le sue istituzioni culturali nel vasto e globale circuito della cultura, e metterebbe lo Stato (e i suoi organi territoriali) e i soggetti del territorio in condizione di acquisire nuovo patrimonio ad arricchimento delle già cospicue e poco valorizzate collezioni, e di promuovere nuovi rapporti culturali con soggetti già attivi o che si stanno proponendo sulla scena internazionale. Un esempio, potrebbe essere una collaborazione rinnovata in ambito culturale col Messico (dati i legami storici tra la nostra città e lo Stato centroamericano) non solo nel contesto dell’arte, la cultura e la storia dell’Ottocento, ma anche nei ricchi contesti dell’Antichità (data la presenza in città di una collezione maya – nello specifico, salvadoregna) e del vasto ambito dell’arte contemporanea. Tale partnership culturale dovrebbe poi estendersi agli altri paesi del Centro e Sudamerica (così come ad altri contesti mondiali, soprattutto quelli asiatici), in un’ottica di esplorazione di nuovi contesti in quello della multiculturale e multietnica Trieste, assoluto emblema della Mitteleuropa.
Un sincero ringraziamento è rivolto a coloro che, con suggerimenti e osservazioni, hanno contribuito alla stesura di questo articolo, impegnativo sia nella realizzazione che nella tematica sensibile e controversa.
Marco Rago © centoParole Magazine – riproduzione riservata
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