Cosa si vuole sottolineare con la frase: “Le cose stanno nella parola”?
Che le cose non sono già date una volta per tutte, che sono soggette al differente sguardo che si modifica nell’intendere le fantasie che si hanno su di loro.
E quindi anche le cose, le situazioni, si aprono a diversi orizzonti se si espongono all’ascolto e alla elaborazione di come le si percepiscono.
Questa trasformazione avviene quando delle cose e delle situazioni, se ne parla, se ne ascolta e quando si accetta che emergano anche le fantasie e i pregiudizi che si annidano nelle pieghe del non detto.
È essenziale però che non si proceda dalla logica binaria, ovvero dal” mi piace” o dal “non mi piace”, dal “si” o dal” no”.
Le cose, le situazioni vanno esplorate, e parlandone, vanno intese, messe in gioco, per verificare, nella parola, dove si annidano i pregiudizi, i limiti che ci siamo imposti, i luoghi comuni, ovvero la mentalità che qualcuno ci ha incultato e che ci avvolge senza che, spesso, ce ne possiamo rendere conto.
Parlare ci espone a cose che non conosciamo, che possono emergere nei lapsus, nei silenzi, nelle pause che usiamo nell’esporre i “fatti”.
Ascoltare poi i nostri interlocutori ed accogliere il loro sguardo sulla medesima cosa, può far insinuare nelle fessure qualcosa di inaspettato che, se non ci arrocchiamo sulle nostre idee, conduce ad intendere che la stessa cosa è vista, e quindi è, diversa nella sua cangianza.
Ecco la questione: nulla è come appare.
Le cose hanno una valenza differente per ciascuno, e se le crediamo inamovibili e supporti inasportabili, intoccabili, è perché la società ha voluto, per migliorare la gestione delle stesse, renderle tali.
Per la fantasia di gestirle, di incasellarle, di facilitare la nostra emotività e scelta, (che invece dovrebbe instaurarsi ogni volta che le cose si dispongono davanti a noi) il più delle volte preferiamo delegare ai luoghi comuni e pregiudizi morali sociali i nostri giudizi.
Così accade per ciò che ci riguarda: siamo i peggiori giudici di noi stessi e ci sottoponiamo a leggi severe che poi, ovviamente, per impossibilità di arginare le relative pulsioni, dobbiamo trasgredire in clandestinità.
Ecco perché invece occorre parlarne; ecco perché occorre rimettere l’idea che abbiamo sulle cose e sulle situazioni, in una luce inedita affinché possa avverarsi uno sguardo altrettanto inedito, come fosse la prima volta che la questione ci si pone innanzi; quindi senza doverla ricondurre al già saputo, al già detto, al codice civile e morale, che spesso diventa una sorta di moralizzazione più che di etica, e che ci travolge nel suo scorrere imperterrito e sordo.
Ciascuna cosa avviene per la prima volta e va ascoltata per la prima volta. Le cose cambiano e si trasformano, senza i codici che vogliamo imporre loro, senza i limiti che la società vuole innalzare, senza per forza dover entrare nei modelli standard che ci inculcano.
Le cose e le situazioni non sono né buone, né cattive, né dentro né fuori gli schemi; le cose e le situazioni accadono e si trasformano perché devono accadere e trasformarsi, quindi, più che rifiutarle od accettarle, vanno ascoltate per capire la logica degli eventi, lo stato delle cose. Senza giudizio morale, senza rifiuto a priori.
Occorre che si intenda l’importanza della parola, non solo dei “fatti” perché spesso quest’ultimi non sono che rappresentazioni della mancanza di parola e quindi non supportano una verità e realtà prestabilita che garantisca le parole ed il discorso che ne scaturisce a posteriori.
Delle cose e delle situazioni occorre parlarne, senza credere che ciò che viviamo o vediamo sia la realtà oggettiva.
La realtà è sempre soggettiva.
Le cose stanno nella parola e nella parola diventano Altro, senza doverle fondare nella sostanza, senza sostantificarne gli effetti per assumerli o rifiutarli.
Occorre accogliere la prospettiva della rifrazione delle nostre fantasie che ci impedisce, per fortuna, di fissare e quindi gestire ciò che ci accade, ciò che affrontiamo, ciò che cambia in noi e attorno a noi.
Se ciò accadesse, se si potesse davvero gestire le cose e gli eventi, saremmo incatenati nella fantasia di questa gestione ; in una lotta continua ad includere od escludere ciò che abbiamo deciso debba essere la nostra vita.
Ci trasformeremmo in una specie di costanti controllori che occupano il tempo della loro vita ad incatenarsi ai binari prestabiliti, dalla nascita alla morte.
Ma la vita si sottrae a questo tentativo di imbalsamazione e ci propone continuamente terremoti che smantellano le nostre rigide visioni e costruzioni. Che ci conducono alle vette e poi agli abissi, a strade complesse e difficili per giungere in posti impensati.
La vita è strana: le cose, le situazioni, cambiano e vanno lungo la loro strada senza il nostro permesso.
Solo in questo modo si è partecipi alla danza delle parole che conduce al debutto interminabile tra cose e situazioni, eventi inaspettati che scardinano le nostre mentalità per donarci una perenne ed inesauribile fonte di occasione, di evoluzione e di trasformazione; sganciandoci così dai pesi e macigni che, per chi vive solo della sostanza della materia senza la traduzione della parola, costruiscono psichiche caverne senza più luce né cielo.
Roberta de Jorio ©centoParole Magazine – riproduzione riservata.